• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Nadef significa niente altro che deficit

Nadef significa niente altro che deficit

Nel secolo della marmotta fallita italiana, altro giro, altro deficit. Tornano le "privatizzazioni" e una spending review lisergica. In attesa che i mercati certifichino la nuova crisi finanziaria del paese

Il consiglio dei ministri del 27 settembre ha licenziato la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (per gli amici, Nadef), prontamente inviato a Bruxelles. Trovandosi a dover far fronte a cambialoni elettorali, per giunta nell’anno in cui si voterà per le elezioni europee, era scontata l’esigenza di confermare almeno per un altro anno alcune misure per le quali manifestamente non ci sono risorse. In apparenza non sono stati fatti danni rilevanti, nel senso di tali da far scattare immediate vendite massicce sui Btp, ma il quadro di fondo è ancora più fragile, e basterà davvero poco per scatenare una crisi finanziaria. Con l’ombra del patto di stabilità, nuovo o vecchio che sia, che si staglia sempre più lunga sul nostro paese.

UNA CRESCITA MIRABOLANTE

Il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti, “ci ha messo la faccia”, per usare un’espressione cara alla premier, e si è presentato in conferenza stampa. Il preambolo è che il governo non se la sente di adottare una politica fiscale prociclica, nel senso di restrittiva, mentre è in corso una stretta monetaria. Ora, io capisco le esigenze di comunicazione, ma se ogni governo europeo ragionasse in tal modo, cioè realizzasse una manovra espansiva per contrastare la stretta monetaria, le cose volgerebbero rapidamente al peggio, e non dovrebbe essere difficile capire il motivo. Ma transeat.

Come da tradizione, i numeri della Nadef e il relativo documento arriveranno più avanti. I numeri di sintesi sono un deficit 2023 che sale al 5,3%, per effetto della contabilizzazione del Superbonus (quello che resterà in un capitolo della sciagurata storia di questo paese), e nel 2024 viene portato al 4,3% dal 3,6% previsto la scorsa primavera. Bisognerà vedere il dato corretto per il ciclo economico ma direi che questa è una espansione fiscale in senso proprio, non solo congiunturale. Abbiamo 14 miliardi di deficit aggiuntivo, pari allo 0,7% del Pil, per finanziare una manovra stimata in 20 miliardi. Sono due terzi a deficit, per i cultori degli studi umanistici.

Per che farci? Quello che si sapeva: la decontribuzione per solo un altro anno, l’avvio della riduzione fiscale, il “sostegno alla genitorialità”, i primi soldi per i rinnovi del pubblico impiego, segnatamente la sanità. Quello che mi colpisce, non in positivo, è che il governo ha stimato per il 2024 una crescita di ben l’1,2%, mentre la Ue prevede lo 0,9% e l’Ocse lo 0,8%. Non solo: la congiuntura globale è in evidente deterioramento, e questi ultimi numeri potrebbero addirittura essere ottimistici.

La mia domanda è: riuscirà una previsione di crescita 2024 così deviante a superare la validazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, oltre che ovviamente della Commissione Ue? Mi chiedo quali saranno le motivazioni dell’esecutivo. Forse che il 2024 vedrà la “messa a terra”, cioè l’esborso, di molti fondi del PNRR, la cui spinta espansiva è stata quindi considerata. Vedremo ma a me quel numero pare un filo spericolato, qui e ora.

MOMENTO SILVIO

Nel menù delle “risorse”, più immaginarie che vere, ci sono soprattutto due voci: le cosiddette privatizzazioni e la leggendaria spending review dei ministeri. Giorgetti ha spiegato che, per le prime, il governo si attende introiti pari a 1% del Pil entro l’arco di piano, cioè un triennio. Io, che non sono più giovane, ricordo che questo numero e questa frase erano un must dei governi Berlusconi. L’esito dovreste ricordarlo. Ah no, scusate, fu un complotto contro l’Italia.

Come che sia, sarebbero una ventina di miliardi di privatizzazioni, in un momento storico in cui gli stati, più che vendere, comprano. Anche l’Italia, col suo eterno vorrei ma non posso, punta a uno “stato forte” e che contrasti quel cattivone di mercato, che fallisce ogni volta che la realtà non adempie ai nostri desiderata. Torneremo a leggere nuovi capitoli del manuale di ingegneria finanziaria per disperati, con cessione delle carceri nei centri storici, cartolarizzazione di immobili pubblici e altre amenità. Quindi, direi che faremo cassa con una piccola quota di MPS, la “storia di grande successo” italiana, per usare le parole di Giorgetti. Ricordiamo: il profilo debito-Pil si stabilizza nel triennio contando l’apporto di quell’1% di privatizzazioni. Silvio vive e lotta assieme a noi.

