• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Morte, morire, fine vita, Eluana Englaro: i volontari rifiutatori

Morte, morire, fine vita, Eluana Englaro: i volontari rifiutatori

Le reazioni che ho notato, occupandomi di Eluana Englaro e delle numerose implicazioni dal suo corpo, sono sostanzialmente di due tipi (ecludendo a priori i non interessati).
 
Da una parte, reazioni tempestive, esplicite, da ‘meno male che ancora se ne parla’, una sorta di sollievo per il non abbandono della storia individuale intesa come storia potenzialmente accadibile a chiunque.
 
Dall’altra parte, un certo silenzio circostanziale, un non-detto che in alcuni casi diventa poi risposta sussurrata, avara di parole da ‘sai che sono argomenti delicati, che mi mettono in difficoltà’. Un imbarazzo, insomma, perfino a palesarne reticenze, mutismi che celano chiusure mentali, ragionative prima ancora che non-manifestazioni di interesse nudo.
 
Nel tempo, dopo ormai un anno di lavoro tra ricerche, letture, studi, scritture, approfondimenti, ascolti e virate varie; nel tempo ho notato quanto le distanze silenziose, i rifiuti taciuti ma manifestati proprio attraverso non gesti, non parole, non sguardi: sono molto più radicati, fondi e diffusi delle mere ‘ignoranze per non conoscenze’.
 
Sostanzialmente si tratta di questo: non mi pronuncio, non ci penso, non ho una posizione (o se ce l’ho comunque è fragile, incerta, non la voglio esporre a nessuno) perché non so, non riesco a capire, non trovo informazioni oppure perché non voglio/posso/sono in grado di ‘entrare’ in quell’argomento.
 
Nella fattispecie gli argomenti sono ‘fine vita’, ‘vita e morte’, ‘vivere e morire’, ‘transiti tra la vita e la morte’, ‘testamento biologico’, ‘accompagnamento al morire’, ‘volontà individuali’, ‘libertà di scelta’, ‘regolamentazioni del fine vita’, ‘rispetto’, ‘comprensione’ (aggiungerei anche ‘ascolto aperto’ o ‘apertura’ in generale, come keyword da tenere in lampeggiamento costante, in queste trattazioni come in molte altre, secondo me).
 
Non posso dunque non domandarmi, tentare osservazioni, su quest’ultima macro categoria di persone: i volontari rifiutatori. Senza alcun assolutismo, sia chiaro, men che meno necessità di individuare capri espiatori o grumi di malvagità. Non si tratta, insomma di buoni e cattivi. Quanto di provare a comprendere, per l’appunto.
Mi chiedo insomma, perché un italiano con le capacità e le possibilità per acquisire informazioni e rielaborarle in pensieri, convinzioni, ragionamenti critici; perché sceglie l’oblio? La non posizione? O la posizione comunque accennata, nebulosa? Perché preferisce la fuga, la virata verso altro, il silenzio?
 
In questa trattazione, le domande di cui sopra si riferiscono in particolare a quella che considero ‘la mia generazione’ ovvero maschi e femmine dai venticinque ai quarantacinque anni suppergiù, range ampio - lo ammetto - ma ugualmente significativo per valutazioni almeno preliminari.
 
Da quando seguo con particolari, potrei definire ‘prioritarie’ attenzioni, le tematiche di cui sopra, ho avuto l’opportunità di confrontarmi e ascoltare voci diverse, più facilmente entro quel range di età appena motivato. E oggi posso ragionevolmente riconoscere che sono di gran lunga superiori i volontari rifiutatori. Con sfumature altrettanto rilevanti (‘ti ascolto ma poi non ti rispondo’, ‘verrei all’evento ma non me la sento’, ‘ho seguito qualcosa’…) eppure sempre di ‘blocchi’, ‘buchi’ si tratta.
 
Ragionare in termini generazionali è sbagliato, forse.
E questa trattazione non è che raccolta di pensieri, logiche nate da esperienze vissute.
Sebbene mi resta tra le dita una sabbiolina fina. Un qualcosa che a tratti infastidisce i tocchi.
 
Il proibizionismo subito e respirato dalle precedenti generazioni, ad esempio quelle dei miei genitori senza voler scomodare ‘nonni’ o ‘avi’ in generale, quel proibizionismo poi materializzatosi in tabù verso grandi elementi del vivere come sesso-sessualità, morte-morire, diversità, manifestazioni affettive, corpo (e uso del), condivisioni (di scelte quanto pensieri, accadimenti quanto emozioni): quanto questi (e altri) tabù hanno oggi riflessi sulle generazioni di chi studia, lavora e in generale è in quella ‘fascia intermedia’ della vita in cui le prime formazioni sono già stata affrontate e con esse alcune delle prime scelte indicative sul come, dove, quando e con chi vivere la propria vita?
 
C’è però anche un altro fattore che credo in Italia oggi non andrebbe sottovalutato ovvero ‘l’educazione’ dove sottintendo l’ampia maglia dell’istruzione quanto di quei complessi e variegati comportamenti acquisiti nell’ambiente familiare, tra le persone con cui si è cresciuti assorbendone gesti, logiche, etiche e morali, modalità pratiche ed emotive di gestione delle giornate.
L’educazione plasma l’individuo.
 
