• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Pensioni, un circolo vizioso e assistito

Pensioni, un circolo vizioso e assistito

La spesa per assistenza esplode, perché serve per integrare pensioni vieppiù da fame. Che fare? Qualche idea, più o meno perseguibile, per i pochi illusi che volessero contenerla

In settimana è stato presentato il nuovo rapporto annuale (l’undicesimo) del centro studi Itinerari previdenziali sull’andamento del sistema pensionistico del paese, che illustra gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi delle differenti gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico obbligatorio italiano, con dati aggiornati al 2022.

Da sempre, obiettivo di policy di Itinerari previdenziali è quello di evidenziare separatamente i conti della previdenza, finanziata dalla contribuzione di scopo a carico di aziende e lavoratori, e dell’assistenza, finanziata dalla fiscalità generale. In tal modo, secondo l’animatore del centro studi, Alberto Brambilla, si otterrebbero indicazioni per intervenire con misure non inique, dimostrando che la spesa previdenziale è sotto controllo mentre quella per assistenza è ampiamente sfuggita di mano.

SEPARARE ASSISTENZA E PREVIDENZA, PER FARE COSA?

Anche il sindacato punta a separare previdenza e assistenza, ma essenzialmente per dimostrare che non serve inasprire i requisiti pensionistici, malgrado la devastante situazione demografica del paese. Poi ci sono quelli, come Maurizio Landini, convinti che l’assistenza abbia e debba avere un ruolo crescente nell’integrare gli assegni pensionistici, “andando a prendere i soldi dove ci sono”, come il leader della Cgil (che i cantastorie lisergici vedrebbero come “federatore” del camposanto largo e “giusto” Pd-M5S) risponde anche a chi gli chiede l’ora.

Facezie a parte, il problema pensionistico italiano resta quello: un rubinetto aperto verso le pensioni di anzianità o comunque anticipate, integrate a carico della fiscalità generale anziché delle aziende interessate. I numeri parlano molto chiaro: nel decennio 2012-2022, quello della legge Fornero, è stato dato il via libera a 946 mila pensionamenti anticipati. Nel decennio queste deroghe hanno avuto un costo di 48,3 miliardi di euro, che si è mangiato oltre metà dei risparmi teorici della riforma Fornero, stimati in 86 miliardi.

Anche l’età media di uscita con pensioni di anzianità e anticipate si è costantemente ridotta in questi anni, scendendo nel 2022 a 61,6 anni per gli uomini e 61,2 per le donne. Con la riforma Fornero pienamente dispiegata, l’età del pensionamento di anzianità o equiparato sarebbe invece prossima a 64 anni. E tuttavia, malgrado questi numeri, continuo a sentire gente che mi accusa di “voler mandare sui ponteggi i settantenni, BERGONIA!”. I famosi settantenni di Quota 100, presumo.

Altro numero eclatante del decennio 2012-2022 è quello relativo alle prestazioni sociali, il cui ammontare è aumentato del 29,4%, cioè 127,5 miliardi. Direi, a naso, sopra l’inflazione cumulata del periodo. Nel 2022 i costi per assistenza, quelli finanziati dalla fiscalità generale, sono stati pari a 157 miliardi di euro, a cui vanno sommati interventi analoghi da parte degli enti locali, per una spesa complessiva pari nell’anno a 8,9% del Pil.

A ribadire quello che vi segnalo da sempre, e cioè che previdenza e assistenza stanno diventando gemelle siamesi la cui separazione rischia di uccidere entrambe le pazienti, è poi il numero dei pensionamenti totalmente o parzialmente assistiti, che sono pari a 6,55 milioni e riguardano ormai il 40,61% della platea dei beneficiari di prestazioni pensionistiche.

CONTI SFONDATI DALLE PENSIONI ANTICIPATE

“Bene, questo ce lo dici da anni, stai diventando ripetitivo, sarà l’età. Che facciamo, quindi?”, diranno i più inquieti e meno pazienti tra i miei lettori. Domanda legittima. Intanto, ribadisco che è evidente che Brambilla e i sindacati guardano in direzioni differenti, quando chiedono di separare assistenza e previdenza. I secondi lo fanno per poter dire che la spesa previdenziale “pura” è bassa, e poter quindi invocare integrazioni alla medesima. Usando cosa? Ma che domande: l’assistenza, cioè la fiscalità generale! Magari tirando in ballo una bella patrimoniale, “ché tutti ce l’hanno in Europa, che diamine”. C’è anche in Italia ma non ditelo in giro, mi raccomando.

Alberto Brambilla, invece, che meritoriamente si preoccupa da sempre del destino di kulaki and friends, cioè di quei poveracci la cui Irpef deve permettere di nutrire pre-pensionati e assistiti vari, vuole altro. Intanto, un controllo stretto delle dinamiche di spesa assistenziale, per riportarla nell’alveo della fisiologia, rispetto alla attuale ingravescente patologia. Come vedete, andiamo in direzioni opposte, decisamente.

Ma cosa propone Brambilla, quindi? In soldoni, di tentare disperatamente di chiudere il rubinetto delle pensioni anticipate a carico di Pantalone. Storia molto vecchia, come sappiamo. Uno strumento, a carico delle imprese che si trovano in condizioni di eccedenza di personale, introdotto dalla legge Monti-Fornero, è la cosiddetta isopensione, dove il dipendente, a cui manchino sino a sette anni alla pensione, accede ad una indennità mensile, in sostituzione dello stipendio, fino al raggiungimento dei requisiti necessari per accedere al vero e proprio pensionamento.

