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Perché è strano parlare di armi da fuoco in Giappone

L’omicidio dell’ex Primo Ministro del Giappone Shinzo Abe, ucciso da due colpi di pistola lo scorso 8 luglio, ha suscitato particolare interesse internazionale non soltanto perché Abe era il primo ministro fino al 2020 e perché è stato il più longevo nella storia del Giappone, ma perché sentir parlare di sparatorie in Giappone è assai raro.

I motivi sono tanti, ma per iniziare a comprendere questo fenomeno basti sapere che, in Giappone, si stima che solo lo 0,25% della popolazione possegga un’arma da fuoco. Si tratta di uno dei paesi in cui vengono commessi ogni anno il minor numero di reati con armi da fuoco.
Le statistiche mostrano quindi con semplicità l’enorme distacco che c’è tra il Giappone e tutti gli altri Paesi. In una speciale classifica stilata dal Guardian nel 2014, il Giappone risultava il penultimo paese in termini di omicidi compiuti ogni anno: meglio faceva soltanto il Lussemburgo.

Numero di morti per armi da fuoco nel Mondo. Fonte: gunpolicy.org

 

Come si acquista un’arma in Giappone?

Il Giappone ha una delle politiche di acquisto più rigorose e complicate in assoluto in tutto il mondo.
Il primo step è quello di seguire un corso che dura una giornata intera, fare un esame scritto e superare un test di precisione in un poligono di tiro mettendo a segno almeno il 95% dei colpi sparati. Per poter accedere alla prima fase è necessario aver compiuto 18 anni e spiegare in modo credibile e veritiero il perché si desidera possedere un’arma.

Dopodiché, la polizia fa dei test per valutare la salute mentale e verificare l’eventuale utilizzo di droghe di chi vuole comprare. Per concludere, si controllano i precedenti penali e i possibili legami con gruppi estremisti dell’acquirente e dei suoi parenti.
Alla fine la polizia decide se concedere o meno la licenza. Ogni licenza dura 3 anni, al termine dei quali bisogna rifare tutto l’iter appena descritto, per tutte le volte che si vorrà rinnovare.

Dove si comprano le armi in Giappone? In quasi tutte le 40 prefetture del Giappone – che vanno da una popolazione di mezzo milione di persone a 12 milioni a Tokyo – per legge non possono esserci più di 3 negozi di armi, così da disincentivare e regolamentare l’acquisto tenendo ogni sede sotto controllo. Inoltre, all’interno di questi negozi si possono acquistare munizioni nuove soltanto riportando indietro quelle comprate precedentemente.
Una volta compiuto correttamente l’iter e ottenuta la licenza, i possessori di armi da fuoco devono comunicare alla polizia dove sono tenute le armi e dove le munizioni, che devono necessariamente essere tenute in luoghi separati e chiusi a chiave.

Che tipi di arma possono essere acquistati? Soltanto alcuni modelli di fucili e fucili ad aria compressa, generalmente usati per attività ricretive o per la caccia. Il possesso privato di armi automatiche e semi-automatiche è sempre vietato, proprio come le pistole, ad eccezione dei tiratori sportivi “esterni”. Ogni arma deve essere controllata una volta l’anno da parte della polizia.
La vendita di armi tra privati è vietata in ogni caso, perché esistono degli appositi registri in ogni centro di vendita di armi da fuoco, dove si annotano ogni vendita, acquisto o trasferimento di armi e munizioni. Per questo chi possiede armi senza un’adeguata licenza viene punito con pene che arrivano fino a un massimo di 15 anni di reclusione.

Numero di armi possedute dai cittadini di vari paesi del mondo ogni 100 persone: il Giappone ha solo lo 0,25%. Fonte: Gunpolicy.org

 

Come si comporta la polizia in Giappone?

La risposta alla violenza non è mai la violenza, l’obiettivo deve sempre essere quello di diminuirla. Tant’è che soltanto sei colpi sono stati sparati nel 2015 in Giappone da parte della polizia”, ha detto il giornalista Anthony Berteaux.

E allora come si difende la polizia da quelle parti? I poliziotti passano più tempo a fare pratica di Kendo (ossia combattimenti con spade di bambù, cioè l’evoluzione del combattimento con la katana utilizzato anticamente dai samurai) che a sparare al poligono o in generale a imparare come usare un’arma. Si tratta del discorso diametralmente opposto ai metodi della polizia statunitense, che nel 2021 ha ucciso 1.055 persone, il numero più alto dal 2015. Solo il 15% delle vittime era armato.

La cultura contro le armi da fuoco in Giappone arriva addirittura al punto che un poliziotto che si è suicidato con una pistola è stato incrimanato postumo di aver compiuto un’azione illegale e di aver usato in modo improprio l’arma. Questo perché i poliziotti non portano mai le armi quando non sono in servizio, in quanto sono obbligati a lasciarle in caserma appena finisce il loro turno.


