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"Monti’s List", il risveglio delle élite

Poteri forti? Se con questa espressione si vuole indicare l'insieme delle eccellenze italiane che, dopo anni di torpore e di colpevole silenzio, hanno compreso che non era più rinviabile il proprio impegno diretto al servizio del Paese, allora non si può che esclamare: finalmente!

 

Ovviamente, un'adesione quasi acritica al nuovo corso postberlusconiano rischia di urtare la suscettibilità del populismo dogmatico di certa destra e di certa sinistra. Eppure è impossibile trattenere l'esultanza per il varo dell'esecutivo di specialisti guidato da Mario Monti.

Perché è quanto di meglio si potesse auspicare per provare a risollevare le sorti, non solo economiche e finanziarie, della nostra agonizzante nazione. E perché, da un'attenta analisi, finisce paradossalmente per risultare perfino più "politico" di molti altri governi che l'hanno preceduto benché non fornito di legittimazione democratica.

Anzi, a voler essere oltremodo precisi, non è per niente azzardato definirlo "governo risorgimentale". Sia per le particolari condizioni di attesa salvifica che ne hanno ispirato e accompagnato la nascita, sia per la sua apparente caratura valoriale (liberaldemocratica, liberalsocialista?) e per le storie personali di chi lo compone. E forse non è un caso che una simile creatura sia sorta a corollario delle straordinarie, per partecipazione civile e per attenzione mediatica, celebrazioni del 150° dell'Unità d'Italia. 

L'avvento della "Monti's List" segna il passaggio netto e repentino, innanzitutto su di un piano squisitamente culturale e politico, dall'ultraliberismo selvaggio e ideologico dell'asse berlusconian-leghista, a una forma più sobria e tranquillizzante di economia sociale di mercato. Dove al rigore e alle sperequazioni, almeno intenzionalmente, dovrebbero sostituirsi la crescita e l'equità.

Un potere forte è per definizione egoista e settario, interpreta la concorrenza come la legge del più forte, malsopporta le garanzie e i contrappesi richiesti dal welfare e dal mercato stesso. E', in estrema sintesi, quanto di più naturalmente illiberale possa esistere. Ergo, chi è allergico alle lobby e si perde oggi in estenuanti e cavillose esplorazioni intorno all'essenza del neonato governo, dovrebbe di contro gioire poiché la vera oligarchia, l'unica che ha consentito ai piccoli e gran maestri delle varie P2, P3 e P4 di prosperare nell'ombra, è stata appena rimossa.

Poter contare, finalmente, su una res publica guidata dai "migliori" e non da inetti ciarlatani privi di competenze e non di rado finanche di istruzione, è semplicemente un sollievo. E a chi obietta che gli illuminati cattedratici imposti a furor di complotto pluto-clerical-massonico non sono stati eletti dal popolo, bisognerebbe di grazia domandare: da quale popolo?

Quello "italiota" geneticamente predisposto a sostenere chicchessia, non in virtù di un convincimento ideale ma solo per il proprio tornaconto di suddito corrotto e compiacente? Lo stesso plasmato da decenni di insensata videocrazia, che non ha studiato e non si informa, fiero della propria pacchiana ignoranza? L'orda mediocre capace solo di innalzare, in meno di un secolo, duci e caimani sugli altari patrii?

Se è questo il popolo che taluni invocano ed esigono come sovrano, la squadra bocconiana di presunti tecnocrati dovrebbe allora durare sine die e per decreto presidenziale!

Fortunatamente, al di là delle provocazioni, non sarà così. E crollato il regime cartavelinato di Arcore, con tutti i positivi effetti politici che ne conseguiranno (espulsione della Lega e di ogni radicalismo vintage dal recinto di governo, scioglimento del bipolarismo muscolare, scomposizione e ricomposizione dei parapartiti della seconda repubblica), di tempo e di spazio per rifondare la nostra democrazia non mancheranno.

Sì, perché occorre adesso rieducare la gente a un nuovo senso di appartenenza e di cittadinanza, ripulendo la società - assieme alla stessa politica - dalle fetide incrostazioni del berlusconismo. Ivi compresa la tentazione, che più passano i giorni e più si appalesa come una triste realtà, di cancellare con un subdolo colpo di spugna le colpe di chi quell'epoca infausta l'ha prodotta e incarnata.

Se il disarmo generale - e l'impunità di qualcuno - servirà a rendere più agevole e privo di insidie il lavoro del nuovo governo, l'unico oggi veramente in grado di rappresentare gli interessi della Polis, e quindi a portare giovamento alla salute pubblica del Paese dopo vent'anni di disgraziato immobilismo e di odiosi schiamazzi, è un ultimo sacrificio che può valere la pena di sopportare. Ben sapendo che un giorno si tornerà a votare e che a quell'appuntamento ci si dovrà però presentare forti di un sostanziale rinnovamento etico e civile, alla base come al vertice.

Va da sé che il sistema nel suo complesso e la gretta partitocrazia italiana in particolare non possono più permettersi errori; ogni velleità di interferenza e di condizionamento deve essere bandita proprio per il bene della rinascita democratica.

Siamo dunque nelle mani dei migliori, che vanno sostenuti senza diffidenze da parte dei cittadini e senza ipocrisie da parte del sedicente ceto politico dirigente. Giorgio Napolitano e, da ultimo, il presidente della Camera Fini ci hanno messo a più riprese in guardia: se fallisce Monti, fallisce l'Italia.

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