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65. Mostra del Cinema Di Venezia: Cronaca di un’arte (troppo) annunciata

Assistere alle proiezioni al festival del Cinema di Venezia è come far parte di qualcosa di importante pur rimanendo chiusi nel proprio mondo. Sai che intorno a te succedono molte cose, che si versano litri di champagne che non berrai mai, che si dispiegano metri di lustrini che non potresti permetterti nemmeno fossi un lontano parente del sultano del Brunei. Sai tutte queste cose, ma non ti toccano, non te ne accorgi perchè lì in quel mormorare su orari di spettacoli, code per i biglietti, camminando fra bancarelle di libri e rinfrescandoti sotto i tendoni respiri, vivi e desideri solo cinema.

Quando capita quindi che un festival così familiare e coinvolgente si riveli un po’ sottotono e che i film non entusiasmino gli addetti ai lavori, qualche domanda sorge spontanea. Non è questione di film belli o brutti, tutto si basa sul risalto che a loro viene dato. La prima mini polemica a cui si è assistito quest’anno è stata quella sui troppi film italiani in concorso, la cosa era già partita male, non poteva che finire peggio. Dura lavorare con obiettività quando si è disturbati dal tarlo del dubbio. Così il "Seme della discordia" di Pappi Corsicato si è rivelato "troppo surreale" e poco emozionante, Ferzan Ozpetek in "Un giorno perfetto" propone il classico film corale che ormai lo contraddistingue senza stupire. Pupi Avati ha un incedere lento nel dirigere "Il papà di Giovanna", ma Silvio Orlando è talmente bravo da vincere la coppa volpi come miglior attore e quindi tutto è bene quel che finisce bene. I divi hollywoodiani presenti alla spicciolata hanno preso parte a film per una volta poco considerati che invece sembrano dei buoni prodotti. Dal film fuori concorso degli ormai leggendari fratelli Coen " Burn After Reading" protagonista la coppia di fatto sullo schermo Clooney-Pitt, alla nuova fatica di Demme "Rachel Getting Married" con una convincente Anne Hathaway. Grandi esclusi dalle menzioni mediatiche anche due rappresentanti del cinema giapponese che a Venezia sono di casa: Takeshi Kitano e Hayao Miyazaki, genio dell’animazione che commuove grazie alla sua poesia in "Ponyo on the cliff by the sea" storia di un bambino di cinque anni che trova una pesciolina rossa in riva alla scogliera su cui vive. Decide di chiamarla Ponyo e dopo essersi legato molto a lei scoprirà che le differenze crudelmente tentano di dividere anche chi si ama.

Il leone d’oro infine è andato a un regista giovane, ma con tre film ben riusciti alle spalle Darren Aronofsky ("Requiem for a Dream", "Pi", "The Fontain") che sconvolge il lido ingaggiando Mickey Rourke come protagonista del suo "The Wrestler" e poi assesta la stoccata finale portandosi a casa l’ambito felino dorato. Il premio per miglior attrice è stato consegnato a Dominique Blanc per la sua performance in "L’autre" della coppia Bernard-Trividic, mentre il premio De Laurentiis Leone del futuro per la migliore opera prima è andato a "Pranzo di Ferragosto" dell’esordiente "stagionato",come egli stesso si definisce, Gianni Di Gregorio che ha lanciato le quattro nonnine novantenni protagoniste del suo film nell’olimpo delle star del cinema d’autore italiano. Premio speciale della giuria per "Teza" di Haile Gerima, film denuncia sulle condizioni di vita in Etiopia, buona conclusione anche per Gianfranco Rosi e il suo documentario "Under the sea level" che porta a casa il premio speciale per il miglior documentario nella sezione Orizzonti.

Quest’anno la retrospettiva sul cinema italiano intitolata Questi fantasmi: cinema italiano ritrovato 1946-1975 raccoglieva alcuni dei migliori registi del nostro paese in film famosi o meno famosi, comunque da ritrovare: Fellini con il suo Sceicco Bianco, i Mostri di Dino Risi, il mondo nuovo di Vittorio De Sica e l’Italia proibita di Enzo Biagi.

Benvenuti e Arrivederci da Venezia: il prossimo anno un altro giro,molti altri regali.

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