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Lo zoom di un aedo. La tecnica umoristica di Gianluca Morozzi

In Italia mancano gli autori di letteratura umoristica. A parte il Diego De Silva di Vincenzo Malinconico, o il Francesco Piccolo dei saggi semiseri sui tic italiani, non esistono scrittori di nuova generazione – di esperienze significative - in grado di prendere il posto di Stefano Benni, per fare un nome. Eppure il genere della letteratura comica, o umoristica, è uno di quelli che fanno parlare di salute letteraria di una nazione. In questo desolato contesto l'unico che fa eccezione è Gianluca Morozzi.

L'autore di "Blackout" non si fa mancare incursioni in generi diversi come il noir, essendosi formato sulla lettura compulsiva di Stephen King. Ma per me resta tra i pochi scrittori, ripeto, compiutamente umoristici del panorama italiano.

Lo dico dopo aver perso le mascelle leggendo una delle sue ultime cose, “Bob Dylan spiegato ad una fan dei Queen e di Madonna”, edito da Castelvecchi. L'ho ordinato insieme all'altra novità, “Chi non muore” (Guanda). Chissà perchè, io fan quasi radicale del Moroz, battezzavo meno interessante il primo; e così, dato che i suoi libri hanno l'effetto di una droga ed escono – anche se è autore prolifico – ogni tanto, bisogna centellinarli. E così mi sono buttato prima sul “Bob Dylan”.

Già rimpiango di essermelo sbranato in un giorno. Il volume fa parte della saga di Lajos, per i cultori. Ai meno edotti dirò che questo filone morozziano narra le storie di un simpatico giovane bolognese che si dimena tra lavori precari, amici improbabili, donne completamente pazze che spesso gli fanno sperimentare momenti estremi: sesso contranatura, abbandoni su montagne impervie, ore di telenovelas abbruzzesi.

Questa volta il nostro antieroe scopre di essere il figlio, nientepopodimeno, che del mitico autore di “Blowin'n the wind”. Ma questo è solo il motore della vicenda, perciò posso confessarlo come se fosse antani. Il resto è un breve e sfrenato arrembaggio ad una donna bella e di personalità, Florence, soluzione che consente al Moroz di imbastire siparietti e situazioni comiche a gogò. 

Perché l'autore, che di recente ha collezionato una scrittura cinematografica per il suo “Colui che gli dei vogliono distruggere”, ha una tecnica narrativa semplice quanto, oserei, onnipotente. Monta una scena più o meno surreale, anche ridicola, e attorno ci ricama un universo, forte del contesto ormai consolidato che è riuscito a realizzare, specie nella mente dei suoi lettori accaniti. Ogni volta che apri uno di questi testi di Morozzi ti risintonizzi su Bologna, sulle vicende di Lajos, Betty e l'Orrido - uno dei più grandi personaggi della letteratura europea contemporanea. Ti ritrovi a casa. Morozzi su questo panorama familiare opera come un aedo greco, tra formule fisse e sapienti variazioni. Ma può condurti dove gli pare, fino a scalmanarti di ilarità. 

Chirurgo della risata e della scrittura, prepara il tavolo operatorio e scava con grande mestiere: anche su un semplice passaggio, e in questo ricorda proprio l'ossessione di Francesco Piccolo per il dialogo minuto, per lo “zoom” sulla scena o la conversazione. Un grandangolo che gli permette di ampliare le possibilità comiche ed espressive, e prepara (non solo per suspense, direi più per “unità di tempo”) l'evoluzione, esilarante, di dopo. Come se sulla scena si alzasse una camera in grado di guardare tutti i risvolti e chiuderli in un quadro d'insieme. Non solo. 

Per sottolineare la minutaglia, da cui trarrà oro, di ciò che racconta, intervalla i passaggi fondanti con visioni assurde (un'invasione aliena, un'interpolazione dell'io narrante che discute sulla forma di narrazione, una storia parallela che sarà sicuramente riferita a musicisti noti del passato) con cui dettaglia il personaggio e rinfresca l'ambiente. Pure perché una successione così spietata di avvenimenti demenziali sarebbe troppo inverosimile, certe spedizioni negli altrove della scena madre sono necessari a “normalizzare” (certo, anche con le invasioni aliene) il contesto.

E poi, per farla facile, nei libri di Morozzi è sempre maggio, c'è una Bologna divertentissima piena di belle ragazze e locali variopinti, ci sono figure incredibili in cui imbattersi e notti che non finiscono. É brutto uscire dalle storie di Morozzi: fortunatamente ha dichiarato di aver da scrivere per i prossimi dieci anni.

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