Un bambino che non ha mai letto un libro in casa, faticherà a desiderare o a sentire il bisogno, la curiosità, l’esigenza di leggere crescendo, in autonomia. Suona terribilmente preconfezionata, come affermazione, indubbiamente lo è eppure palesa sensi concreti, riscontrati anche nel mio piccolo vissuto. Ci vuole più forza, volontà, desiderio profondo per fare qualcosa che esula dagli schemi a cui l’educazione ha abituato anche (forse soprattutto) se si tratta di qualcosa non associabile direttamente al ‘proibito’ dunque a scelte che etiche e morali individuano come male.
 
Allo stesso modo allora, se di morte, morire, fine vita, scelte su come morire, non si è mai sentito parlare (o comunque poco, di fretta, e superficialmente), né se n’è discusso nel proprio ambito familiare, nell’educazione, nel background insomma; io credo possa diventare estremamente faticoso farlo una volta superata l’adolescenza, una volta che si è nelle facoltà di decidere per sé, per le giornate a trecentosessanta gradi.
 
Forse i volontari rifiutatori sono destinati ad aumentare con le prossime generazioni a cui si vanno aggiungendo altre variabili complesse come un certo vivere di fretta, facendo molte cose, tra tecnologie, limiti sempre meno evidenti e superati di continuo, esigenze di intensità mordi e fuggi, ottenimenti immediati, importanze misurate con materialità tangibili e da tutti riconosciute (come importanze).
 
Forse i volontari rifiutatori sono semplicemente l’ennesima manifestazione della sopravvivenza umana, selezione naturale sentenziò Darwin.
 
Ragionando sui secoli precedenti, si è più volte notato come l’impossibilità di comunicare per distanze e tempi, l’impossibilità di venire a conoscenza, di comprendere (per mancati studi, mancati approfondimenti e usi delle potenzialità stesse della mente), ha condizionato le reazioni sociali nonché eventuali progressi umani verso l’umano.
 
Oggi, tra tecnologie, scienze, mezzi di comunicazione di massa, ricerche costanti in ogni settore possibile; oggi. Non mi sembra più sostenibile quell’impossibilità. Quell’ignoranza.
 
Oggi, mi sembra di vedere esposte radici meno vincolate a opportunità sociali e miseria (intesa come economica).
 
Oggi è un braccio di ferro tra l’uomo e l’uomo. Tra l’uomo e sé stesso.
 
Cosa c’è, tra i grandi temi del vivere, oggi, di ancora inesplorato? Quanto meno nelle strutture principali? Cosa? Secondo me davvero poco. Poi, volendo scavare, tanto, tantissimo, c’è da scoprire. Ma tra i fondamenti, siamo davvero ancora tra le soglie dell’ignoranza?
Io non penso.
 
Ne ‘I sommersi e i salvati’, Primo Levi propone analisi di dinamiche umane in precisi contesti, quelli dei lager, quelli del potere e dei privilegi, dinamiche che sentiva poco affrontate, poco capite e temeva finissero perdute.
 
Ragionevolmente, nel duemiladieci, possiamo trovare parallelismi con il ‘fine vita’, ‘il morire’, ‘la morte’ e ‘le volontà individuali’? Possiamo, ragionevolmente sostenere che mancano tasselli, affondi, analisi e che tali mancanze precludono prese di posizioni, ascolti, comprensioni, formulazioni di opinioni nonché confronti maturi?
Io non credo.
 
Sul morire, la morte e tutto il resto già ampiamente citato in questa trattazione, io credo ci sarà sempre qualcosa di inesplorato. Resteranno territori stranieri, comunque e ovunque l’uomo decida di andare e scavare.
Ma.
 
Tutto questo per rammentare poi tre ‘cose semplici’.
 
In Italia al 18 aprile 2010 non esiste una legislazione univoca, mirata, precisa e applicata in materia di ‘fine vita’, una legislazione che rispetti le scelte individuali, che non risenta di politiche, religioni, etiche e morali di un ‘collettivo’ che vorrebbe decidere per il ‘singolo’.
 
Di Eluana Englaro ce n’è stata una, morta il 9 Febbraio 2009, ma altri volti, altri corpi, presenti e futuri respirano (respireranno) in condizioni uguali o simili (e non escludo di essere io per prima uno di quei corpi).
 
Infine, ma non per un qualsiasi tipo di priorità: tu che leggi, in proposito, ce l’hai un’opinione? Una volontà? (E, in caso affermativo, appendice necessaria: sei consapevole che rispettare la tua volontà non sarà facile in Italia al 18 aprile 2010? Sei consapevole, e nulla ritieni di poter e voler dire/fare/tentare?).
 
 
 
 
Immagine: fotografia di dettaglio tela ‘Il fondo’ di Barbara Gozzi, spettacolo ‘Attorno al corpo di Eluana Englaro’.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares