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 Home page > Tribuna Libera > Nati e cresciuti in Italia, ma per la legge sono stranieri

Nati e cresciuti in Italia, ma per la legge sono stranieri

‘Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno’, Paulo Coelho

Sono nati in Italia, frequentano le scuole italiane, parlano l’italiano, vivono regolarmente in Italia da almeno 5 anni, insomma sono italiani eppure per il nostro ordinamento giuridico sono stranieri. Hanno la pelle scura, gli occhi a mandorla, una religione diversa da quella cattolica ed i nonni all’estero, ma si sentono e sono a tutti gli effetti italiani anche se per la nostra legge sono solo immigrati con un regolare permesso di soggiorno. Nel secolo scorso anche noi, da stranieri, ci siamo sentiti americani, tedeschi, belgi, argentini, ed ancora oggi quando emigriamo ci sentiamo inglesi, francesi o spagnoli. Siamo cittadini del mondo, ma non accettiamo che ‘altri’ siano cittadini italiani, perché?

La legge n. 91 del 5 febbraio 1992 prevede lo ‘ius sanguinis’, la cittadinanza è trasmessa, cioè, solo dai genitori ai figli. Gli stranieri nati in Italia hanno diritto alla cittadinanza solo se, raggiunta la maggiore età, dichiarino entro un anno di volerla acquisire e se, nello stesso tempo, abbiano risieduto nel nostro Paese ininterrottamente e legalmente fino ad allora.

Dopo la bocciatura dello Ius soli e dello Ius culture si torna a discutere di riforma della cittadinanza. Il 9 marzo scorso la commissione Affari costituzionali della Camera ha dato parere favorevole al testo presentato da Giuseppe Brescia, deputato del M5S. La discussione alla Camera è iniziata il 30 giugno scorso. La proposta ha il sostegno del Pd, dei M5s di Italia Viva e di Forza Italia.

Con lo Ius soli chiunque fosse nato in Italia avrebbe acquisito automaticamente la cittadinanza. Invece, lo Ius scholae prevede: ‘l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte del minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che risieda legalmente in Italia, qualora abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola primaria, è necessario aver concluso positivamente il corso medesimo’.

Ovviamente la cittadinanza deve essere richiesta. Pertanto, è necessaria una dichiarazione di volontà che deve essere resa allo Stato civile del Comune di residenza entro il compimento del diciottesimo anno di età dell’interessato da un genitore legalmente residente in Italia o da chi ne ha la responsabilità genitoriale. Il minorenne potrà farlo entro due anni dal compimento della maggiore età.

Secondo la Rete per la Riforma della Cittadinanza ‘sono oltre un milione le persone in attesa di cittadinanza nel nostro Paese, in larga maggioranza giovani’. Gli alunni ‘stranieri’ che nell’anno scolastico 2019/2020 hanno frequentato le nostre aule sono stati 877mila (il 10,3% del totale), 20mila in più rispetto all’anno precedente. Il 65,4% sono nati nel nostro Paese.

Sono giovani e giovanissimi che parlano i nostri dialetti, vestono come i nostri ragazzi, siedono sugli stessi banchi, studiano sugli stessi libri, evidenziano pregi e difetti tipici degli italiani, eppure per la legge non lo sono.

Chissà se qualcuno di questi ‘invisibili’ sa che con la cittadinanza acquisirà anche un debito pro-capite di oltre 46mila euro. Ma forse, come tanti italiani ‘veri’, non ne sono a conoscenza.

Fonti: savethecildren.it e REDNEWS

 

Foto da sestodalynews.net

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