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Lo scrittore egiziano nel mirino di musulmani e cristiani

Da tempo ormai in Egitto, liberatosi con la rivoluzione dal regime di Hosni Mubarak, si rischia di scivolare dalla primavera araba nell’inverno islamista. Tanti i segnali nel corso di questi mesi, con la dirompente affermazione alle elezioni dei Fratelli Musulmani e dei salafiti e i diversi processi per ‘blasfemia’.

A guidare l’involuzione il nuovo presidente, l’islamista Mohamed Morsi, sostenitore della Costituzione che gli concede grandi poteri e ristruttura lo Stato con un forte innesto di sharia. Casi come quello del recente esilio di Alber Saber, il blogger ateo sotto processo per offesa alla religione, sono indicativi di una strategia giudiziaria portata avanti con l’appoggio di solerti legali di matrice integralista, che facendo leva sul reato ancora esistente di blasfemia si accaniscono contro le voci laiche. Contro chiunque osi esprimere ciò che viene considerato offensivo nei confronti dell’islam, con un vulnus pesante alla libertà di espressione e di pensiero.

La minoranza dei cristiani copti, che nell’era Mubarak e anche nel periodo delle rivolte in piazza Tahrir ha anche subito l’accanimento e le angherie degli islamisti, chiede il rispetto dei diritti contro le limitazioni e discriminazioni imposte. Ad esempio, sull’edificazione delle chiese, che tuttora dipende da un decreto del sultano ottomano. Ma dall’altra parte, nella fase di normalizzazione che sta vivendo l’Egitto, proprio la confessione copta propugna un comunitarismo che l’avvicina di fatto ai vituperati islamisti, nella pretesa di privilegi e maggiori tutele religiose rispetto agli altri cittadini che non rivendicano appartenenze di fede.

A fare le spese di questa inedita convergenza confessionista tra musulmani e copti è un atipico esponente della cultura egiziana, lo scrittore Youssef Ziedan. Un professore universitario e prolifico scrittore conosciuto per studi sulla cultura araba, sul pensiero filosofico islamico e sul sufismo e per le idee non convenzionali in campo religioso. Ziedan, un “laico” sui generis, è oggi sotto processo con l’accusa di aver insultato la religione. Per aver scritto nel 2009 un libro dal titolo, ironia della sorte, La teologia araba e le origini della violenza religiosa, ripubblicato di recente. Dove espone concezioni non ortodosse rispetto a tutte le fedi: non può essere definito non religioso, ma semmai orientato verso un sincretismo e un approccio non dogmatico che pare scontenti tutti. Secondo un occhiuto report del Centro di Ricerca Islamica, un organismo formato da studiosi musulmani riconosciuto dallo Stato, Zeidan avrebbe offeso islamici, cristiani ed ebrei.

Il caso di Ziedan sta mobilitando gli attivisti per i diritti umani. Come Gamal Eid, il quale sostiene che l’attuale denuncia sia partita da un salafita che ha inviato di recente al procuratore il report dei dotti islamici risalente al 2010. Ziedan già era stato interrogato dal procuratore prima che scoppiasse la rivoluzione, senza alcun seguito, ma su insistenza degli islamisti il caso è stato riaperto. Anche secondo i cristiani l’opera di Ziedan insulta la fede. Tanto che undici organizzazioni copte avevano sporto denuncia e inviato nel 2010 al tribunale una relazione in cui accusavano lo scrittore di oltraggio alla religione cristiana, perché nel suo romanzo Azazel (vincitore nel 2009 dell’Arab Booker Prize) avrebbe dileggiato le dottrine della Trinità, dell’unificazione e della redenzione. Nell’opera, di ispirazione storica, racconta le vicende di un monaco nell’Egitto del V secolo, in un periodo di dispute religiose anche interne tra il cristianesimo imposto nell’impero e paganesimo in declino e il clima di conflittualità religiosa dell’epoca.

Il professore, incredulo per tutto questo accanimento, ricorda che “il report del Centro di Ricerca Islamico mi accusa anche di fomentare il conflitto nella società, di prendermi gioco delle religioni e di diffondere idee radicali”. “Ammetto che le mie idee sono contro tutti i gruppi radicali islamisti, che includono la Fratellanza Musulmana”, spiega, ma aggiunge: “il libro è del tutto filosofico e contro la violenza”. ”Non ha senso accusarmi di diffamazione della religione”, sostiene Ziedan, “visto che affermo che le tre religioni divine sono confermate da messaggeri”. Il professore rischia di essere condannato sulla base dell’art. 77 del codice penale egiziano, lo stesso che ha condannato a morte in contumacia sette copti residente negli Usa accusati di aver partecipato al film The Innocence of Muslims. Dopo l’interrogatorio, martedì scorso, a Ziedan è stato concesso un mese per rispondere alle accuse. Il rischio è che l’alleanza interreligiosa contro di lui porti ad una condanna pesante.

Ancora una volta si ha la dimostrazione che le religioni – qualunque religione, qualunque movimento che divide il mondo in un “noi” e in “un loro” — vogliono essere impermeabili a ogni critica e, ancora peggio, vogliono che sia il potere a renderle impermeabili a ogni critica. Le argomentazioni dei loro leader non ci riescono, evidentemente.

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