• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > MACEO PARKER porta una ventata di entusiasmo al Blue Note di (...)

MACEO PARKER porta una ventata di entusiasmo al Blue Note di Tokyo

A quattordici anni dalla scomparsa di “The Genius”, avvenuta il 10 giugno del 2004, il grintoso sassofonista (contralto, tenore e baritono) e cantante Maceo Parker (Kinston, North Carolina, 14 febbraio 1943), continua a rendere un affettuoso tributo - iniziato nel 2007- ad uno dei suoi eroi musicali, nella cui orchestra aveva militato prima di spiccare il volo alla testa di formazioni proprie.

“This is Ray Charles” è il titolo dello show, nel quale il sassofonista, coronando un precipuo desiderio, si fa accompagnare, se non sostenere, da una Big Band di 17 musicisti, tutti giapponesi eccetto uno, saldamente diretta da Steve Sigmund, il quale aveva suonato per oltre 20 anni come primo trombone nell’orchestra di Ray Charles.

Maceo Parker ha messo in fermento il Blue Note per quattro giornate consecutive, coinvolgendo nel progetto perfino il personale di sala, solitamente molto attento a non lasciarsi trasportare emotivamente mentre sta assolvendo ai propri compiti lavorativi. Il nome di Parker fa pensare immediatamente al Funk, diffuso in abbondanza nel locale assieme al Soul, al Jazz al Rhythm and Blues. L’educato pubblico giapponese è rimasto colpito, affascinato dal progetto, in una piacevole eccitazione, cresciuta gradualmente nei settanta minuti dello spettacolo.

Assisto al primo set della seconda giornata. In scaletta ci sono 14 canzoni. Si parte da una strumentale “One Mint Julep”, che ha il compito di invitare Maceo a salire sul palco, coperto dagli applausi. Parker indossa occhiali da sole scuri, una giacca luccicante di seta con disegni fucsia su sfondo nero che ricordano quelli di un tappeto e un altrettanto sgargiante papillon e, sia nell’aspetto, sia nelle prime emissioni vocali, sembra rievocare “The Godfather of Soul”. Suonerà solo il sassofono contralto, centellinando gli assolo, vista l’età avanzata, meno veementi di quelli a cui aveva abituato i suoi fans.

Sembra impossibile che un così nutrito organico di musicisti e strumenti possa trovare uno spazio agevole nel piccolo palco. Eppure il miracolo avviene, l’acustica è impeccabile, merito della consueta professionalità dei tecnici orientali. Attenta e dinamica, la Big Band ha espresso un’ampia varietà timbrica e di colori.

Il brano d’esordio, “Georgia on my Mind” è certamente il più conosciuto. Si pensa che l’autore sia Charles, invece i responsabili sono Hoagy Carmichael e Stuart Powell. Sigmund, nel corso della serata, oltre a raccontare alcuni aneddoti, ha rivelato di aver mantenuto gli arrangiamenti originali, creando solo quelli per i solo del sassofono. Parecchi i solo dei fiati, in prevalenza quelli dei sassofoni, che hanno consentito all’anziano leader di riposare.

Dopo altri celebri successi – “Let the good times roll”, “Hallelujah I love her so”, “You don’t know me”- da “I’ts about love”, l’ultimo disco di Parker, registrato dal vivo a Colonia con la WDR Big Band, l’orchestra ha eseguito “How long has these been going on”, con la voce calda di Maceo a portare in sala un po’ di brivido.

Brani decisamente funk con assolo leggermente distorti della chitarra, si sono alternati a Blues e Rhythm and Blues come il celebre “Unchain my Heart”, il pezzo numero otto, che ha segnato l’ingresso delle Raelettes – Karen Evans, Katrine Harper, Elaine Woodard – tre coriste non più giovani, ognuna delle quali ha interpretato un brano come solista.

Una ventata di nostalgia, esclusivamente per il popolo del Sol Levante, ha avvolto la platea allorchè Sigmund ha annunciato una ballata lenta del “Genius”. Si tratta di “Ellie, my Love”, scritta originariamente in giapponese da Kuwata Keisuke, in seguito tradotta in inglese. Risale ai primissimi anni ’90, quando Ray Charles fu protagonista di un video commerciale per “The Suntory White Whisky”, una delle, se non la più, importanti marche di liquore giapponesi. Fu uno spot e una canzone che riscossero grande successo e perciò il pubblico, in parte commosso, si è lasciato trasportare dall’entusiasmo.

Ma i brani che scatenano non si contano più. Ed ecco “Hit the Road Jack”, cantato coralmente, dall’andamento bluesy, fino al conclusivo, “What I say”, sincopato e pieno di Groove, che ha sigillato un pomeriggio o una serata per molti indimenticabile.

Il pubblico rumoreggia, certo di ottenere il canonico bis. Ma non sarà così. Parker ringrazia, saluta e non rientra. Meglio così, scegliere di riguardarsi pensando di continuare ancora nel tempo, in un futuro ricco di soddisfazione e di tanta buona musica.

 

Foto: Takuo Sato

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità