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Offensiva dello Stato contro la ‘ndrangheta. Ma non basta

Stavolta si fa davvero sul serio: l’arresto di Paolo Rosario De Stefano è la conferma della poderosa offensiva dello Stato nei confronti della ‘ndrangheta.

Negli ultimissimi anni sono stati messi a segno tanti colpi importanti, da Antonio Pelle a Pasquale Condello, da Giuseppe De Stefano a Giovanni Strangio, da Pietro Criaco a Paolo Nirta, da Francesco Romeo a Giuseppe Nirta fino a Francesco Pelle e Fortunato Giorgi.

Dopo l’arresto di Paolo Rosario De Stefano, il procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ha dichiarato che “nessuno è intoccabile, e quest’arresto lo dimostra”, e il Questore Carmelo Casabona ha parlato di “famiglia De Stefano decapitata”.

Sono i successi della Squadra Mobile di Reggio Calabria, brillantemente diretta da Renato Cortese detto “l’acchiappalatitanti” dopo che, prima di arrivare in riva allo Stretto, già a Palermo era riuscito a consegnare alla giustizia numerosi superlatitanti della mafia: Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Michele Greco e molti altri fino al clamoroso blitz dell’11 aprile 2006, quando finì in manette Bernardo Provenzano.

L’impegno dello Stato, delle forze dell’ordine e delle istituzioni è massimo. La lotta alla criminalità organizzata è un “must” e i tanti arresti eccellenti degli ultimi anni lo dimostrano: non possiamo più nasconderci dietro il dito dello “Stato che non combatte la mafia”, non possiamo più avere l’alibi dello “Stato che non combatte la mafia”, non possiamo più dire che noi, semplici cittadini, non possiamo far nulla se “lo Stato non combatte la mafia”.

Lo Stato sta facendo il suo dovere.
Ma sappiamo bene che questo non basta.
L’offensiva dello Stato dev’essere solo uno di quegli elementi, certo fondamentali, per sconfiggere la criminalità organizzata. Ma senza il supporto, il sostegno e la ferrea volontà dei cittadini, tutti quegli sforzi si riveleranno vani.

Vincere la mafia significa rivoluzionare culturalmente la mentalità di “mafiosità” che è estremamente diffusa in una Regione soffocata dalla ‘ndrangheta come la Calabria, o nella Campania della camorra.

Quella mentalità che, in buona o in malafede, è diffusa in tanti che con la mafia (quella vera, fatta di boss, stragi e clan) non hanno nulla a che fare.

Ed è da qui che dobbiamo cambiare, ed è da qui che dobbiamo ripartire: la ‘ndrangheta in Calabria basa la propria forza sull’omertà e sulla paura della gente.

In Sicilia le cose stanno cambiando, l’imprenditoria s’è rialzata e sta denunciando gli estortori, soprattutto a Palermo ma anche nel Nisseno. Sindaci come Rosario Crocetta e istituzioni come le Camere di Commercio e le associazioni degli Industriali sono in prima linea nella lotta alla mafia, e fuori dalla Questura di Palermo ogni qual volta viene arrestato un pezzo grosso c’è mezza città a festeggiare.

In Calabria la situazione è ancora diversa. Ci sono dei segnali, ma sono piccoli piccoli.

Ma possono essere anche una base da cui partire per rivoluzionare questa Regione oppressa dalla ‘ndrangheta, e oppressa soprattutto da se stessa che alla ‘ndrangheta non è mai riuscita a reagire, non è mai riuscita a rialzarsi.

La politica, in primis, deve uscire dagli steccati ideologici e partitici perchè la lotta alla mafia è, e deve essere, trasversale e comune tra gli schieramenti più vari.
E la gente, adesso che non può più sentirsi giustificata dall’alibi dello “Stato che non combatte la mafia”, deve riflettere e capire che solo con la coscienza pulita un popolo può riuscire a liberarsi da un male così opprimente.

E avere la coscienza pulita significa ribellarsi, denunciare, trovare il coraggio di difendere la propria dingità.
Lo Stato c’è. E ha il pugno di ferro.
Adesso tocca a noi.

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