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Mente = Emozioni + Ragione x Cultura

Nel libro “Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni” (Baldini Castoldi Dalai, 2003) del famoso neurobiologo Joseph LeDoux (docente alla New York University), si fa l’anatomia del cervello e di una delle emozioni principali dell’uomo: la paura (ma si parla pure di gioia, odio, rabbia, ansia, depressione, ecc.).

E posso anticipare che la cosa fondamentale che gli scienziati hanno capito, è che la coscienza si capirà soltanto indagando i processi inconsci che la rendono possibile e che “la lotta tra pensiero ed emozione potrà risolversi non solo quando le cognizioni corticali prevarranno sui sistemi emotivi, ma anche quando il cervello avrà integrato più armoniosamente ragione e passione” (LeDoux, p. 23).

Ma uno dei limiti più grandi a tutte queste ricerche sull’uomo sono gli studi di laboratorio (es. sui malati col cervello scisso per “curare” l’epilessia) e quelli sugli animali. Primo, perché il periodo storico in cui lo scienziato studia un fenomeno non è mai uguale a quello precedente, secondo perché le variabili nella vita reale in società e nella natura sono molto più numerose e inseparabili. Invece in laboratorio si isolano alcune variabili per osservarle meglio, ma nello stesso tempo si “snaturano”… Un po’ come accade nello studio delle particelle dell’atomo nella fisica. E per ultima cosa posso dire che le ricerche sugli animali sono le più discutibili, perché se è vero che condividiamo un “cervello rettiliano” profondo molto simile a quello di molti mammiferi, è anche vero che nell’uomo questi processi sono integrati e arricchiti in modi molto diversi, e sono molto “personalizzati” a seconda delle esperienze, della famiglia e delle culture di riferimento che ogni individuo ha avuto nella vita. Ma le tecniche di Neuroimaging possono aiutare molto…

Anche Daniel Goleman ha sottolineato l’importanza delle capacità empatiche e dell’intelligenza emotiva (il suo libro più famoso è “L’intelligenza emotiva”) da affiancare alle capacità razionali per riuscire ad avere successo nella vita. Per quanto riguarda invece i processi di elaborazione dell’informazione emotiva si possono leggere gli scritti di Antonio Damasio (“L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano”, ecc.) e quelli di Mike Gazzaniga (“Il cervello sociale, Giunti, 1989; “La mente della natura”, Garzanti, 1997).

Comunque bisogna considerare che a volte, chi prova le emozioni è meno attendibile di chi le osserva: perché le persone reagiscono emotivamente al mondo in maniera complessa, ma, cosa più importante, le loro emozioni portano ad agire o a non agire sul mondo (Jon Elster), e quindi spesso “gli osservatori esterni sanno giudicare lo stato emotivo di una persona molto meglio del diretto interessato” (Donald Hebb), che magari è invischiato a sopravvivere in “strutture di potere asimmetrico” che danno dipendenza (coniuge, datore di lavoro, capoufficio, ecc.). Infatti le scienze psicologiche e gli operatori della mente (psicologi, psichiatri, psicoanalisti, ecc.) basano la loro esistenza su questo tipo di assunto: non ci sarebbe bisogno di loro se la nostra comprensione del nesso causale tra pensiero e azione fosse direttamente accessibile all’introspezione (Kenneth Bowers). Ricordiamo però che l’uomo che non ha mai avuto nessuna crisi non è in grado di giudicare nulla (Johann Heinrich Zedler, 1737).

Per quanto riguarda le sedi anatomofisiologiche delle emozioni si può tranquillamente affermare che siccome le funzioni coinvolte nella sopravvivenza sono diverse (ricerca del cibo e del partner, difesa dal pericolo e della progenie), e collegate a differenti sistemi cerebrali emotivi, più o meno ravvicinati e collegati, non si può parlare di un solo cervello emotivo limbico intero e ben definito (J. LeDoux, pag. 106). Inoltre accade regolarmente che il “cervello emotivo” e quello pensante operino in parallelo ma con codici diversi, e quindi non siano per forza in grado di comunicare l’uno con l’altro e i problemi psichiatrici possono rappresentare l’operare del cervello emotivo, indipendentemente da quello pensante (p. 102). Quindi il cervello viscerale non è “inconscio”… ma sfugge “all’intelletto perché la sua struttura animalistica e primitiva gli rende impossibile comunicare in termini verbali” (p. 99).