L’isopensione, nella configurazione attuale, è molto costosa per l’azienda che decidesse di attivarla. Devo capire, ad esempio, per quale motivo un’eccedenza di personale, in uno stato di crisi conclamata, dovrebbe essere gestita con isopensione anziché con licenziamenti collettivi. Non sono cinico, solo maieutico.

Altro strumento proposto da Brambilla è quello del fondo esuberi, sulla falsariga di quello dei bancari, sempre contribuito da aziende e lavoratori. Altra opzione è quella del cosiddetto superbonus (lo so, questo è un paese di tesoretti e superbonus: da questo pervertimento linguistico dovreste capire perché siamo messi come siamo messi), analogamente a quello che prende il nome da Roberto Maroni, per chi si trattiene al lavoro fino a 71 anni (!), e che incasserebbe il 33% dei contributi in busta paga per tre anni, al netto delle imposte.

Oltre a queste, Brambilla ipotizza altre misure. Una, su cui batte da anni come un fonditore di proiettili d’argento qualunque, è purtroppo una superbufala italiana: il contrasto d’interessi, e di conseguenza ce ne disinteresseremo. Altre sono più classiche e meno oniriche. Ad esempio, un contributo di 100 euro annui come copertura assicurativa dell’equivalente di una polizza long term care, cioè per la non autosufficienza; l’estensione dei ticket sanitari; l’adeguamento dell’età di pensionamento e del coefficiente di trasformazione del montante contributivo all’aspettativa di vita.

Conosco le obiezioni: le aspettative di vita di un operaio o di un manovale (o comunque di una persona con bassa scolarità e istruzione) sono inferiori a quelle di un impiegato, dirigente o lavoratore comunque intellettuale. Quindi bisognerebbe diversificare il dato in base a questi parametri.

VISSI D’ARTE, VISSI D’AMORE

Oltre a queste misure correttive che ho definito “classiche”, Brambilla ne ha di innovative. Ad esempio:

Creazione di una banca dati sull’assistenza che permetterebbe di sapere chi sono e da quanto tempo questi soggetti beneficiano di prestazioni, bonus e agevolazioni; si potrebbero risparmiare non meno di 15 miliardi l’anno.

Non so come si arrivi ai 15 miliardi di risparmi, in tutta sincerità. Il fatto stesso che una banca dati del genere non esista mi pare lunare ma molto italiano. Così come mi parrebbe molto italiano che, se quei 15 miliardi di risparmi fossero realmente conseguiti, partirebbe il trenino per spendere il nuovo “tesoretto”, in nome del popolo stressato e sfruttato dal turboliberismo che da sempre piaga il nostro paese.

E ancora, leggete bene:

Convocare tutti gli over 35 che non hanno mai fatto una dichiarazione dei redditi per chiedere loro di cosa vivono; scopriremmo la gran parte dell’evasione fiscale e un pezzo consistente di malavita organizzata.

Ohibò, questa è proposta sfiziosetta, mi pare. Ma irrealizzabile, temo: ve li vedete, voi, gli over 35 “convocati” per spiegare le loro fonti di sussistenza? Da ultimo, ma non per ultimo, Itinerari previdenziali propone la “revisione totale dell’ISEE, che incentiva il lavoro in nero e il sommerso”. Così, secco. A proposito di ISEE, che dire della sua nuova formula, in attesa di diventare operativa, che prevede di far beneficiare di erogazioni coperte da chi paga le tasse gente che si compra 50 mila euro di Btp, magari pure frutto di evasione fiscale? Vi piace questa, come “riforma” dell’ISEE?

Tiriamo le somme. La spesa per assistenza ci sta portando al dissesto. L’assistenza cresce per integrare assegni pensionistici che sono e saranno sempre più da fame, conseguenza del gigantesco rubinetto aperto per le pensioni anticipate, che in un decennio ha drenato oltre metà dei risparmi teorici della riforma Monti-Fornero. Ma pensioni da fame anche per conseguenza del regime contributivo o meglio del fatto che, se un paese non cresce, il montante contributivo non monta. Un infernale circolo vizioso, e pure assistito.

MODUS PENSIONANDI E PATRIMONIALE

Quindi, per motivi rigorosamente attuariali, si prendono assegni da fame. E vorrete mai che i governi e le opposizioni pro tempore accettino la vergogna di assegni da fame, causati da misure di pensionamento anticipato adottate da precedenti esecutivi dotati delle migliori intenzioni con cui lastricare l’inferno? Mai sia! E così via. Un vero circolo vizioso e assistito.

Risciacqua, ripeti, e arrivi all’esito previsto da Itinerari previdenziali se l’attuale traiettoria e modus operandi (anzi, pensionandi) dovessero proseguire:

Resterebbe così molto poco da fare ai Governi se non andare a “prelevare” i soldi dove ci sono, applicando una dura patrimoniale che diverrebbe la pietra tombale per l’Italia.

E a quel punto si leverebbero alte le voci di quelli che dicono “giusto, la patrimoniale c’è in TuttaEuropa™️, facciamo come TuttaEuropa™️. In sottofondo, il coro a bocca spalancata di Landini: “i soldi si vanno a prendere dove ci sono”. Cioè, dove? Ma che domande: dai kulaki, no?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità