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Niente azioni americane, siamo europei

Dopo i politici, anche i gestori europei di fondi lanciano l'allarme: troppe azioni americane negli indici e negli strumenti di investimento. Forse all'Europa servirebbe più innovazione e meno recriminazioni e suggestioni protezionistiche

Noi italiani siamo da tempo abituati a sentire lamentazioni e auspici, anche da parte di addetti ai lavori che puntano ad acquisire meriti agli occhi del governo pro tempore, circa la “necessità” di tenere i risparmi nazionali entro i patri confini. Da tempo, quello che era il sacro principio della diversificazione di portafoglio si è mutato nel sospetto di “disfattismo”. La verità è che questo tema sta rapidamente prendendo piede anche in altri contesti nazionali, perché la deglobalizzazione sta raggiungendo anche la finanza, in quella che rappresenta anche una prova generale di repressione finanziaria, a cui saremo sottoposti -non solo in Italia- quando la montagna di debito pubblico dovrà essere scalata e spianata.

AMERICANI IN SOVRAPPESO

Ora si registra un salto di qualità, in questo spirito dei tempi e dei recinti entro i quali canalizzare la ricchezza. Come riporta il Financial Times, l’associazione europea dei gestori di portafoglio ha lanciato l’allarme sul fatto che l’uso di strumenti di investimento passivi quali gli Etf (ma il discorso vale, mutatis mutandis, anche per gli attivi), finisca a indirizzare i fondi in schiacciante maggioranza verso le aziende statunitensi, a detrimento di quelle europee. Ci sono troppe azioni americane nei prodotti d’investimento domiciliati in Europa, è la sconvolgente epifania.

Il motivo è presto detto: negli indici azionari a capitalizzazione, il peso degli Stati Uniti è ormai soverchiante. Siamo a circa il 70 per cento in quelli globali dei paesi sviluppati. La critica dell’assogestioni europea riecheggia una delle conclusioni del rapporto redatto da Enrico Letta per la Commissione europea e riguardante il mercato unico. In esso, l’ex premier italiano segnala la “preoccupante tendenza” che vede il denaro dei risparmiatori europei dirottato verso aziende e asset manager statunitensi.

Pensate quant’acqua sotto i ponti è passata, da quando la buonanima di Silvio Berlusconi denunciava il pericolo che i turisti in viaggio verso l’Italia venissero rapiti da Air France e portati nella Valle della Loira. In tempi più recenti, i nostri patrioti hanno più volte segnalato il rischio di rapimento dei risparmi nazionali, sottratti alla miniera di aziende soprattutto piccole e medie di cui il nostro paese è riccamente ingemmato ma che il nostro ottuso risparmio proprio non riesce a vedere.

Pensate, all’epoca si mosse pure il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica. All’epoca il mandato era: care banche e assicurazioni italiane guidate pro tempore da francesi (ovvove!), non azzardatevi a sbarazzarvi dei Btp, chiaro? Vi teniamo d’occhio!

Ora siamo ad un salto di qualità nel senso che nel mirino, da parte di entità europee, ci sono direttamente gli indici di mercato e i prodotti d’investimento. E non è un caso che l’equivalente francese della nostra Assogestioni sia partita lancia in resta lo scorso febbraio con un manifesto, il cui claim è “i risparmi europei all’industria europea”.

Ora, non vorrei essere pedante e troppo liberista, con tante b, ma mi pare che, se un’area geopolitica o un paese presenta maggiore dinamismo e potenziale di crescita, l’afflusso di risparmio verso essa sia la logica conseguenza. A ciò fa seguito l’aumento di capitalizzazione che richiama altri fondi dal pianeta, eccetera. Vorrei anche segnalare incidentalmente che, se una regione ha un avanzo commerciale come lo ha (o aveva) l’Eurozona, i capitali tendono a defluire da essa. Ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.

FLUSSI CAUSALI E FINANZIARI

Forse gli europei dovrebbero riflettere sui flussi causali, prima che su quelli finanziari. Create le condizioni per lo sviluppo di campioni planetari basati in Europa, e i fondi seguiranno. Se invece si punta su scorciatoie “patriottiche”, dove il patriottismo è pure continentale e non nazionale (cioè è una finzione, in buona misura), temo che l’iniziativa sia destinata a restare di cortissimo respiro.

Peraltro c’è una tale fantasia, nel marketing degli asset manager, per cui si creano a getto continuo nuovi prodotti, attivi o passivi, segmentati nei modi più disparati: settoriali, tematici, geografici. E vinca il migliore. Per farla breve, non mi pare esista una sorta di dittatura del risparmio, che rapisce i nostri sudati soldini e li porta dagli yankee. Soprattutto perché gli indici azionari a capitalizzazione usati come benchmark sono il riflesso del successo aziendale.

Conosco l’obiezione: “con i prodotti passivi, chi va bene andrà sempre meglio e chi va male andrà sempre peggio“. Le cose non stanno esattamente in questi termini, perché esiste una cosa chiamata ribilanciamento che registra le variazioni del successo o insuccesso di singole aziende. Prendete Tesla, controllate il suo peso attuale nell’indice S&P 500 o nel Nasdaq, e guardate dove era invece un anno addietro. Sarete stupiti solo se non avete dimestichezza con questi temi.

Quanto ai fondi cosiddetti attivi, che di solito prendono sonore legnate dai passivi, il discorso è analogo, in modo lievemente meno meccanico.

Che poi, pensate la matrioska: ci sono politici e gestori italiani che non vogliono che i risparmi nazionali siano dirottati all’estero, diciamo verso la Francia. Poi, ci sono politici e gestori francesi che non vogliono che i risparmi europei siano dirottati sulle coste americane. Perché hanno una elevata quota di mercato europeo, e intendono proteggerla e ampliarla.

È il segno dei tempi: viva il friendshoring ma i “miei” risparmi non vadano agli “amici”. Perché dagli amici mi guardi Iddio e comunque il risparmio nazionale potrebbe servire per evitare che l’Everest del debito pubblico spazzi via dalla carta geografica interi stati. È il futuro che ci attende, tra invocazioni al “capitale paziente”, stigmatizzazioni contro la liquidità in conto e la diversificazione oltre confine. Su tutto, ora arrivano gli “europei”, schiacciati dalla vitalità del sistema imprenditoriale statunitense, a piangere perché i risparmi continentali s’involano verso ovest. Dall’inquietudine al controllo dei capitali, il passo è teoricamente breve. Ma non è con le scorciatoie che l’Europa tutelerà se stessa e il proprio futuro.

Foto di Csaba Nagy da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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