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Matera, il magnetismo di una città antica aggrappata a un burrone

Da "vergogna nazionale" a patrimonio Unesco, i Sassi colpiscono il visitatore per la singolare bellezza. 

Può una città definirsi magnetica? Dopo aver visitato Matera, direi di sì. Addirittura io potrei dire di esserne stregata: il desiderio di andarci era talmente forte che una notte me la sognai pure (un sogno tormentato, a dire il vero) e appena me la sono lasciata alle spalle, una decina di giorni fa, ho sentito - e sento tuttora - la necessità di tornarci il prima possibile, nonostante i 900 chilometri di distanza. 

Matera, tuttavia, con i suoi antichi rioni, il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso, non può essere definita bella nel senso classico del termine. Non è sontuosa come Vicenza o Lecce, né pittoresca come Siena o Amalfi. Matera è di quella bellezza un po' sghemba, di quel fascino sinistro quasi, che la fa somigliare ad una bella ragazza con un accentuato strabismo di Venere. Una bellezza imperfetta, quindi, ma non comune, che lascia il segno. 

Sono sensazioni, del resto, che riflettono la paradossale storia della "città sotterranea" della Lucania. Da "vergogna nazionale" nel secondo dopoguerra italiano, Matera è infatti passata, nel 1993, all'iscrizione nella lista del patrimonio mondiale Unesco (primo sito dell'Italia meridionale). Dalle abitazioni trogloditiche, in cui le famiglie, a metà del secolo scorso, dividevano gli spazi con muli e pecore, la città è ora candidata al titolo di capitale europea della cultura per il 2019.

In poco più di 60 anni, quindi, la città dei Sassi ha prima toccato il fondo di una storia ultramillenaria e poi ha via via risalito la china, ha compreso il proprio altissimo potenziale e si sta ora riscattando in chiave turistico-culturale.

Il mio primo impatto con la città vecchia è stato folgorante. Dopo aver attraversato in auto la parte più moderna di Matera, su un pianoro, ho raggiunto a piedi piazza Vittorio Veneto, dove, quasi per caso, mi sono affacciata al belvedere. Da non credere. Senza soluzione di continuità, complice il dirupo che rivestono, hanno invaso il mio campo visivo porzioni di case (il resto è scavato nella pietra), comignoli, tetti, finestre, porte, scalinate. Come scrisse Carlo Levi a proposito dei Sassi in "Cristo si è fermato a Eboli", nei primi anni Quaranta del secolo scorso, "… in quello stretto spazio fra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto". O come riportavano già nel 1500 le cronache a proposito dei contadini, che all'imbrunire usavano accendere dei lumi fuori dalle abitazioni, cosicché a chi guardava i Sassi dall'alto, pareva di vedere un cielo stellato sotto ai propri piedi.

Oggi, a distanza di 500 anni, pur essendoci più possibilità di viaggiare, è comunque difficile provare altrove simili emozioni. Perché anche a Positano, nella Costiera amalfitana, per dire, le abitazioni sono una sopra l'altra, con numerosissime scalinate che dalla cima del paese portano alla spiaggia. Ma là l'abitato - pittoresco per definizione - si affaccia sul mare aperto blu cobalto e le case sono colorate. Nei Sassi di Matera, invece, le abitazioni (e le circa 160 chiese rupestri censite) sono scavate, scolpite nel tufo calcareo di un canyon (da queste parti si dice "gravina") sul cui fondo scorre uno striminzito torrentello, e di fronte hanno la vista chiusa da un'alta sponda dell'altopiano calcareo delle Murge, spoglia e bucata da numerose grotte antiche, trasformate in chiese dai monaci benedettini e bizantini, i cui ingressi appaiono neri come i denti che mancano a un sorriso. Eppure questa sua posizione nascosta in un anfratto del terreno, che richiama il celarsi dei pipistrelli nelle grotte, ha di fatto protetto Matera nei secoli.

Tant'è che, immobile come una cartolina, a metà strada tra un presepe di cartapesta e un set cinematografico in attesa dell'arrivo di una troupe per il primo ciak, Matera è stata scelta per ambientarvi numerosi film, da "Il vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini a "La passione di Cristo" di Mel Gibson a "King David" con Richard Gere, tanto da essere soprannominata la Gerusalemme lucana. Senza contare la pellicola di Francesco Rosi, tratta dall'omonimo romanzo di Levi, cui accennavo prima, con il quale l'autore denunciò le scarsissime condizioni igienico-sanitarie in cui, nella metà del secolo scorso, vivevano oltre 15 mila persone, più della metà degli abitanti della Matera di allora.

Se nei secoli precedenti infatti i Sassi erano abitati in un modo eccezionalmente armonioso con l'ambiente, con cisterne e ingegnosi sistemi di raccolta delle acque, al punto da essere definiti"paesaggio culturale" dall'Unesco e per questo meritarsi l'iscrizione nel patrimonio dell'umanità, una crescita esponenziale della popolazione portò gli abitanti addirittura ad occupare le cisterne, adattate a monolocali. Fu così che i governi degli anni 1950-60 si videro costretti a emanare specifiche leggi per imporre il totale trasferimento degli abitanti dei Sassi in quartieri periferici appositamente realizzati per loro da celebri architetti.  

