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Nichi Vendola, il referendum sull’Articolo 18 e l’ennesimo ritorno della Sinistra radicale

Cosa ci fanno l'ex-pubblico ministero Antonio Di Pietro, l'ex-sindacalista Sergio Cofferrati, un ambientalista come Angelo Bonelli, due comunisti come Oliviero Diliberto e Paolo Ferrero, insieme a Nichi Vendola, di fronte alla Corte di Cassazione dopo aver depositato un referendum contro la riforma sull’articolo 18? Semplice, preparano l’ennesimo suicidio politico della sinistra italiana.

Sembra una barzelletta invece è (tragica) realtà. I paladini del Lavoro con la L maiuscola, quelli che si preoccupano di difendere le sconfinate tutele di chi un lavoro già lo possiede ma non muovono un dito per coloro che un lavoro “serio” forse non l’otterranno mai, hanno presentato un referendum che verosimilmente si terrà nel 2014 nel pieno della prossima legislatura e potenzialmente lacererà non tanto l’elettorato di centro-sinistra (che di articolo 18 ha i “cabbasisi” pieni) quanto la sua nomenklatura notoriamente incapace di gestire qualsiasi snodo politico che tocchi i nervi scoperti della Sinistra post-ideologica come appunto il Lavoro, di cui tutti parlano senza averlo mai provato veramente.

Nichi Vendola, tra un’intervista a Vanity Fair in cui auspica per sé e per il suo compagno confetti e fiori d’arancio ed un dialogo con il Manifesto in cui interpreta le istanze della classe proletaria contemporanea (sembra che l’unico lavoratore che il leader di Sel conosca a fondo sia il wedding planner del suo futuro matrimonio) tra un cazzotto a Casini ed una carezza (politica) a Di Pietro ha dichiarato:

''La riforma Fornero dice che quando un lavoratore viene licenziato senza giusta causa il giudice può ordinare l'indennizzo non più il reintegro. Io penso che uno degli elementi della civiltà del lavoro di decenni di lotte e di sangue hanno segnato il fatto che i diritti non si possono monetizzare, bisogna reintegrare''.

Ma come è possibile che una norma di così lapalissiano buonsenso venga contestata da chi usa strumentalmente i diritti dei lavoratori per propri fini politici?

Chi lo dice che il reintegro deve essere automatico, se per esempio un lavoratore optasse per un risarcimento non preferendo di tornare nell’ambiente lavorativo potenzialmente ostile, da cui è in precedenza era stato allontanato?

Che senso ha legare il destino di un impiegato ad una sola azienda? Per quale motivo un’impresa non sarebbe libera di fare le proprie valutazioni privandosi dei collaboratori che non reputa idonei?

Trascorrono le stagioni, passano i governi, cambiano le politiche di interi continenti come quello europeo e quello americano, ma ciò che rimane sempre uguale sono le idee ammuffite ed inconcludenti della sinistra cosiddetta “radicale” .

La storia è presto detta dopo il governo Monti che ha tentato di salvare l’Italia dai disastri partoriti dalla stagione berlusconiana, la sinistra italiana guidata da Bersani (o forse da qualcun altro dipende dalle primarie) si accinge a vincere le elezioni politiche che si terranno nella primavera del 2013.

Per raggiungere il risultato, il PD partito di maggioranza relativa dell’area progressista, avendo tagliato i ponti con l’IDV di Di Pietro ha lanciato la proposta di un’alleanza programmatica con Sel, con la possibilità di estendere la coalizione all’Udc, partito geneticamente di centro-destra, che non può tornare alla sua casa di origine per l’ingombrante presenza di Silvio Berlusconi, e che contemporaneamente vede come fumo negli occhi una convivenza forzata con la sinistra di Nichi Vendola.

Fin qua tutto chiaro (o quasi): la genesi delle alleanze impossibili che hanno portato a governi litigiosi e poco efficaci fa parte della narrazione della politica italiana soprattutto della seconda Repubblica.

Peccato però che né l’accoppiata PD-Sel né la coppia PD-Udc possa aspirare a raggiungere il 51% dei seggi del parlamento nemmeno grazie al più grande dei premi di maggioranza che si potrebbe varare con la prossima legge elettorale.

La naturale logica delle cose vorrebbe che Pd, Udc e Sel, impiegassero il proprio tempo, non in polemiche come quella sul referendum sull’articolo 18, ma in discussioni per creare una piattaforma condivisa su cui innestare il programma del prossimo governo. In tutto questo non c’è giorno però in cui Vendola non attacchi Casini e Casini Vendola, in una cacofonia di intenti che indebbolisce il PD ed il suo segretario, a cui si potrebbe imputare l’incapacità nel costruire una coalizione in grado di guidare l’Italia. E’ chiaro infatti che non basta la sola buona volontà per governare un paese.

In questo scenario, in cui nemmeno la destra berlusconiana ha un’offerta politica ed uno schieramento omogeneo con cui proporla, le prossime elezioni rischiano di diventare un appuntamento farsa in cui si dovrebbe decidere non tanto chi dovrà governare nei prossimi anni ma chi dovrà fallire nel giro di pochi mesi. A meno che - come suggeriscono tutti gli indicatori - non si vada verso una grande coalizione che metta insieme i due maggiori partiti PD e PDL, ed il centro di Casini lasciando fuori le ali più estreme. Il dramma attuale è proprio questo, tutti sanno che al momento non ci sono in giro partiti, coalizioni, patti, unioni, poli che possano garantire la tenuta futura di un esecutivo, ma nessuno lo dice apertamente, nessuno squarcia il velo di ipocrisia che circonda le scaramucce politiche di tutti i giorni, ognuno coltiva le aspirazioni e le rivendicazioni del proprio pezzetto di elettorato, pensando che il proprio 5,2% o il proprio 24,6% sia la chiava per la prossima (ed ennesima) svolta italiana.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.160) 13 settembre 2012 12:56

    Condivido il senso del suo articolo, che potrebbe essere così titolato "Dio acceca chi vuol perdere".

    Del resto da "cecità" a catena nessun leader politico del centro e della sinistra (in tutte le sue sfumature) è indenne. L’ultima quella di un Bersani che, ottusamente sordo a ciò che si agita nell’animo dei cittadini comuni, si oppone alla preferenza. Non so se questa è protervia, ottusità politica o che altro, ma mi è difficile capire come sia possibile che il capo del principale partito italiano non riesca a comprendere che la stragrande maggioranza degli italiani non ne vuol più sapere di votare politici imposti dalle oligarchie di partito .

    Ciò detto lei non può far finta che la norma "di lapalissiano buon senso" impedisce a qualsiasi sinadcalista di base di rappresentare in maniera onesta gli interessi dei suoi compagni di lavoro se sul capo gli pende in permanenza la minaccia di licenziamento senza giusta causa.

    E’ una norma di civiltà - quella del licenziamento solo con giusta causa - che prima o poi dovrà essere ripristinata.

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