Perciò per verificare la diversità dei diversi sistemi emozionali, il ricercatore ha deciso di concentrare le sue energie su un’emozione specifica: la paura. Anche perché come afferma il famoso etologo delle popolazioni umane, Irenaus Eibl-Eibesfeldt (“Etologia della guerra” e “Amore e odio” sono due libri stupendi): “l’uomo è forse la creatura più timorosa che ci sia, poiché alla paura elementare dei predatori e dei membri ostili della sua stessa specie, si aggiungono le paure esistenziali portate dal suo stesso intelletto”. Le reazioni principali alla paura sono tre: la fuga quando si è vicini a un rifugio (che nell’uomo può originare il sentimento di paura anticipatoria senza stimolo esterno: l’ansia), l’attacco con morsi e graffi nel caso di un aggressore presente a distanza ravvicinata (utilizzando la rabbia più aggressiva), e poi la meno famosa inibizione all’azione, che ha la funzione di immobilizzare l’organismo vivente sul posto, magari nascosto tra dei ripari naturali come rocce e foglie (quasi tutti i predatori reagiscono al movimento). Oggi il sistema emotivo di inibizione all’azione potrebbe essere responsabile della grande diffusione degli stati di depressione (più o meno grave) nelle società industrializzate. Il ricercatore francese Henri Laborit ha studiato a fondo i processi di inibizione all’azione e si può avere una panoramica del suo pensiero nel libro: “Conversazioni con Henri Laborit. La libertà come fuga” (a cura di Claude Grenié, Elèuthera, Milano).

Dalle ricerche emerge che l’amigdala è la sede principale della valutazione del significato emotivo dello stimolo sensoriale che può dare l’innesco alla reazione paurosa, ed è collegata con l’ippocampo (sede della memoria cosciente a lungo termine) , il talamo sensoriale, che è la via breve, rapida e inconscia (che scatena la reazione istintiva ed istantanea) e l’ipotalamo (che rilascia insieme all’ipofisi gli ormoni dello stress). Poi, sempre l’amigdala, si connette alla corteccia: la cerebrale mediale-prefrontale (che dirige l’attenzione e “spegne” l’emozione), la rinale o transizionale (che fonde i diversi stimoli in un’esperienza onnicomprensiva) e quella sensoriale (registra la percezione e la memoria breve termine), che sono le vie più lunghe, lente e coscienti, di valutazione e controllo secondario o “ritardato”. Quindi l’amigdala, da come è sistemata, si può considerare come “il mozzo della ruota della paura”, e rappresenta la sede della memoria inconscia, che può anche dar luogo alle reazioni emotive incontrollabili e indesiderate. Infatti “i ricordi inconsci di paura (intensa) sembrano impressi a fuoco nel cervello ed è probabile che ci accompagnino per tutta la vita” (LeDoux),e si può “solo” sperare di riuscire a controllarli (Roger Pitman, psichiatra).

Perciò “la vita è tutta memoria, salvo l’attimo presente che ci passa davanti talmente in fretta che quasi non riusciamo ad afferrarlo” (Tennessee Williams). E la coscienza sarebbe un processo seriale virtuale, cioè un processore parallelo che agisce come uno seriale (Daniel Dennett, “Coscienza”, Rizzoli, 1993). I processi seriali creano le rappresentazioni attraverso la manipolazione di simboli (Stephen Kosslyn, “Le immagini della mente”, Giunti, 1989). Noi siamo coscienti dell’informazione rappresentata simbolicamente e la sua elaborazione da parte dei processi in parallelo, avviene subsimbolicamente e con codici inconsci (Philip Johnson Laird, ”La mente e il computer: introduzione alla mente cognitiva”, Il Mulino, 1990).

Dal libro emerge ancora la difficoltà degli specialisti di definire con precisione la complessità di un organo, “il cervello, che è più vasto del cielo” (Emily Dickinson, Poesie), e si scopre che ”la sola ragione d’essere di un essere è essere, quindi agire, per mantenere il suo essere: un sistema nervoso serve per agire” (Henri Laborit). E oggi, come in ogni tempo, il cervello rimane sempre la fragile dimora dell’anima (Shakespeare).

E anche nel 2008 rimane sostanzialmente vera l’affermazione di Oscar Wilde: “Poiché l’Umanità non ha mai saputo dove stesse andando, ha saputo trovare la propria via”.

Però, chissà… Se Einstein avesse studiato il cervello forse avrebbe scritto questa formula:

MENTE = EMOZIONI + RAGIONE x CULTURA = PERSONA = CORPO x SPAZIO x TEMPO

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