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Nove Neanderthal a San Felice Circeo. “Una scoperta eccezionale”

Come una in bolla temporale, la grotta Guattari è rimasta isolata dall’esterno per 60mila anni ed è nota all’uomo moderno solo dal 1939. Neanderthal la abitò per decine di millenni.

di Simone Chiusoli

 

I resti ossei di nove esseri umani appartenenti alla specie Homo neanderthalensis sono stati rinvenuti nella grotta Guattari, a San Felice Circeo, in provincia di Latina. La recentissima scoperta, resa possibile grazie al lavoro della Soprintendenza archeologica di Frosinone e Latina, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, getta nuova luce sulla vita di questi italiani preistorici, a quanto pare ben radicati nella nostra penisola. Infatti, nonostante i resti rinvenuti si trovino nel medesimo luogo, decine di migliaia di anni di differenza separano questi individui. Alcuni di essi sarebbero vissuti tra i 50mila e i 68mila anni fa, mentre i resti ossei più antichi riportano la lancetta indietro fino a 100mila anni.

Una grotta senza tempo

La grotta Guattari, oggi uno dei più importanti siti archeologici del Paleolitico medio, rimase ignota fino al 1939, quando alcuni operai ne scoprirono casualmente l’accesso. Grazie al completo isolamento precedente, il tempo al suo interno era rimasto “fermo” a 60mila anni fa, quando una frana impedì la comunicazione con il mondo esterno. All’epoca del rinvenimento i ricercatori, coordinati dal paleontologo Alberto Carlo Blanc, trovarono un cranio sempre appartenente alla medesima specie umana. Tuttavia, all’epoca, le tecnologie in grado di analizzare i reperti erano molto più arretrate rispetto a quelle odierne e inoltre la parte di grotta oggi esplorata non era stata considerata.

“I nove scheletri ritrovati – ha spiegato ai microfoni di Rai News Francesco Di Mario, funzionario archeologo della soprintendenza a capo dello scavo – appartengono tutti a individui adulti, fatta eccezione forse solo per uno che potrebbe appartenere a un giovane. Tra di essi è presente una donna”. Tutto il materiale raccolto da questi scavi, avviati nel 2019, dovrà ora essere analizzato in laboratorio attraverso le sofisticate tecniche paleogenetiche oggi a disposizione, ma qualche notizia è già accertata. I denti ritrovati, ad esempio, mostrano che H. neanderthalensis seguiva una dieta variegata e assumeva molti cereali.

Un particolare rende poi i ritrovamenti in questa grotta del tutto singolari. Tutti crani rinvenuti, infatti, possiedono una larga apertura alla base. Un’ipotesi avanzata dai ricercatori è che la responsabilità sia delle iene, dei cui resti è piena la grotta, le quali si sarebbero cibate del cervello di questi sfortunati esseri umani, nella tranquillità di un rifugio tra la roccia. Secondo le analisi dei reperti, le iene infatti sarebbero state le ultime a popolarla in pianta stabile, prima della frana. Un’altra supposizione, più macabra, aveva spinto Blanc nel ’39 a ritenere che gli abitanti della grotta praticassero il cannibalismo rituale. Tale ipotesi venne però scartata a favore del più plausibile coinvolgimento delle iene.

Una “banca dati” di 60 mila anni

Ma le potenzialità – ormai narrative quanto descrittive – di questa grotta non finiscono qui.

E non si tratta solo di storia umana. Questa “banca dati di 60 mila anni”, come la definisce Mario Rolfo, archeologo preistorico all’Università di Roma Tor Vergata, consente di ricostruire la storia dei cambiamenti climatici ed ecologici avvenuti nel Pleistocene, da 120mila a 60mila anni fa, nella zona del circeo e della pianura pontina. “Lo studio sedimentologico di questo deposito – commenta Rolfo sempre a Rai News – ci farà comprendere, durante quei 60mila anni, il clima, l’umidità, le specie animali e umane presenti. Lo studio dei pollini permetterà anche di ricostruire l’ambiente.” Sulla vicenda è intervenuto il Ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini: “un evento eccezionale, ne parlerà tutto il mondo”.

 

Immagine: Neanderthal-Museum, Mettmann – Pressebilder Neanderthal Museum, Mettmann, https://www.neanderthal.de/de/urmenschen.html | CC BY-SA 4.0

Questo articolo è stato pubblicato qui

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