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Osare per una Lombardia migliore

Lo dice a chiare lettere Giuliano Pisapia nella sua intervista a Repubblica: "Mi sembra evidente che il modello Milano, quello che si è realizzato con la mia elezione, non può rimanere confinato alla città. L’ipotesi di elezioni in Regione, che sembrava molto vicina fino a qualche settimana fa, forse ora si allontana, ma il centrosinistra, sia a livello nazionale che locale, deve già mettersi in moto per essere pronto al momento giusto".

E questo 2012 è l’anno in cui bisogna assumersi il coraggio di osare. Forse quello di avere coraggio è l’augurio migliore che ci possiamo fare tutti per provare ad essere credibili (in questo momento ancora di più) e soprattutto diversi. Avere il coraggio di non uniformarsi ai compromessi quotidiani e regolari che spesso il palazzo (quello nuovo, quello vecchio e il mausoleo formigoniano) cercano di insegnarti come necessari.

Anzi, il compromesso come segno di “intelligenza politica” obbligatoria per godere di stima universale (tra le stanze della politica, ovviamente) e ottenere credito politico tra colleghi per una mezza vicepresidenza di commissione. Avere il coraggio di accettare l’isolamento per i temi su cui non sono permessi sconti: una soddisfazione di etica che “fuori”, tra la gente, viene capita molto più di quello che presumono i politichesi politicanti della moderazione forsennata sempre in campo per salvarsi.

Avere il coraggio di dire forte e chiaro che una Lombardia migliore già c’è e non sta per forza tra i banchi dell’opposizione: è in mezzo alle strade, nelle fabbriche, nelle piccole e medie imprese, nell’operosissimo mondo del terzo settore, nella resistenza continua della propria missione pubblica nelle scuole che cadono a pezzi, negli studenti che hanno in testa le architravi per il proprio futuro e nessun tavolo in cui poterselo giocare.

E ancora nelle centinaia di comitati e associazioni che difendono il proprio territorio come proprietà dei propri figli, nella meritocrazia che perde sempre contro la lingua a terra o l’amicizia giusta, dove si cura per stare meglio insieme e non per coltivare malattie fatturabili, negli ideali che ci sono anche se continuano a finire nei cassetti dei piccoli ras di partito, nei toni di bianco o nero senza compromessi sui punti fondamentali.

La partita regionale (perché Formigoni sta seduto su una sedia che non vede l’ora di lasciare nonostante il terrore negli occhi dei consiglieri di destra e di sinistra) è la nostra partita. Di quelli che non ci hanno mai creduto che Pisapia, Zedda, De Magistris siano un’onda ancorata ai partiti (come vorrebbero farci credere) e tantomeno ai diversamente democratici che sono stati bravi a rivendersela: è un’onda di politica pratica, fatta di problemi reali, risposte chiare, sì o no e promesse da mantenere.

Perché sarebbe stata l’occasione giusta per avere il coraggio (che auguro a tutti per il 2012) di raccontare le “mediazioni” che invece sono finite sotto il silenzio di polverosi uffici stampa e ogni tanto puzzano di compromessi. Perché la Lombardia migliore non sta nello strapotere di Comunione e Liberazione ma nemmeno nei “sistemi” presunti dell’altra parte politica. Il coraggio di affermare con forza (e con strappi, se servono) che la politica è possibile senza essere la cameriera della cementificazione o della gestione sociosanitaria o delle prebende agli amici.

Il coraggio di riconoscere ai partiti il dovere di essere sintesi dei bisogni smettendola però di volerli aizzare o ammaestrare per convergere sulle proprie esigenze interne. Il coraggio di volere a cuore pieno una Lombardia con grandi infrastrutture sociali di lavoro e solidarietà, accogliente con i propri cittadini e severa nel rispetto delle regole, mai disposta ad una recessione morale per salvare le speculazioni e lontana dai figli spuri di sistemi falliti e rinviati a giudizio.

La partita lombarda è una partita arancione da cui non possiamo sottrarci. I partiti facciano i civilissimi guardiani del vento senza penose bulimie. Per questo la Lombardia migliore non può permettersi di non accendersi attraverso le primarie.

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