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Master: formazione o disoccupazione?

La Laurea? Non basta ci vuole il Master. Il Master? Non basta ci vuole l'MBA. Quel confine sottile tra presa in giro e realtà. Sullo sfondo, la precarietà, come la disoccupazione, non conosce crisi. Il racconto di un'esperienza personale.

Non è tanto la realtà della precarietà a farci paura. È la non-realtà delle illusioni che si instaurano come correlato della crisi a farci venire la nausea. Una per tutte, i Master. Punta di diamante del business della Formazione al tempo della disoccupazione giovanile al 36%. Ne trovate in giro ovunque. Vengono proposti alla leggera da agenzie per il lavoro, società di consulenza e prestigiose Università. Come panacea di tutti i mali. Ansia da lavoro? Non preoccuparti, c'è il master che fa per te. Magari se è anche finanziato dallo Stato, meglio ancora. Mi spiace che i maggiori quotidiani nazionali e i media in generale, in un contesto di debito pubblico oltre il 120%, non abbiano raccontato la triste fine dei fondi pubblici Inpdap per la formazione, così come dei Voucher regionali. C'è da stringere la cinghia tutti insieme. Esatto. Tranne però i giovani o i giovani-adulti. Categoria a parte. Sbeffeggiata da un lato dal ministro di turno e dall'altro costretta a mungere liquidità da uno Stato, che, oltre a non far nulla dal punto di vista legislativo per risolvere il dramma della precarietà/sotto-occupazione/disoccupazione, alimenta, con soldi suoi, sotto-occupati.

La mia esperienza personale: Master in Gestione Risorse Umane presso Alma Graduate School a Bologna. Anno di grazia 2011-2012. La brochure recita “Scegli tu il tuo stage” e “90% dei frequentanti ha trovato un'occupazione entro sei mesi dalla fine del Master” (Salvo poi specificare in una noticina in cui si fa riferimento all'anno 2009-2010). Il costo a mercato è di 10800 euro. Impossibile da sostenere. Ma, aspetta un attimo. C'è lo Stato. Ci sono i finanziamenti pubblici che coprono fino a 10000 euro. C'è l'Inpdap. Ente dichiarato soppresso nell'ultima finanziaria (era autunno 2011), ma, per fortuna, si fa in tempo, mi son detto. Che bello. Anche perché l'alternativa è cercare di sopravvivere con 250 euro al mese presso un piccolo centro di formazione, in stage, senza alcuna prospettiva di assunzione. Il Master, tra l'altro, si presenta bene. Strutturalmente si svolge all'interno di un'antica villa del Settecento, circondata dal verde e dal panorama che fa scorgere i colli bolognesi, sotto di noi. Le aule sono affrescate da dipinti antichi. L'isolamento dal mondo esterno ci conforta, per sei mesi.

“Non pensate allo stage. Non avete nulla di cui preoccuparvi”. Ci dicono dall'ufficio placement. Eh già. Perché il tirocinio, che dal punto di vista della Business School bolognese, rappresenta solo il completamento del percorso formativo, dal nostro vuol dire occupazione, opportunità di rimettersi in gioco. E senza la possibilità dello stage, probabilmente gli iscritti sarebbero stati in 5 invece di 40, complici le borse di studio e i voucher regionali. Fatto sta che la fase d'aula termina a fine luglio scorso. Sei mesi di docenza, per certi aspetti ottima, e andirivieni dal centro di Bologna stipati all'interno di una “navetta” che di persone può contenerne una ventina al massimo. Di Master all'Alma Graduate ne sono cinque. In più ci sono gli MBA. Da gennaio a luglio vanno su e giù dai colli circa centocinquanta studenti. Tra macchine private, taxi (chi può) e mininavetta ci si arrangia. Ma non è quello che ti aspetti dopo aver (direttamente o indirettamente) speso undicimila euro. Evidentemente quando c'è da chiedere ideologicamente meno Stato, i sapientoni delle Business School sono in prima linea. Così come sono in prima linea quando c'è da accaparrarsi fondi pubblici. Quando invece c'è da investire, magari in navette private, non sia mai. Ad ogni modo il problema principale, ad oggi, a dicembre, è che ci si ritrova senza ancora aver fatto il fantomatico stage. Perché? Perché in pratica l'ufficio placement funziona come fosse un'agenzia interinale.

Purtroppo trovare uno stage è come trovare lavoro. Le aziende hanno determinati requisiti da dover soddisfare e voi spesso non rientrate in questi requisiti”, ci viene detto. Benissimo. Ma allora chi ha fatto la selezione inizialmente forse sapeva già che molti profili (tipo oltre i 29 anni di età e con inglese non proprio fluente), avrebbero avuto difficoltà enormi ad essere inseriti anche in un semplice percorso di stage. Perchè prendere in considerazione tutti con l'illusione dello stage garantito? Quando poi dall'ufficio placement ti mandano a fare colloqui per le agenzie interinali a 250-300 euro al mese senza prospettive di assunzione, mentre la brochure recita “entri nell'azienda dalla porta principale” o “scegli tu il tuo stage tra le nostre aziende partner”, si è assaliti da uno sconforto che solo il rimorso per aver buttato un anno fuori dalla finestra, può dare.

Non è questione di essere “choosy”. È la dignità di cui è ormai priva il lavoro il problema. Oggi però c'è una consapevolezza in più. Non bisogna fidarsi mai di quella Formazione che promette mari e monti e ti fa restare con le briciole. La crisi economica è una tragedia. Come il terremoto. Ma non abbiamo bisogno di sciacalli.

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