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Lettera ad un partito mai nato

 
All’indomani della sconfitta elettorale,dubbi ed interrogativi investono il Partito democratico e la sua linea politica. Come sempre sono state avanzate critiche impietose a questo partito e al suo segretario. Sono mancate, tranne poche eccezioni, analisi della struttura del partito, della sua attività e quindi proposte e suggerimenti. E’ comunque emersa una volontà comune di ripartire.
 
IL PUNTO DI PARTENZA
 
Non si può ripartire dall’alternativa evocata da Bersani o dal “progetto alternativo riconoscibile” invocato da D’Alema. Si tratta di alternativa programmatica, di partito alternativo, o di entrambi? Questo non è dato conoscere. E comunque sono riferimenti troppo generici. In ogni caso non si costruisce un partito e la sua attività, in rapporto alla diversità rispetto ai propri avversari. Il partito deve guardare se stesso prima di guardare gli altri, al suo rapporto con la società e gli iscritti, alla sua linea politica, alla sua struttura organizzativa. Che cosa ha funzionato a Venezia dove Orsoni ha prevalso su Brunetta, e a Lecco dove Brivio ha prevalso su Castelli, e che cosa non ha funzionato nell’Emilia dove la Lega guadagna voti? Sono situazioni congiunturali o strutturali?
 
Il punto di partenza, è il partito o il programma? Il punto di partenza è il partito. L’interrogativo principale non è ciò che fa o farà il Pd, ma ciò che è. L’identità è la fonte del suo progetto politico e dei criteri di selezione della sua classe dirigente Ciò che facciamo dipende da ciò che siamo.
 
Ma che cos’è il PD?
 
Un partito di centrosinistra ? No!
 
Un partito riformista ? No!
 
Il PD è un amalgama mal riuscito, una fabbrica del consenso, uno strumento di conquista del governo del paese ad ogni costo.
 
 
UN AMALGAMA MAL RIUSCITO
 
La fusione di DS e Margherita è un processo avviato dai gruppi di vertice dei due partiti. Nata come operazione di potere, procede e si sviluppa nella stessa logica. Una fusione a freddo è stato detto.
 
La base certamente non è stata intaccata da questo processo. Ci sono sezioni o circoli gestiti da uomini della margherita, e circoli gestiti da uomini dei DS. E come poteva essere diversamente se i posti di potere, le candidature vengono spartiti tra i due soggetti politici. E d’altra parte nessuna operazione di rimescolamento è stata realizzata. Si è fatto qualcosa solo in occasione delle ultime primarie che ha eletto segretario Bersani,dove i gruppi che appoggiavano i tre candidati erano misti Margherita/DS, ma cio non sembra abbia prodotto molti risultati.
 
La laicità del partito ed il rapporto con i sindacati, temi fondamentali per l’amalgama dei due partiti, non sono ancora stati sufficientemente chiariti e vengono vissuti in maniera diversa dai due gruppi. E quindi è ben possibile vedere in alcuni circoli il crocefisso e in altri la foto del Che.
 
E per altro verso i margheritini intrattengono un rapporto privilegiato con la CISL e i diessini con la CGIL. Quale risposta al Vaticano che è intervenuto a gamba tesa in questa campagna elettorale?
 
Quale la posizione del partito rispetto a quei margheritini che non hanno appoggiato la Bonino?
 
Quale intervento per frenare questa divergenza di posizioni nei confronti dei sindacati?
 
La incertezza del gruppo dirigente verso atteggiamenti ripetuti e chiaramente in contrasto con la linea del partito, ha favorito questa spaccatura. La fusione di due anime, di due culture ,due storie, è ancora un miraggio lontano. Le conseguenze sull’identità del partito, sono facilmente intuibili.
 
 
LA FABBRICA DEL CONSENSO
 
Una comunanza di vedute, di opinione e di comportamenti sussiste, nel gruppo dirigente e in alcuni circoli, a supporto di una concezione del partito, quale strumento di potere da conquistare ad ogni costo.
 
E’ chiaro che in tale ambito le proposte politiche vengano concepite, non in funzione dell’interesse del paese, ma della conquista del consenso.
 
La parola d’ordine non è più il servizio alla gente, ma la conquista della gente. Un partito fatto di uomini di marketing, di capobastone, più che di gente esperta e professionale.
 