I Sassi poi sono rimasti per lungo tempo disabitati, ma a partire dagli anni Ottanta, e soprattutto dopo il riconoscimento Unesco, sono tornati ad essere popolati, grazie all'impegno di associazioni, appassionati, intellettuali. Al punto che ora alcune case-grotta sono state riconvertite in ristoranti (io stessa ho pranzato in uno di questi: Da Francesca, via Buozzi 9, a due passi da piazza S. Pietro Caveoso), in confortevoli b&b e addirittura in relais di lusso con piscina. In questo modo i Sassi - e la Civita, il nucleo più antico della città posto su uno sperone roccioso che divide i due antichi rioni - evitano di diventare un museo (sopra e sotto terra) e sembra anzi non aspettino altro che inghiottirti nel loro mezzo, nel dedalo di scale e viuzze in pietra, dove è impossibile non perdersi, complici gli scorci mozzafiato e le prospettive inedite che si aprono tra le case ad ogni passo. 

Meritano inoltre una visita almeno alcune delle chiese scolpite nella pietra (lo sono tutte nei Sassi, eccetto la chiesa di S. Pietro Caveoso). In particolare la chiesa di S. Maria dell'Idris, in panoramica posizione sullo sperone di roccia che domina il Sasso Caveoso, e il complesso monastico della Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci (ingresso 5 euro): due chiese, una sovrapposta all'altra, le cui grotte sono comunicanti tra loro, e alle quali si accede da un'anonima porta lungo il muro della lunga via Madonna delle Virtù, la strada che si affaccia sulla gravina. Tra gli affreschi, le colonne e le balaustre scolpite nella pietra calcarea, sono peraltro sempre ospitate interessanti mostre di arte moderna e contemporanea, sapientemente illuminate nella penombra delle grotte.

Volendo, poi, si potrebbe approfittare per farsi accompagnare da una delle numerosissime guide che si offrono ai turisti lungo il cammino. Ma attenzione nella scelta: durante il mio girovagare armata di ben tre guide stampate (Touring Club, Lonely Planet e Dumont), ne ho sentite all'opera un paio che mi han fatto sbellicare dalle risate.

Per i più pigri, segnalo invece di aver visto circolare per i Sassi turisti a bordo di veicoli elettrici biposto, le Twizy Renault. E se le grandi città offrono i grandi bus a due piani per i city sightseeing, i tortuosi percorsi dei Sassi non possono che avvalersi dei piccoli Ape Calessini, i noti tre ruote coi cassoni adattati al trasporto di due persone.

Numerosissime infine le botteghette di artigiani che lavorano il tufo (o la polvere di tufo) per ricavarne rosoni, portacandele, orologi da parete, presepi miniaturizzati, lampade ornamentali... Non è di tufo, poi, ma di terracotta, il colorato cucù, esposto in tutte le bancarelle: un piccolo fischietto della tradizione locale, che alcuni dicono scacci il malocchio, altri che porti prosperità. 

Io mi sono attardata, ad esempio, a farmi fare espresso un timbro per il pane nel laboratorio-studio d'arte di Massimo Casiello (via Ridola 40): in circa mezz'oretta, il giovane artigiano ha ricavato con il tornio, intagliato e rifinito con lima e pennello una piccola torre in legno (che funge da manico), con la quale lo zio cui l'ho regalato potrà marchiare con le sue iniziali il pane che usa fare in casa. Era questa infatti un'antica usanza delle donne dei Sassi per riconoscere il proprio pane dopo averlo portato a cuocere nei due soli forni a disposizione a Matera.  

Non contenta, risalendo via Madonna delle Virtù, son finita risucchiata dentro ad un'altra anonima porta nella roccia, dove si è aperto un minuscolo laboratorio artigianale scavato nella pietra e pieno di presepi di tufo in miniatura di tutte le misure, perfino illuminati. L'artigiano, con il camice bianco e la scritta "Vincenzo Galante, artista" sul taschino, mi ha generosamente resa edotta dei "segreti" del suo mestiere, peraltro premiato in più concorsi e i cui manufatti finiscono perfino in Brasile.

In questo modo non sono purtroppo riuscita a giungere in tempo, prima della chiusura delle 18, a Casa Noha, nei pressi della cattedrale (chiusa per restauro) di piazza Duomo, da cui si gode di un'impareggiabile vista sul Sasso Barisano. Un vero peccato perché il Fai, il Fondo per l'ambiente italiano, ha recentemente ricavato da un'antica dimora nei Sassi un centro di informazioni turistiche e di documentazione che con l'impiego delle nuove tecnologie e attraverso documenti rari e inediti mostra una ricostruzione completa della storia della città da diverse prospettive, dall'architettura alla storia dell'arte, dall'archeologia alla storia del cinema. 

Un motivo in più per tornare in questa straordinaria città.

 

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