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Malasanità e associazioni dei pazienti

Le Associazioni dei pazienti rivestono un ruolo fondamentale, oltre a quello informativo e di difesa, in quanto consentono a chi soffre di non sentirsi più solo e abbandonato.

Iscrivendosi all’associazione si ha la possibilità di confrontarsi con altre persone che hanno lo stesso problema, di avere sempre un punto di riferimento su cui contare per qualunque necessità, di essere rappresentati e difesi a livello istituzionale, politico giuridico e sociale, di stimolare il mondo scientifico ad una ricerca sempre più approfondita.
 
La tutela della salute è un diritto. Il coinvolgimento delle associazioni pazienti-familiari nella programmazione dei servizi e nelle scelte in sanità permette di verificare dal basso che il bisogno di cura e assistenza avvenga nel rispetto del diritto alla salute delle persone.
 
Queste associazioni sono nate dapprima negli U.S.A., nello stesso periodo in cui prendeva corpo la bioetica, anch’essa promossa dall’esigenza di ridefinire e ripensare l’orizzonte morale della prassi medica nell’ambito della cura e della ricerca sperimentale. Con il tempo, le associazioni dei pazienti sono diventate anche degli interlocutori nell’ambito delle politiche sanitarie e, in alcuni casi, delle stesse strategie aziendali delle industrie farmaceutiche.
 
Si sta, di fatto, profilando sempre più una relazione articolata (sebbene in gran parte informale) tra queste associazioni, le professioni mediche e l’industria farmaceutica.
 
Nessuno può ignorare il contributo che hanno dato e che danno le associazioni dei pazienti (o dei loro parenti) alla comprensione dei diversi aspetti della malattia e delle esigenze dei malati stessi.

 
Occorre però sottolineare come l’errore implicito, e spesso sottovalutato, possa essere quello di far dimenticare che il paziente non è affatto una categoria sociale: la malattia, la disabilità, l’infermità, sono aspetti della condizione umana, che non riguardano alcune categorie, ma, potenzialmente, tutti gli uomini, medici e operatori sanitari compresi. Da questo punto di vista, perciò, si dovrebbe ribadire che i cosiddetti diritti dei pazienti sono fondamentalmente l’espressione dei diritti dell’uomo.
 
Oltre a questo dobbiamo considerare che la malasanità non è un’invenzione giornalistica, ma una preoccupazione reale di pazienti sempre più insofferenti all’errore. Nel 48,2% degli articoli che contengono l’indicazione di un soggetto responsabile di fatti rilevati, viene chiamato in causa il fattore umano, mentre nel 33% degli articoli la responsabilità è attribuita alla struttura sanitaria genericamente.
 
Non si possono d’altra parte ignorare le rilevanti trasformazioni avvenute negli ultimi anni in medicina sia di natura tecnicoscientifica, ma soprattutto culturale, con una crescente richiesta di garanzia alla salute, anche se il Sistema sanitario, ricordiamo, può garantire solo una buona prestazione per la tutela della salute del paziente e non la sua immortalità.
 
Spesso non c’è più domanda sanitaria, ma mercato sanitario: si insinuano forze esterne per condizionare determinate scelte nel tentativo di ridurre le spese e ottimizzare le risorse oppure per forzare verso un certo consumismo con informazioni orientate.
 
In questo senso la spesa sanitaria non deve realizzare il maggior beneficio al minor costo, deve invece realizzare benefici anche solo probabili al costo che risulta indispensabile o almeno in funzione delle risorse disponibili.
 
Rimettere al centro della prassi (e non soltanto dei discorsi) la figura del paziente e delle sue esigenze, che non sono soltanto sanitarie, al fine di curare (e se ci si riesce, di guarire) il paziente, significa pensare le relazioni umane secondo criteri etici e non soltanto giuridici. Significa fare i conti, per usare un’espressione forse retorica, ma significativa, con quel malato che c’è in ognuno di noi.
Andrea Mazzoleni, 5 gennaio

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