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Nuovo patto di stabilità, un PNRR col MES

Parte il negoziato sulla riforma dell'architrave della governance economica europea. La proposta della Commissione Ue piacerà agli italiani e al loro eccezionalismo?

 

Con grande fatica, vista la posta in gioco, prosegue in sede Ue il confronto sulle nuove regole del Patto di Stabilità e Crescita, dopo la pluriennale sospensione per motivi pandemici e bellici. La Commissione europea ha presentato una cornice di proposta, che nella sostanza ricalca lo schema del PNRR: vale a dire, non più traguardi numerici comuni a tutti ma programmi ritagliati sulle specificità dei singoli paesi, e negoziati in dettaglio. Qualcosa che dovrebbe piacere all’Italia, che passa il tempo a rivendicare la proprie peculiarità ed eccezionalismo. Qualcosa mi dice che non andrà così.

LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE UE

Su un orizzonte temporale quadriennale (che può essere esteso a sette, con condizioni), Commissione e governi negozieranno su base bilaterale obiettivi e sostenibilità dell’indebitamento, usando la leva della modulazione della spesa pubblica nazionale al netto di quella per interessi. In tal modo, è l’assunto, si terrebbe conto del ciclo economico evitando i fenomeni visti durante la Grande Crisi Finanziaria, dove il taglio della spesa finiva ad abbattere la crescita e avvitare il rapporto d’indebitamento, con un effetto pro-ciclico. Piccola nota a margine: l’aspetto ciclico è già presente nella forma corrente del Patto ma evidentemente non soddisfa, soprattutto per gli esoterismi di alcune grandezze non osservabili, come l’output gap.

Salta (ma a dire il vero non è mai stato operativo) anche il limite di riduzione del rapporto d’indebitamento, fissato su base annua in un ventesimo dell’eccedenza rispetto alla soglia del 60% del Pil. Ribadiamo alla nausea: quel target avrebbe funzionato senza particolari problemi, se solo il nostro paese avesse avuto un tasso di crescita del Pil nominale superiore al costo medio del debito, come praticamente tutti gli altri.

Ma, anche in quel caso, il nostro cosiddetto eccezionalismo ha operato, costringendoci invece ad accumulare avanzi primari e soffocare la nostra economia, consentendo al contempo a molti personaggi tra politica, sindacato e commentariato di rivendicare la nostra accumulazione di punti-fragola di avanzo primario per aver diritto a uno sconto sul taglio del deficit. Mordersi la coda e il cervello, the Italian style.

La proposta di riforma della Commissione, quindi, sembra affrontare alcune tra le maggiori criticità del Patto: l’aspetto pro-ciclico, come detto, visto che l’uso di grandezze astratte correttive del ciclo economico come l’output gap ha a sua volta creato polemiche contro la metodologia, che secondo gli italiani penalizzava il Belpaese assegnandogli una sclerosi economica troppo marcata. Complotti come se piovesse, al solito.

Altro tentativo di correzione di un difetto “filosofico” del precedente Patto di Stabilità era quello di focalizzarsi su aspetti “contabili” di equilibrio di bilancio, senza entrare nel dettaglio dell’impatto delle azioni correttive sulla crescita, attuale e potenziale. La specialità di noi italiani, tassare e spendere a moltiplicatore nullo o negativo, per poi trovarsi col piombo sull’economia e lamentarsi di essere incompresi dal mondo.

Andrà meglio, questa volta? Lo vedremo, e vedremo i termini del negoziato. Quello che mi preme evidenziare è la scelta del format PNRR per aumentare l’analisi d’impatto delle scelte di policy, sia pure in dialogo tra Commissione e governo interessato. In teoria, questo dovrebbe servire a evitare che qualcuno gridi all’esproprio dei parlamenti sovrani: cosa che avrebbe anche un senso non solo teorico, per quanto mi riguarda.

