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(In)ter(per)culturando: Minime osservazioni su ’Il romanzo e la realtà’ di Angelo Guglielmi

Dunque la realtà (o il reale, chiamomola come vogliamo) è un tutto unitario se pur composta di due parti ed è con questo tutto che lo scrittore deve fare i conti; misurarsi con la sua presenza, fargli posto seppure con modo trasposto, nella sua opera.
(pag.19-20)
 
Per questo periodo, in Italia, i macro temi di 'romanzo’ e ‘realtà’ ma anche - soprattutto - l'associazione dei due, sono in continuo dibattere, tra modi, toni, luoghi, modalità e dinamiche che dai contesti vis-a-vis sempre più spesso migrano nella rete virtuale.
 
Il libro di Angelo Guglielmi, pubblicato a maggio 2010 da Bompiani, per l’appunto intitolato Il romanzo e la realtà, sottotitolo: cronaca degli ultimi sessant’anni di narrativa italiana; esattamente cos’è?
 
Nella seconda di copertina si spiega: "Guglielmi traccia un originale bilancio della letteratura italiana contemporanea, dal 1950 a oggi, riflettendo sul rapporto tra realtà e rappresentazione artistica – un rapporto che chiama in causa categorie complesse come quelle di realismo o di imitazione. Contro la tesi facile di un contemporaneo “ritorno alla realtà” (in autori come Ammaniti, Lucarelli, Saviano, Scurati), Guglielmi oppone la convinzione che il reale sia orizzonte e obiettivo obbligato della scrittura. Dalla realtà il romanzo non può fuggire".
 
Eppure, tracciare un bilancio presuppone, al di là del significato etimologico e burocratico dominante, nel contesto letterario presuppone comunque un ‘mettere sul piatto’ un dare e un avere (più esattamente i dare e i gli avere) entro un ‘segmento’ di opere (e/o autori, e/o macro tematiche).
 
Tra l’altro Guglielmi rivendica il suo ruolo di “lettore critico militante interessato soltanto ad alcune manifestazioni della nostra più recente narrativa” piuttosto che l’etichetta di ‘storico della letteratura’.
 
Dunque, questo saggio cos’è?
Una raccolta suddivisa e articolata per logiche tematiche e anni, degli scritti di Guglielmi pubblicati individualmente nella carta stampata. Gli scritti naturalmente risalgono a periodi diversi, non sono stati concepiti per essere parte d’un intero.
 
Al di là delle singole analisi dell’autore, tra i fondatori del Gruppo 63, in questo saggio non c’è rielaborazione, visione d’insieme seppure entro le parzialità di libri scelti a scapito di altri (a maggior ragione, la stessa parzialità rivendicata dall’autore, cozza con il sottotitolo, non può essere una ‘cronaca degli ultimi sessant’anni di narrativa italiana’, non senza precisare di chi si è occupato Guglielmi e per esclusione dare modo al lettore di capire chi non c’è, cosa non è considerato).
 
Un riproporre gli scritti critici di Guglielmi che comunque restano pieni di spunti, ma è necessario contestualizzarli per capire che in questo libro gli inediti sono nettamente inferiori gli editi, ma soprattutto non c’è articolato e approfondito trattare di quanto letto e già scritto, di questo “filo”, come scrive l’autore che ha tirato nel “gomitolo aggrovigliato e confuso”.
Non basta un filo per tracciare un bilancio, e non è più così sottile, il gioco-forza editoriale che scatena nel lettore aspettative sapendo di non soddisfarle – almeno non complessivamente, non nelle essenze centrali di lingua e significati – nel prodotto-libro.

Mi trovo d’accordo con le osservazioni di Andrea Tarabbia, qui:
“[…] ci si sarebbe aspettati, visti il titolo, il sottotitolo e l’autore, un’idea critica forte, un bilancio di cinquant’anni di parole e non il semplice collage di materiali già editi.”
 
Su romanzo-e-realtà, c’è bisogno di fare un passo avanti, o di lato, o sopra o sotto, ma un passo oltre le singole recensioni e analisi. C'è bisogno rispetto ai dibattiti che si susseguono da anni, c'è bisogno rispetto alle confusioni, le miscelazioni tra modalità di scritture e tipologie di professionisti delle parole e della realtà.
Un passo svincolato dai singoli libri, però, dalle singole pubblicazioni e da ciò che volta per volta si è scritto su di essi. Ampliare il raggio di visuale, questo manca, fornire strumenti al lettore-fruitore di contenuti (qualunque essi siano, tra romanzo e realtà oggi in Italia spesso si mischiano luoghi, voci, ruoli e intenti).
Un passo che questo saggio non ha, fatta eccezione per alcuni brevissimi inediti come l'introduzione. Ma manca una concreta visione d'insieme ad oggi (l'oggi della pubblicazione certo, il 2010 o 2009, considerando i tempi tecnici editoriali). Manca il guardare il composito dall'alto, fissarne caratteristiche, sfaldature, sbavature. Manca il provare a dire, sostenere tesi su ciò che ancora c'è tra 'romanzo' e 'realtà', su ciò che negli ultimi decenni c'è stato e ha scatenato tra gli autori italiani.
 
Tra l'altro, il concetto di 'realtà' è sempre più mescolato e dosato con grande varietà, al concetto di 'fiction' in - ormai - ogni contesto. Tra mass media, libri, cinema, tv, web: è pressoché tutto reale e finzione alimentato da usi linguistici e da strumenti di marketing (è fiction l'intervista durante la tal trasmissione nel canale nazionale coi gesti, i toni e i modi calibrati a scatenare i giusti ritmi di attesa, lacrima e commozione; è realtà la storia scritta dal tal autore con palesi assonanze rispetto al suo vissuto o a accadimenti storici passati? Evidentemente non è negli estremi che si rintracciano verità anche parziali, soggettive. Resta - a mio avviso - un momento molto delicato per l'Italia in continuo bilico tra Storia e storia, fatti e reimpasti immaginativi).
 
 
Dalla quarta di copertina:
“[…] Il ritorno alla realtà (di cui io stesso in qualche occasione ho parlato) è una frase di comodo," con la quale si intende rilevare che oggi (da qualche anno a questa parte) lo scrittore (quella specie di scrittore che è il romanziere) stanco di rivolgersi a una cerchia di esperti o comunque di lettori molto avveduti, vuole tornare a essere comprensibile, dico leggibile, e riprovarsi nel romanzo di fatti. E qui nascono gli equivoci. La realtà della cronaca continua a essere irraccontabile (e certo più di ieri giacché vittima di guasti sempre più certi) se non in chiave di inchiesta giornalistica più o meno brillantemente congegnata (magari con intervento di elemento di fiction) o ricorrendo alla forma del giallo, del romanzo a suspance, dove l'attesa del lettore (il come va a finire) che fa aggio su ogni altro elemento di merito.
(pag.20)

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