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Letture estive e riforme

Si è appreso dal saggio Magistrati l’ultracasta di Stefano Livadiotti, con ogni probabilità uno dei best seller dell’attuale stagione estiva, che la probabilità che un magistrato, sottoposto ad indagine da parte della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, incappi in una condanna, è pari al 2,1 %.

E’ un valore che appare subito anomalo ed il motivo traspare pienamente dal testo: il giudizio non appare correttamente emesso perché i giudici sono giudicati da altri giudici e, pertanto, non da un soggetto realmente terzo.
 
E’ un dato di fatto incontestabile che un giudizio è da ritenersi correttamente emesso solamente se il giudice è estraneo alla persona esaminata ; e questo nel caso dei magistrati, con solare evidenza, non si verifica.
 
Ci troviamo dinanzi al problema della conciliazione di due di quelli che Kant chiamava “doveri perfetti”, entrambi contenuti nella nostra Costituzione : il dovere dell’uguaglianza dei cittadini, magistrati compresi, dinanzi alla legge (articolo 3) ed il dovere dell’indipendenza della Magistratura nell’amministrare la giustizia (articolo 101).

 
Sino ad oggi è risultato ampiamente prevalente il secondo principio, anche a causa della pressante e decisa azione della classe dirigente dei magistrati, riuniti nell’Associazione Nazionale Magistrati. Il risultato è stato, conseguentemente, negativo e proprio per la validità delle ragioni a fondamento del primo.
 
Il vice-presidente del CSM Mancino, in una intervista riportata sul Corriere della Sera del 7 gennaio 2009, ha proposto di porre rimedio a questa situazione variando la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, oggi formato per due terzi da soggetti indicati dai magistrati e per un terzo da soggetti indicati dal Parlamento, secondo quanto allora statuito dai Padri Costituenti su proposta del futuro Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Il CSM così formato, alla prova dei fatti, è risultato sempre più fortemente controllato dalle correnti interne della magistratura, mentre si ampliavano a dismisura le sue prerogative e le sue competenze con interventi legislativi, che giungevano sino a renderlo totalmente indipendente dal sistema politico con il riconoscimento del diritto d’iniziativa, estraneo, ad esempio, al sistema francese. Su questa via si è finito per creare un sistema giudiziario assolutamente inaccettabile, come è ampiamente nella percezione della pubblica opinione.
 
La proposta di Mancino consisteva nel far nominare un terzo dei Consiglieri dalla magistratura, un terzo dal Parlamento ed un terzo dal Presidente della Repubblica, quest’ultima terza parte, però, sempre all’interno della magistratura.
 
Cercava così di salvare capra e cavoli, ossia di ottenere con la riforma proposta un CSM non più succube della correntizzazione della magistratura, ma pur sempre formato in prevalenza da togati. Insomma una vera e propria contorsione alla ricerca del contemporaneo rispetto dei due “doveri perfetti” di cui sopra.
 
Forse la gravità del problema dovrebbe suggerire un maggior coraggio: è un dato di fatto che l’attuale ordinamento pone di fatto in condizione lesive della dignità della persona, il cittadino che si rivolge alla giustizia. E non vi è alternativa al riformare con incisività l’Istituzione per farla ben funzionare perché noi cittadini non possiamo rivolgerci altrove per avere giustizia.

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