UN FORMAT NUOVO MA CONOSCIUTO

Ma le emicranie insorgono proprio per la scelta del format, quello del PNRR. Dice la Commissione: caro stato nazionale, mostrami i tuoi obiettivi di lungo periodo, come li finanzierai e che impatto avranno le tue decisioni su crescita e sostenibilità del debito, e poi sediamoci a parliamone. Ma sappi che, se non fai la “delivery“, come direbbero quelli che hanno fatto il militare alla SDA Bocconi, subirai il blocco dei fondi.

Quali fondi?, si chiederanno i più vispi tra i miei lettori. Quelli della programmazione di bilancio settennale, dove siamo e restiamo contributori netti? Oppure altri fondi comunitari, che ci siamo fatti prestare o regalare a mo’ di PNRR? Ma da dove verrebbero, quelli, se non sono previste nuove emissioni di debito comune? Eccetera eccetera. E, sopra tutto, c’è quella formuletta che tiene svegli la notte i nostri patrioti: “analisi della sostenibilità del debito pubblico”, in conseguenza delle scelte di programmazione pluriennale.

“Non scherziamo, il nostro debito è sostenibile per definizione! Siamo straricchi nel privato, lo volete capire?” è la canzoncina. Una logica di garanzia patrimoniale in assenza di capacità di produrre reddito, cioè crescita. Quello è il punto che ai nostri patrioti sfugge, da sempre. Che poi è la triste storia del paese che divorò se stesso, e che si avvia alla grande compensazione tra debito pubblico e ricchezza privata, che è la nostra cifra esistenziale. Del resto, se un recente sondaggio ha scoperto che la maggioranza degli italiani interpellati sarebbe favorevole ad aumentare il deficit per ridurre le accise, alziamo le mani.

Restano ineliminabili problemi metodologici, sintetizzati in questa critica di Charles Wyplosz. Ad esempio, il concetto di spesa primaria al netto delle entrate mette sullo stesso piano l’impatto di tagli di spesa e aumenti di imposte. Per farla breve, il rischio è che anche la nuova cornice riproponga gli stessi problemi del concetto di saldo primario corretto per il ciclo, che è stato sin qui utilizzato. Per non parlare delle dispute teologiche sui modelli che verranno usati per stimare la sostenibilità del debito. Già vedo nuove luminose carriere politiche di affabulatori da social, costruite spiegando che l’euro volge al tramonto e così spero di voi.

Quindi, riepilogando: programmazione in stile PNRR e analisi di sostenibilità del debito in stile MES. Argh! Mai sia! Il rischio, come vedete, è che mentre i nostri eroi combattono fieramente contro la revisione delle regole di funzionamento del babau europeo per antonomasia, il medesimo rientri dalla finestra della riforma del patto di stabilità e ci azzanni le terga.

QUANTI “BEI” SOLDI

Quindi, vedremo come andrà a finire. I nostri eroi già ambiscono a smantellare il MES e tornare in possesso dei 14 miliardi di capitale da noi sinora versato, per farci tante belle cosine e spesine. Poi, invochiamo maggiori prestiti agevolati della Bei (Banca europea degli investimenti), di cui siamo grandi utilizzatori. Tutto per evitare di dover emettere Btp, sia chiaro. Perché quelli costano di più ma sono debito indifferenziato e indistinto, a differenza dei prestiti finalizzati della Bei. A proposito, ma non è che tutto questo debito sovranazionale di cui vorremmo rimpinzarci poi ci fa crollare il castello di carta dei Btp perché ad essi sovraordinato nei rimborsi? Ops.

Né mi sento di escludere un altro tipo di esito: gli italiani contestano in radice il principio della riduzione del debito. “Perché mai dovremmo impoverirci e ridurre il debito? È la nostra ricchezza, e stiamo lavorando per impedire che lo comprino gli stranieri!”. A quel punto, che gli vuoi dire? Sempre oltre, noi italiani.

 

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