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Matteo Laffer e il deficit della felicità

Presentata la legge di Stabilità 2016. Non ci sono novità rilevanti rispetto a quanto predisposto nella nota di aggiornamento del Def, quindi il commento sarà piuttosto sintetico. Il nostro premier, aduso a spettacolari giravolte quanto e più di chi lo ha preceduto in questi lunghi anni di viaggio verso il dissesto, ha scoperto che far deficit vuol dire fiducia, e si accinge ad andare in guerra contro i “burocrati di Bruxelles”. Ignorando alcuni dettagli pesanti nel suo gioco d’azzardo col futuro del paese.

La manovra è fatta quasi esclusivamente a deficit, che serve a disinnescare per il solo 2016 le clausole di salvaguardia, che torneranno ad inseguirci nel 2017, cumulandosi per via inerziale come l’interesse su una cambiale. Non c’è spending review, di fatto. Il taglio di tasse fatto a deficit, in un paese con un elevatissimo rapporto debito-Pil ed una crescita talmente anemica da mettere a rischio la sostenibilità del debito, è un azzardo estremo. Ma Renzi sta puntando tutto su una sorta di lafferismo de noantri: taglio le tasse, in deficit, la gente si entusiasma, spende, i consumi ripartono, portandosi dietro investimenti e gettito fiscale, ed ecco quadrato il cerchio. Troppo bello per essere vero, troppo semplicistico per non essere Renzi.

In parallelo a questa levata d’ingegno, Renzi gioca la carta del nazionalismo anti-Ue, contro gli odiati “burocrati di Bruxelles”, che tuttavia non sono burocrati ma leader politici, e la cosa può andare a nostro favore o contro di noi. “Se Bruxelles boccia la legge di Stabilità, noi glie la restituiamo tale e quale”, ha detto il premier a Radio24. Posizione che magari farà anche piacere ai nazionalisti in scarpe di cartone di casa nostra e fors’anche a qualche no-euro, viste le singolari somiglianze tra la “stampa della felicità” ed il deficit verso il “rinascimento italiano” renziano. Anche sotto l’aspetto formale Renzi crede di aver ragione: siamo sotto il “parametro di Maastricht”, insiste a dire, riferendosi al 3% dei deficit-Pil, mentre altri paesi (Spagna e Francia, per non fare nomi) sono violatori seriali della “regoletta stupida” già di prodiana memoria. Vero. Se non fosse che, negli ultimi anni, al parametro di Maastricht si è aggiunto quello del deficit-Pil strutturale, cioè corretto per il ciclo economico, che è legato all’obiettivo di medio termine e che è architrave del Fiscal Compact. Renzi questo parametro lo ignora deliberatamente, anzi pare proprio volerlo rottamare.

Dalla reazione di Bruxelles, ma anche di Berlino e delle altre capitali si comprenderà anche il futuro dell’Eurozona. Se cioè prevarrà il compromesso ed il rinvio oppure se si andrà allo scontro con l’Italia, aprendo la procedura di squilibrio macroeconomico per manifesta assenza di progressi nella riduzione del rapporto debito-Pil. Renzi e Padoan sanno che da questo versante sono assai vulnerabili, visto che la loro previsione di un calo del rapporto di debito di circa un punto percentuale nel 2016 poggia sulle fragilissime fondamenta della crescita del Pil nominale che a sua volta richiede un’inflazione all’1%, che oggi appare una chimera. In un quadro economico globale che appare molto fragile, l’Italia non può rappresentarsi come un’isola felice: non è questione di fiducia e positività contro vittimismo ma di banale realismo. Fare manovre economiche procicliche è l’essenza della politica ma spesso porta dritto nel burrone, come ben sanno soprattutto in Sudamerica (citofonare Dilma Rousseff, se proprio non volete prendere esempi da Argentina e Venezuela)

Un nuovo rovescio congiunturale e con il nostro rapporto debito-Pil finiamo male, anzi malissimo, e Renzi dovrà fuggire di notte, politicamente parlando e forse non solo quello. Ma da oggi in avanti capiremo se gli italiani, a maggioranza, rottameranno l’equivalenza ricardiana. Per l'”espressione geografica” che ha prodotto Collodi e Pinocchio, col suo Orto dei Miracoli, non sarebbe evento inedito, dopo tutto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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