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Migranti: 244 milioni nel mondo, in forte aumento

E’ stato recentemente reso pubblico l’ultimo “international migration report” dell’Onu, relativo al 2015. In questo rapporto sono contenuti dati molto interessanti, anche perché poco conosciuti. Infatti spesso si esaminano le problematiche inerenti i migranti senza avere a disposizione dati precisi.

Secondo il rapporto, complessivamente, nel mondo, i migranti erano 244 milioni, al termine dell’anno passato. Quindi, in 15 anni, rispetto al 2000, il loro numero è aumentato considerevolmente, di 71 milioni di unità, ad un tasso medio annuo del 2,3%

Se tale tasso di incremento annuo si confermasse anche nel prossimo futuro, in 30 anni il numero dei migranti si raddoppierebbe.

Ad alimentare maggiormente le partenze è in primo luogo il continente asiatico, con 104 milioni di persone residenti altrove nel 2015 (quasi la metà del totale mondiale): in particolare indiani (16 milioni), cinesi (10 milioni), originari del Bangladesh e del Pakistan.

Anche l’Europa svolge un ruolo da protagonista, nell’ambito dei flussi migratori, con 62 milioni di migranti (il 25% del totale mondiale) tra i quali russi e ucraini in testa (11 e 6 milioni).

Chi se ne va preferisce i Paesi con le migliori prospettive dal punto di vista economico, considerando non sola ricchezza ma anche la situazione del welfare.

Pertanto, l’Europa è al primo posto tra le principali aree verso le quali si dirigono i migranti (ne ospita 76 milioni), seguito dall’Asia (75 milioni) e dall’America del Nord (54 milioni).

Scendendo nel dettaglio, si notano comunque scelte molto concentrate. Due terzi dei migranti abitano in appena 20 Paesi.

Al primo posto tra i Paesi che accolgono i migranti ci sono gli Stati Uniti d’America: con 47 milioni di “non autoctoni” assorbono quasi un quinto del movimento mondiale, un dato che presumibilmente è alimentato dalla forte presenza di persone provenienti dal Messico (subito dopo l’India nella classifica dei Paesi più “abbandonati”).

Si torna però in Europa con il secondo e il terzo posto dei Paesi più ambìti: Germania e Russia ospitano 12 milioni di migranti ciascuna.

Seguono Arabia Saudita, Regno Unito ed Emirati Arabi.

Per quanto riguarda le caratteristiche dei migranti, secondo il rapporto dell’Onu, la quota delle donne è scesa dal 2000 al 2015 (dal 49,1% al 48,2%), è cresciuta l’età media, da 38 a 39 anni, è aumentata la percentuale degli under 20, 37 milioni, il 15% del totale.

Si può legittimamente sostenere, quindi, che tale notevole incremento dei migranti non sia dovuto solamente ad eventi eccezionali, quali le guerre, ma anche e soprattutto dal persistere di profonde diseguaglianze economiche.

Quindi nel determinare i flussi migratori svolgono un ruolo molto importante le motivazioni di natura economica.

E non deve stupire il fatto che i due terzi dei migranti provengano dai cosiddetti Paesi a “medio reddito” e che, pertanto, il peso delle provenienze dai Paesi a “basso reddito”, quelli in povertà estrema, rimanga ancora relativamente modesto, sebbene destinato, in futuro, ad accrescersi notevolmente.

Infatti è proprio nei Paesi dove le condizioni economiche sono peggiori che risultano assenti i requisiti minimi a sostegno della scelta di emigrare.

Una considerazione finale è d’obbligo.

Se si intende impedire davvero che i flussi migratori assumano in futuro dimensioni che rendano sempre più problematica l’accoglienza nei Paesi di destinazione, non si potrà fare a meno di realizzare interventi volti a ad accrescere considerevolmente le opportunità occupazionali nei Paesi a più basso reddito.

E tale obiettivo deve essere perseguito anche dai Paesi più sviluppati, proprio quelli più “appetibili” dai potenziali migranti, riducendo così le diseguaglianze economiche che, invece, anche negli anni delle crisi economiche, si sono accentuate, sia all’interno dei Paesi sviluppati che tra questi ultimi e i Paesi più poveri.

Diversamente, non saranno sufficienti le frontiere, i muri, per ostacolare un ulteriore incremento dei migranti che sarebbe a quel punto inevitabile.

 

Foto: Boquet/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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