Il pacifismo dopo la seconda guerra mondiale è diventata una delle filosofie più sviluppate e apprezzate in Giappone. Soltanto nel 1946 i poliziotti giapponesi sono stati dotati di armi da fuoco, dietro ordine delle truppe americane che avevano invaso il territorio. Inoltre, una legge del 1958 stabilisce “che nessuno deve possedere delle armi da fuoco o delle spade”.
A dimostrazione di come la legge abbia una presa nella società civile, si stima che i 2/3 dei reati commessi con arma da fuoco sono attribuibili a organizzazioni criminali.

“Se la polizia tira fuori le armi al primo caso di crimine, conduci a una sorta di guerra tra la polizia e i criminali”.

 

La filosofia pacifista del Giappone

Oltre alle leggi, i bassi numeri legati ai reati con armi da fuoco dipendono da una cultura e una mentalità fortemente contrarie. Portare un’arma da fuoco in uno spazio pubblico è perciò vietato, ed è un crimine che può essere punito con l’ergastolo. Non esiste alcun diritto a possedere un’arma, al contrario di quanto previsto dal Secondo Emendamento negli Stati Uniti.
Il Giappone è stato il primo Paese in assoluto ad aver posto delle leggi restrittive sulle armi da fuoco. Addirittura nel 1685 le persone venivano ricompensate se rinunciavano alle armi: si tratta della prima iniziativa della storia per limitarle.

Nel momento in cui hai delle armi nella società, la violenza aumenterà. Ma se hai poche pistole, il tuo livello di violenza interno diminuirà senza dubbi”, ha detto Overton.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo che gli Stati Uniti di Harry Truman avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki con le bombe atomiche, la cultura giapponese è totalmente cambiata. L’articolo 9 della Costituzione, infatti, riconosce l’aspirazione alla “pace internazionale”, e ha trasformato così il Paese bellicista in un nuovo paese pacifista. Inizialmente sembrava soltanto un’imposizione statunitense e un’umiliazione per il Giappone, ma negli anni è diventato un nuovo modo di intendere le relazioni internazionali e il modo di gestire la politica interna.

Questo stesso articolo 9 stabilisce che il Giappone non è dotato di un proprio esercito, ma soltanto di “forze di autodifesa”. Il suddetto articolo è uno dei principi fondamentali espressi nella Costituzione del 1947, emanata durante l’invasione militare da parte degli Alleati alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un momento fondamentale per la storia giapponese, perché si è passati dal sistema imperiale ad una forma di democrazia liberale.
Con i due commi dell’Articolo 9, non solo il Giappone rinuncia alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma rinuncia anche al possedimento delle forze armate.
L’obiettivo della Costituzione influenzata dagli americani era quello di ridimensionare la figura, al tempo divina, dell’Imperatore, diffondere il rispetto dei diritti umani, promuovere l’uguaglianza tra i cittadini e appunto rendere il pacifismo uno dei valori di base della società.
Nonostante questo, il territorio giapponese non è privo di basi militari o di forze armate. Nel 1952 infatti è stato siglato il “Trattato di Mutua Sicurezza” con gli Stati Uniti, secondo il quale veniva concesso agli americani di mantenere basi militari in territorio giapponese, con diritto di entrare in azione in difesa del Giappone da attacchi esterni. Nel 1954 poi il Giappone ha approvato la legge sulle Forze di Autodifesa, munendosi di un esercito a tutti gli effetti.

 

Come sono cambiate le cose con Shinzo Abe

Abe è stato uno dei maggiori sostenitori del revisionismo nipponico. Nel 2007, al suo primo mandato da premier, fu tra gli iniziatori del Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza (Quad), con l’obiettivo di limitare l’ascesa della Cina come superpotenza economica e militare in Asia. Secondo la sua visione politica, infatti, c’era la necessità di aumentare le spese militari, che sono in costante crescita dal 2017, e di riformare la Costituzione “pacifista” imposta dagli USA alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Sebbene la Costituzione giapponese sia possibile da modificare in ogni sua parte, una proposta di emendamento deve prima essere approvata da entrambe le camere da almeno 2/3 dei membri di ciascuna di esse. Poi c’è la sottoposizione a referendum, in cui è sufficiente la maggioranza semplice dei voti espressi per l’approvazione. Infine l’Imperatore promulga l’emendamento, senza possibilità di esercitare il diritto di veto.

Il Giappone pacifista, fino al 2021, aveva sempre osservato un tetto dell’1% per le spese militari. L’anno scorso però la spesa è aumentata al tasso più alto dal 1972, arrivando all’1,24%, equivalenti a circa 60 miliardi. La decisione è stata presa da Kishida, primo ministro da circa 9 mesi, che ha improntato una politica estera più realista e meno pacifista, ma le basi per queste decisioni sono state poste proprio da Shinzo Abe.
A sottolineare questo graduale cambio di cultura c’è anche il sondaggio che vede il 64% dei giapponesi favorevoli al rafforzamento militare contro il solo 10% contrario.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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