Il tutto perseguito attraverso giochi di poteri, all’interno degli apparati e delle correnti, e all’esterno attraverso giochi tattici ed alleanze.
 
Su questa base è stata individuata una politica e una classe dirigente.
 
Una politica per la quale è normale: l’indisponibilità alla candidatura nelle regionali del Lazio dei vertici del partito per la paura di perdere; la tentata esclusione dalle regionali pugliesi di Vendola, senza alcuna valutazione sull’operato, peraltro buono,di questo dirigente politico; l’occhiolino alla Lega anche se razzista e secessionista, perché si spera di creare un cuneo all’interno della maggioranza;
il salvataggio di parlamentari indagati, perché il PDL la prossima volta ricambia il favore; le candidature non dei più bravi, di quelli che hanno lavorato per il partito ma degli amici di corrente anche se incapaci e di quelli che procurano più voti anche se disonesti, dei capi bastone anche se in odore di mafia, perché portano voti. La conseguenza di una politica siffatta, sta davanti ai nostri occhi, un partito che perde consensi, afflitto da una imbarazzante questione morale, da giochi di poteri interni ed esterni.
 
DA DOVE SI RIPARTE?
 
Se il PD è un amalgama mal riuscito, una fabbrica del consenso, oggi non può che essere un partito e quindi un organismo democratico, fatto di gente che partecipa e di una classe dirigente capace di governare, che costruisce le soluzioni ai problemi del Paese sulla base dei valori della Costituzione, quali SOLIDARIETA’, UGUAGLIANZA, LEGALITA, MERITO ecc..ecc.. .e non sulla base dei sondaggi.
 
Insomma un partito che sceglie la sua classe dirigente si organizza e porta avanti linee politiche, sulla base delle utilità che offre alla gente, e non sulla base del tasso di consenso che determina.
 
Ma se non si vince non si va’ da nessuna parte. E’ vero! Ma è altrettanto vero che un PD che fa giochi di potere, che persegue il potere per il potere, non vincerà mai. O meglio potrà ottenere vittorie effimere, congiunturali che verranno spazzate via al primo intoppo, perché sono senza fondamenta e come tali preparatrici di durature sconfitte future.
 
LE FONDAMENTA DEL NOSTRO PASSATO
 
il nostro passato è fatto di lotte politiche, di capacità di indignarsi, di capacità di governo e di cose utili per il paese suggerite dai valori e principi presenti nella costituzione, di partecipazione ai processi politici.
 
Il buon governo delle regioni rosse, il supporto alle lotte operaie, il modello cooperativo delineavono una weltanschauung propria della sinistra e quindi l’impronta di un partito e della sua linea politica.
 
Un’ impronta nella quale era normale:  il riconoscimento della bravura e del lavoro
una linea politica chiara e non opaca, un ideale di società coinvolgente e che parlava al futuro.
 
Dobbiamo recuperare la capacità di partecipare, indignarci, lottare e governare, per un partito che misura le sue azioni e le sue soluzioni, sulla loro giustezza, sulla loro efficacia e non sul tasso di consenso pronosticato.
 
 
LE FONDAMENTA DEL NOSTRO PRESENTE
 
La base è la risorsa fondamentale del partito,la sua attività la forma più alta di partecipazione politica, la sua valorizzazione la spinta propulsiva al rinnovamento del partito.
 
Il primo passo in questa direzione si realizza con il rispetto dello statuto che è fondamentale per la vita del partito e per la funzione partecipativa della base. Se esistono delle norme queste vanno rispettate altrimenti si cambiano. E’ questo un principio inderogabile che ha riflessi sull’affidabilità e la serietà di un partito. In questa logica non è concepibile, come è avvenuto, che non vengano rispettate le norme che prevedono le primarie per la scelta dei candidati alla cariche istituzionali e cosi anche quelle che prescrivono l’albo degli elettori ed i diritti di tali soggetti a partecipare alla vita del partito.
 
L’albo degli elettori non ancora è stato formato nel Lazio non sono state effettuate
le primarie.
 
Ma parte il rispetto delle norme ,le primarie sono un diritto della base e non degli apparati. Una candidatura senza primarie è una candidatura degli apparati ,ma non del popolo PD. E quindi la violazione della norma incide anche sull’equilibrio del rapporto tra apparati e base del partito.
 
L’albo degli elettori è invece necessario per determinare i soggetti legittimati a votare nelle primarie e quindi scongiurare eventuali intrusioni di gente che non aderisce al partito ma anche per rendere effettivo la partecipazione degli elettori alla vita del partito.
 
Ma occorre altresì eliminare delle pastoie che ostacolano l’attività del partito ad esempio norme che non funzionano. Quelle che prevedono primarie di coalizione art. 20 e quelle che regolano la composizione dell’assemblea nazionale più di mille persone (art 4).
 
Per le primarie di coalizione basta osservare che le norme statutarie valgono per noi ma non per i nostri alleati. Per l’assemblea nazionale vale il principio per il quale ogni organismo, per operare al meglio deve avere una composizione adeguata ai compiti. Sono troppi mille persone per un organismo gravato da molteplici competenze.
 
Strumento fondamentale per la valorizzazione della base e della sua funzione partecipativa è il radicamento territoriale del partito. Radicare il partito nel territorio significa infatti riconoscere il ruolo dei circoli, finora appannato da una politica troppo verticistica.
 
Un ruolo che non può derivare da una concezione di partito statica, articolata in strutture ciascuna chiuse nel loro guscio, con proprie competenze che costituiscono limiti invalicabili della propria azione.
 
Una spinta propulsiva all’azione dei circoli deve nascere da una concezione di partito aperto le cui strutture dialogano tra di loro, interagiscono e agiscono come squadra.
 
Il circolo vive in un quartiere, in una circoscrizione, in un comune, in una regione e come tale si deve rapportare al comitato di quartiere circoscrizione, comune, provincia, regione e viceversa per un interscambio di notizie, di pareri e di proposte.
 
Il successo delle primarie è indicativo della grande volontà di partecipazione della base del PD. Eppure essa è inerte rispetto ai grandi mutamenti della società di oggi, perché incapace di governare se stessa, di sottrarsi alle lusinghe della sudditanza e dei giochi di potere.
 
E ciò denuncia la necessità e insieme l’insufficienza di questo strumento partecipativo che consente alla base di interagire con gli apparati. E allora occorre perfezionarlo e allargare il suo spazio operativo ed utilizzarlo non solo per la scelta del gruppo dirigente ma anche per le scelte programmatiche. 
 
LE FONDAMENTA DEL NOSTRO FUTURO
 
I processi di globalizzazione, di immigrazione interna ed internazionale, di personificazione e mercificazione della politica collegati alla nascita e allo sviluppo di una società videocratica e le nuove opportunità aperte dalla democrazia digitale, sollecitano una verifica del ruolo, della funzione del partito e della sua linea politico/programmatica.
 
Viviamo in una società mediatica e globalizzata, in un paese dove la polarizzazione è un dato consolidato. Allora la domanda è quale partito in una società mediatica e globalizzata e in un paese con due poli: centro destra/centrosinistra.
 
La polarizzazione sinistra/destra è un dato strutturale. La pretesa isolazionistica veltroniana è stata sconfitta. Dunque le coalizioni. Come quelle tristemente famose del governo Prodi? Non si può ripercorrere quella strada.
 
Le alleanze non si costruiscono in campagna elettorale o durante esperienze di governo,ma giorno per giorno ,e la loro costruzione non può essere solo un fatto verticistico ma devono coinvolgere anche la base altrimenti sono destinate a fallire. Di qui l’idea di coalizioni di base comestrumento partecipativo che risponde all’esigenza di valorizzare la base e di incardinare la polarizzazione all’interno del partito.
 
In tale contesto l’ipotesi di un un comitato interpartitico per la costruzione di un programma per la sinistra, non è un miraggio. Immaginate Bonino, Vendola, Zingaretti, De Magistris e poi una miriade di coalizioni di base a livello comunale impegnati a costruire il futuro del Paese.
 
La globalizzazione non è solo un dato economico ma abbraccia in maniera trasversale vari settori, dalla cultura, al mondo del lavoro. Sul piano più propriamente economico, impone una nuova divisione internazionale del lavoro e introduce un nuovo tipo di competizione, la competizione sistemica e nuovi protagonisti del mercato: le imprese globali.
 
Dunque una nuova divisione internazionale del lavoro fondata sulla ottimizzazione dell’impegno pubblico e privato nei settori competitivi e sul disimpegno graduale da quelli non competitivi. Mentre diventa obsoleta la tradizionale concorrenza fra le singole imprese e si fa strada la competizione fra sistema paese.
 
In tale quadro si colloca la necessità di un accordo di programma tra imprenditori lavoratori ed istituzioni per la promozione e lo sviluppo della competizione delle imprese nei settori dove esse presentano un margine competitivo (turismo moda cinema) e per l’assistenza di imprese e lavoratori nel disimpegno dai settori dove è impossibile ogni competizione (tessile, siderurgia, ecc..).
 
E così un progetto per la crisi della ceramica e dell’omsa, da cui emerga una risposta chiara sul destino di questi impianti – come richiesto da Nadia Urbinati, sull’Unità del 4/4/2010 - non è ipotizzabile, a prescindere da queste problematiche imposte dall’economia globale. Identico discorso per Termini Imerese, tassello fondamentale di un’operazione tipicamente globale quale l’accordo Crysler/Fiat.
 
Parimenti occorre riflettere sulla necessità di avviare un processo di globalizzazione dell’azione e della lotta sindacale, che non può riguardare solo l’azienda. Ciò anche per evitare episodi come quello inglese, dove i lavoratori britannici scioperavano contro i nostri che gli avevano sottratto il lavoro perché pagati di meno e la conflittualità tra i lavoratori immigrati e lavoratori italiani, una conflittualità cosi ben sfruttata dalla destra.
 
Per questo l’ipotesi di un partito transnazionale, sul modello sperimentato dal partito radicale, va pure considerata e così anche la presenza negli assetti organizzativi del partito di un responsabile per la globalizzazione.
 
Il riconoscimento politico del ruolo della comunicazione nella definizione dell’organizzazione e dell’attività del partito è quanto mai necessario poiché la comunicazione non è solo uno strumento per diffondere iniziative politiche ma ha cambiato i connotati dei partiti e della loro attività e che la politica, sempre più personificata, mercificata, mediatizzata, non vive più di vita propria che, dal momento che la tv svolge il ruolo dei partiti a cui ha espropriato le sue funzioni, ne condiziona le scelte e la stessa analisi e così supporta, affossa o addirittura promuove iniziative politiche, seleziona e forma personale politico, produce consenso. Così un partito senza strutture organizzative della comunicazione, è un partito destinato a subire l’agenda mediatica e quindi politica altrui. 
 
La possibilità di un’informazione alternativa che è sempre più concreta, come dimostrato dall’esperimento “raiperunanotte” dove televisione, internet e piazza, hanno realizzato una fantastica operazione sinergica.
 
Più che mai necessaria, in un mondo dove l’informazione è diventato strumento di lotta. Pensate alla lotta del popolo iraniano cosi supportata da internet e a quella del popolo palestinese cosi danneggiata da un’informazione manipolata. Occorre prendere coscienza che la battaglia politica non può essere limitata ai meri fatti, ma anche a come essi vengono comunicati, giacchè é la comunicazione che trasforma un fatto in un fatto politico.
 
Se ieri la conquista alle fasce più debole di qualche diritto in più,dipendeva dall’intensità della lotta. Oggi nessuna conquista dei diritti può essere praticata senza il timbro mediatico che gli conferisce carattere politico. Dunque una duplice lotta: la conquista della politicità dei diritti e la conquista dei diritti. Ma occorre anche comunicare all’esterno ciò che il partito fa per risolvere i problemi e i risultati ottenuti.
 
A tale scopo si rende indispensabile, a livello organizzativo, una task force operativa anche di pronto intervento: per la promozione divulgativa delle iniziative politiche del PD; per il controllo di ciò che non viene comunicato, nascosto o enfatizzato dell’attività del PD e di quella dell’avversario; per la contestazione delle manipolazioni massmediatiche.
 
Dunque un organismo che svolga attività di controllo della gestione della notizia, un’attività di denuncia e contestazione delle anomalie comunicative, un’attività di promozione ed organizzativa per la divulgazione delle iniziative politiche del partito. Il tutto supportato da un gioco di squadra che deve impegnare tutto il partito.

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