Sulla revisione di spesa, Giorgetti diventa assertivo e promette/minaccia di sostituirsi ai suoi neghittosi colleghi, che trascinano i piedi e chiedono soldi aggiuntivi, per conseguire qualcosa come due miliardi di risparmi. Non la vedo molto realistica ma posso sbagliarmi.

Il problema vero, che si rifletterà sui mercati, è l’andamento previsto del rapporto debito-Pil, che smette di ridursi e si appiattisce in un intorno del 140%. La causa imputata, come sappiamo, sono i 20 miliardi annui “in quattro comode rate”, per dirla con Giorgetti, del Superbonus che torna a casa, cioè viene compensato con minori tasse. L’equivalente di una manovra l’anno per quattro anni. Ovviamente, se la crescita andrà peggio e il costo del debito aumenterà, quel rapporto lieviterà. Con le conseguenze del caso, sui mercati.

In quella circostanza, potranno le agenzie di rating continuare a voltarsi dall’altra parte e non invece declassare a spazzatura il debito italiano? Lo so, le agenzie di rating sono screditate, reattive anziché pro-attive eccetera eccetera, ma ad un certo momento potrebbero tornare a innescare una reazione di mercato, che peraltro potrebbe arrivare anche spontaneamente.

RIFORME A DEFICIT

Il punto resta sempre quello: come si può pensare di continuare, anno dopo anno, promettendo misure strutturali e poi trovarsi costretti a inseguire lingua a penzoloni per trovare i soldi (a deficit) per prorogare quelle misure? Non parlo del solo governo Meloni, sia chiaro. Qualcuno ricorda i famosi 80 euro di Renzi, poi diventati 100 con Conte? Voi sapete che quelle sono “prestazioni sociali in denaro” che non fanno altro che ingessare il bilancio dello stato e renderlo sempre più fragile e prono a “incidenti”? Possibile che in questo paese, a intervalli regolari, si creda possibile “aumentare stipendi e pensioni” facendo spesa pubblica, per giunta in deficit?

E ancora, come si può pensare di fare “riforme fiscali” che “riducano le tasse”, sempre e comunque a deficit? Come ci si può pavoneggiare dicendo che “la pressione fiscale cala” per effetto del nuovo deficit, e andare a negoziare una simile situazione per avere più “flessibilità”? Giorgetti ha detto che a Bruxelles c’è “gente che fa politica” e quindi potrebbero capire, a differenza degli aridi economisti e dei contafagioli. Possibile.

Del resto, c’è una guerra guerreggiata in Europa e una globale sempre più fredda, uno shock inflazionistico, una stretta monetaria, un reset del commercio internazionale. È possibile che qualche margine di manovra venga concesso, e non solo a noi. Vedremo quanto ampio. Viene da sorridere pensando a chi sosterrà la necessità di fare più deficit “perché altrimenti i populisti trionferanno”. Avete guardato in casa, di recente?

Resteranno, nei prossimi mesi, le abituali sceneggiate: il ponte sullo Stretto da far partire, almeno la prima pietra con codazzo di fotografi e autorità, la promessa di “rottamare la legge Fornero” con una spesa pensionistica che assorbe il 16% del Pil nel paese più vecchio del mondo, e altre farneticazioni. Ma, ehi, ci sono le elezioni europee, non possiamo restare silenti!

Da ultimo, c’è spazio per il buonumore: secondo Giorgetti, la tassa sugli extra margini delle banche rappresenterebbe “una grande operazione di politica industriale bancaria, al termine della quale avremo le banche più solide d’Europa”. Che è come dire che le ricapitalizziamo a forza, sapendo noi quel che è meglio per loro. Giorgetti ha poi recisamente escluso l’esistenza di una logica di scambio (“a pacchetto”, come dicono i nostri eroi), tra deficit e ratifica del MES. Prendiamo atto. Anche perché a decidere saranno i mercati.

E ora, attendiamo reazioni. Quelle di chi dirà che è ora di smetterla con l’austerità, e quelle di chi ribadirà che la Germania ha “taroccato” il suo deficit, che ammonta in realtà a uno scioccante 2% del Pil. Italia: la nave (anzi, la Nadef) dei folli.

Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità