• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Perché non si deve morire a Napoli?

Perché non si deve morire a Napoli?

Pasquale Romano, vittima innocente uccisa con 14 colpi. Si piange un morto, che si sapeva doveva essere pianto. Nuova faida, pericolo di vittime innocenti, titoli dei giornali. Non si conosceva il nome, e la sorte, un destino fetente ha scelto a caso, un giovane, un ragazzo perbene. Il dolore, le parole in video della fidanzata, della famiglia per una volta non sono la ricerca del sangue per l’audience, ma un vero servizio pubblico: ecco abbiamo la possibilità di guardare in faccia e per davvero che cosa è il dolore provocato dalla morte violenta per mano criminale.

Ma Pasquale Romano è vittima di chi, di cosa? Nel mentre che si torna a parlare di guerra a Napoli, come se ieri o l’altro ieri non ci fosse nessuna guerra in atto, la domanda che ci dovremmo porre è questa: è stata la camorra, e quale tipo di camorra? La morte brutale di Romano, una mano che ha premuto ben 14 volte un grilletto, oscura il quotidiano criminale di Napoli: ragazzine massacrate di botte per un iphone, turisti in coma per un borseggio, gente trascinata a terra per una collanina d’oro. Una violenza estrema perpetrata ogni giorno, inclusi raid contro tifosi stranieri, che poi tifino Napoli non conta proprio.
 
Un quotidiano brutale che tira a sorte ogni giorno, tutti sono e possono essere potenziali vittime di uno sciame di cavallette pronte a tutto per racimolare qualcosa, qualche soldo. Esagerato? Basta leggersi i quotidiani locali e le notizie di sangue sparso per nulla, abbondano. Prendo in prestito le parole di Diego De Silva, che espone con chiarezza un pensiero a me caro da tempo: “Io non ne posso più del marketing della criminalità disorganizzata. Dei cani sciolti che praticano il narcisismo delinquenziale e il delitto gratuito come forma di autopromozione e di propaganda (perché questo sono gli scippi che finiscono nel sangue, le rapine precedute dall’omicidio, i passanti picchiati senza scopo di lucro), inserzioni pubblicitarie, comunicati stampa”.
 
Romano è vittima innocente di una guerra di camorra che si sta attuando nei quartieri nord di Napoli per il controllo dello spaccio di droga. Detta così è notizia già sentita. Sono i soldi, centinaia di migliaia di euro che girano letteralmente su strada ogni giorno, perché non si dovrebbe sparare per controllare questo mercato? Sappiamo tutto, cause ed effetti possibili, eppure si rimane in attesa di chi morirà per nulla, sospirando che per sola fortuna o per un caso non è toccato a noi. Poi si cercano i colpevoli, chi ha sparato, chi arma la mano dei ragazzi assassini, di uno Stato che non ci sta mai, e sono tutti colpevoli e innocenti, una confusione, una matassa emotiva che rimane lì senza soluzione di continuità. Certo immaginare che i quartieri come Scampia, Secondigliano possano vivere di una sana economia, di stipendi regolari, ecco queste affermazioni rendono un articolo palesemente assurdo, improponibile, un’idea balzana, fuori luogo. Ci sono luoghi deputati ad essere morte, e contornati da tanti buoni sforzi, e qualche morto sparso. Non si riesce ad immaginarlo il futuro.
 
Romano lo immaginava invece, un lavoro a tempo indeterminato, quel sogno impossibile in un paese che ora fa sognare il cuore dei giovani con i contratti a progetto. Già, prima un progetto poteva semmai diventare anche un tempo indeterminato, ora speri nel progetto, altrimenti con le nuove riforme passi a partita IVA: tutti professionisti dipendenti con tanto di cartellino da timbrare e nessuno vede, tanto quanto non si vedono i morti, la munnezza, il degrado. Tutto sullo stesso piano. Popolare, qualunquista, futuro neanche più a progetto, ma a partita IVA, come va, come la morte in strada, tutto un caso la vita. Nella giornata della morte di Romano, nel dolore impossibile da sostenere della famiglia, i TG, le Tivvù aprono con altrui notizie, quelle sulla corruzione, sui grandi temi. La morte di un innocente non emoziona, non indigna. Non sarebbe stato onesto aprire tutte le edizioni con un grido di dolore, uguale a quello dei familiari, per una morte innocente da parte di mano criminale? Delle morte bianche, dei suicidi perché non trovano un lavoro superati da raccomandati incapaci, non sarebbe più degno per tutti noi ripartire dai veri disagi, dalla realtà, quella in cui un giovane scende di casa e muore, senza un perché.
 
E rubo ancora le parole a Diego De Silva, assumendomene la responsabilità, di una provocazione lucida che vale molto di più di tante spese sulla camorra fino ad oggi: “Oggi, per le strade scorazza una criminalità indistinta, genericamente camorristica, sostanzialmente irresponsabile, che pratica violenza assolutamente sperequata rispetto agli obiettivi delinquenziali. E tu puoi venire sparato per una rapina da quattro soldi, o perché hai reagito alla provocazione di un bulletto esaltato in cerca di rogne, o semplicemente perché hai guardato qualcuno in un modo che ha capito solo lui. Al che uno si domanda: dov’è la camorra? Perché non interviene? Ha trasferito i suoi interessi? Il territorio ha smesso d’importarle? Dov’è che esercita, adesso? Se la camorra non può essere sconfitta, liberi almeno la cittadinanza dalla barbarie della criminalità disorganizzata. Non abbandoni le sue vittime. Che torni in trincea, rendendo praticabili le strade. Vogliamo una camorra sostenibile”.
 
Queste dure parole di provocazione sono state scritte nel 2007, e sono assolutamente valide ancora oggi. Perché siamo in uno Stato che ha difficoltà di percezione, o forse no. Perché viviamo in uno Stato in cui un contratto a tempo indeterminato è impossibile, morire per nulla, assolutamente fattibile.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares