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Lotta di classe in crociera

Paghe ridotte del 30 per cento, condizioni disumane, riduzione in schiavitù nei subappalti a Marghera per la costruzione delle navi turistiche. Braccio di ferro a Monfalcone e Venezia fra Fiom e Fincantieri. Sciopero e manifestazione a
il 22 maggio. 

Reportage di Pietro Orsatti (su left-Avvenimenti foto di Marco D’Antonio).

La classe operaia non esiste più. Dicono. E allora quella lunga fila di operai metalmeccanici che si avvia ai cancelli della Fincantieri di Marghera, chi sono? Sono come i ginkgo, dei residui fossili di un’era felice e perduta? La classe operaia, quella che dicono non esista più, parla veneto e siciliano, napoletano e sloveno, e poi bengalese e croato e arabo e rumeno e inglese. Una babele di volti che si alterna al cambio turno. Per essere un residuo del sogno industriale italiano sono davvero tanti. E tanti ne servono per costruire le navi da crociera del gruppo Costa in lavorazione. «Diciotto mesi per fare una nave - racconta un operaio al bar addentando un panino mentre continua a camminare verso il varco del cantiere - dal progetto al varo. Di meno, forse, se non si deve fare un prototipo. Ne abbiamo per un anno e poco più, poi chissà. L’azienda per ora non ha nuove commesse».

Niente crociere low cost (si fa per dire) in questi tempi di recessione economica
. Tremilacinquecento persone. Tutti operai della Fincantieri? No, quelli della “azienda” sono solo un migliaio. Gli altri lavoratori sono di aziende in appalto. Appalti grandi, capofila, e poi a pioggia una rete intricatissima di subappalti più piccoli. Piccole aziende con meno di 15 dipendenti e di conseguenza senza alcuna rappresentanza sindacale. Situazione figlia di una tipica privatizzazione “all’italiana”, ovvero prima si liberalizza (il mercato del in particolare) e poi si privatizza (poco).

«Abbiamo respinto con la delle Rsu un accordo sul contratto integrativo - racconta un iscritto alla Fiom - mentre Uil e Fim-Cisl hanno cercato di forzare proponendolo solo ai loro iscritti. Stiamo parlando di una minoranza dei lavoratori che ha accettato mentre gli altri sono contrari o comunque non sono stati neppure consultati. Abbiamo fatto un’iniziativa di protesta e l’azienda ha bloccato la cerimonia di varo di una nave dicendo che noi stavamo per mettere in atto “forme di abnormi”». L’accordo separato prevede soluzioni salariali differenziate che andrebbero a incidere sull’unità dei lavoratori. Questa contrapposizione tra le diverse figure professionali è funzionale e determinerebbe, questo il timore di Fiom e di , una gestione unilaterale e autoritaria del processo di come obiettivo centrale dell’azienda. Il 30 aprile nessun festeggiamento, quindi, per il varo della Costa luminosa. E poi l’inizio di un braccio di ferro, ben peggiore di quello già in atto da tempo fra Fiom e Fincantieri, che sfocerà in un sciopero e in una manifestazione a il 22 maggio. La assoluta delle Rsu del gruppo Fincantieri (65 su 125) ha firmato un documento in cui considera non accettabile e respinge l’accordo del primo aprile chiedendo la riapertura immediata della trattativa per la definizione di una nuova intesa che dovrà essere sottoposta a un vincolante tra tutti i lavoratori del gruppo. Ipotesi che la Fincantieri, finora, ha escluso.

Nello stesso mese di aprile, mentre infuriava lo scontro sindacale sul contratto integrativo, la Procura di Venezia ha aperto un’ giudiziaria sull’organizzazione del nel cantiere di Marghera. A quanto si è appreso finora, la avrebbe prelevato documenti dalla sedi di due società che operano in appalto, la Rock e la Eurotecnica, che dimostrerebbero l’esistenza di fogli di dimissione firmati in bianco dagli operai assunti in modo da ricattarli, soprattutto se stranieri. Inoltre, gli operai avrebbero percepito paghe ridotte di almeno il 30 per cento di quanto dichiarato nella documentazione ufficiale. Stando alle dichiarazioni raccolte dalla magistratura e rilasciate da alcuni lavoratori stranieri, le ditte che operano in regime di appalto e alcune micro imprese costringerebbero i loro operai a lavorare praticamente senza regole e in condizioni disumane. Qualcuno è arrivato a definire il fenomeno “riduzione in schiavitù”. E non è un caso isolato. Una di queste lettere firmate in bianco ci viene mostrata all’interno della sede della Rsu. «Dopo l’infortunio che mi aveva tenuto a casa senza stipendio per sei mesi - racconta il lavoratore di una delle tante aziende in appalto nel cantiere di Marghera - se non firmavo non avevo nessun’altra possibilità di ottenere un . E dopo sei mesi da disoccupato non potevo permettermelo».

«Sono le aziende in appalto, al centro dell’attenzione - spiega Giorgio Molin, segretario della Fiom di Venezia -. Ben venga l’ della magistratura, ma non si devono fermare a solo due nomi per distogliere l’attenzione da un fenomeno che sembra quasi di sistema. La situazione è davvero grave, e nasce da una gestione ormai decennale della Fincantieri che riduce sempre di più gli spazi ai dipendenti dell’azienda affidandosi a una ridda di appalti». Quante sono le aziende in appalto? «Lo scorso anno - prosegue Molin - abbiamo regalato un panettone e una bottiglia di spumante a tutti i lavoratori del cantiere. Per saper quanti erano abbiamo chiesto le strisciate delle timbrature. È uscito un numero che oscilla oltre le 550 aziende che operano in cantiere». Molti appalti stranieri, una giungla di contratti e di trattamenti. E promiscuità di attività e funzioni con gravi problemi della sul posto di .

Se Marghera è un non luogo classico, con il suo petrolchimico in dissesto e la città che senza industrie si trasformerà in fantasma, Monfalcone almeno ha il che regge il colpo della crisi economica e della de-industrializzazione nazionale. E uno stabilimento della Fincantieri che da solo (fra diretta e indotto) copre quasi la metà della ricchezza prodotta in provincia di Gorizia. Stesse dimensioni, stessi problemi. Anche qui le catene di appalto e subappalto accertate dall’Ispettorato del spesso arrivano a registrare quattro o cinque passaggi, rendendo, di fatto, impossibile ricostruire la catena delle responsabilità e impedendo controlli efficaci. Appalti e appalti e ancora appalti, e un’azienda che di anno in anno riduce il numero degli occupati spostando a società esterne sempre più ampie fette della produzione.

Nel Documento di previsione economica e del Berlusconi emerge chiaramente l’intenzione dell’attuale compagine di di procedere con la privatizzazione di Fincantieri. Nel capitolo intitolato “Privatizzazioni” si legge: «Con riferimento alle società indirettamente partecipate dallo , si conferma la volontà del di procedere in tempi brevi ad attivare procedure di parziale o totale disimpegno dal capitale di due importanti aziende pubbliche: Fincantieri e Tirrenia. Con riferimenti a Fincantieri, il ritiene opportuno procedere tempestivamente al collocamento sul mercato di quote del capitale di Fincantieri, prioritariamente finalizzato a consentire alla società di reperire - anche attraverso un aumento di capitale - adeguate risorse finanziarie atte a fronteggiare i fabbisogni derivanti dall’attuazione di urgenti e necessarie iniziative industriali di rafforzamento strategico e di ammodernamento e sviluppo dei propri cantieri». Quello che la Fiom sospetta da tempo è che l’ingresso di Fincantieri in Borsa sia solo una speculazione svuotata di qualsiasi “tensione” industriale. È per questo che la dei lavoratori, non solo del sindacato di settore della Cgil e non solo operai ma anche impiegati della vicina direzione di , si sono espressi contro la trasformazione voluta da Tremonti e azienda. E nonostante il blocco dei lavoratori abbia salvato con ogni probabilità l’azienda da una crisi indotta dal crollo borsistico degli ultimi mesi, è probabilmente il rifiuto dell’ingresso in Borsa la motivazione principale dell’inasprirsi delle tensioni fra sindacato (Fiom) e cantieri. Che si è aggravata nelle ultime settimane fino a sfociare in comportamenti al limite della violazione dello Statuto dei lavoratori proprio fra gli impiegati di iscritti al sindacato dei metalmeccanici. «Controlli da parte della vigilanza, espressi inviti a non andare in assemblea e pressioni di ogni genere - raccontano i lavoratori - e i dirigenti che discriminano chi ha partecipato a iniziative del sindacato. Un clima autoritario che certo non aiuta a trovare un punto di incontro con i lavoratori». Ed è proprio per questo che la manifestazione triestina del 22 maggio (con la partecipazione di lavoratori di tutti gli altri cantieri italiani), assume un valore simbolico fondamentale. «Noi costruiamo le navi. Noi decidiamo sugli accordi» è lo slogan della manifestazione. Più chiaro di così non è possibile. 

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