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Le proposte di riforma elettorale di Renzi

Ma che paese è questo dove, a seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale di quella portata, si inizia a discutere delle proposte di riforma prima di leggere le motivazioni della Corte? Qui non si è capito che non possiamo permetterci un’altra legge elettorale che, dopo un po’, viene di nuovo dichiarata illegittima, a meno che non vogliamo portare le istituzioni repubblicane al crollo. Anche perché, questa volta non occorrerebbero sei anni per arrivare alla Corte Costituzionale, ma basterebbero pochi mesi: la volta scorsa il ritardo è stato causato dai tribunali ordinari che hanno bocciato l’eccezione di costituzionalità ritenendo che un quisque de populo non possa sollevare eccezione di costituzionalità sulle leggi elettorali.

Poi la cosa è arrivata alla Cassazione che l’ha pensata all’opposto ed ha mandato la questione alla Consulta, che poi ha deciso nel giro di sei mesi. Questa volta, il diritto a ricorrere ormai è sancito e quindi l’eventuale ricorso andrebbe alla Corte appena proposto e la Corte ha già esaminato la questione, per cui in qualche mese si fa tutto.

Quindi nessun discorso serio si può fare prima di leggere la motivazione della sentenza che sarà depositata entro un paio di settimane. E le questioni sono due, voto di preferenza e premio di maggioranza, sulle quali occorrerà studiare ogni singola parola del testo, perché potrebbero esserci scritte cose molto diverse.

Sulle preferenze, ad esempio, bisogna capire per quali motivi il Porcellum è stato bocciato e quali limiti la Corte pone ad una nuova legge. Ad esempio, può esserci scritto che è incostituzionale ogni norma che non permetta all’elettore di esprimere la sua scelta fra diversi candidati di un determinato partito. In questo caso anche i collegi uninominali non sarebbero ammessi (perché, appunto, presentano un solo candidato e non danno possibilità di scelta), oppure potrebbe ammettere i collegi uninominali ma non liste bloccate di qualsiasi tipo o, ancora, potrebbe proibire l’adozione generalizzata della lista bloccata, ma ammettere la possibilità di una piccola quantità di listini bloccati. Sono tre interpretazioni diverse che danno esiti lontani fra loro.

Sul premio di maggioranza: è chiaro che la Corte ha ritenuto non ammissibile costituzionalmente un tasso di disrappresentatività che ha visto un 29% di voti popolari trasformarsi in un 54% di seggi. Però non è ipotizzabile che la Corte si sia pronunciata a favore del sistema proporzionale puro escludendo in linea di principio qualsiasi correttivo. In fondo, prima del Mattarellum era vigente un sistema di “proporzionale corretta” che, attraverso il quoziente Imperiali, produceva un limitato tasso di disrappresentatività e nessuno ha mai sollevato questione di costituzionalità. D’altro canto anche le clausole di sbarramento hanno un indiretto effetto premiale, per cui riducono il tasso di rappresentatività. Quindi un certo tasso di effetto premiale, presumibilmente, sarà ammesso, ma entro che limiti?

Dove cade il limite fra una correzione accettabile ed una manipolazione eccessiva del responso popolare? Ad esempio, la Corte può aver ritenuto eccessivo un premio che non fissasse una soglia minima di voti (il 35? Il 40? Il 45%?) da conseguire per poter ottenere quel premio e resta da capire quale sia la soglia minima accettabile. Oppure la corte può aver formulato la sua censura sostenendo che mentre è ammissibile un premio in numero fisso (ad esempio 63 seggi alla Camera, che sono il 10% del totale) non lo è un premio variabile per cui l’entità di esso può diventare eccessiva e tale da stravolgere la volontà popolare. O anche: il premio è ammissibile, ma non può cumularsi con altri effetti indirettamente maggioritari come le clausole di sbarramento ecc.

Dunque, se non leggiamo che hanno scritto i giudici della Consulta non ha senso parlare di nessuna proposta.

Ma veniamo al merito delle proposte di Renzi e la prima cosa che si pensa è che Renzi non sa bene cosa vuole, però lo vuole in settimana e ne vuole tre. Infatti egli avanza tre proposte che, al di là della comune vocazione maggioritaria, sono tre cose molto diverse fra loro e già il fatto che vengano ritenute fungibili l’una all’altra fa sorgere molti dubbi sulla chiarezza di idee del nuovo segretario democratico.

Entriamo nel merito, le proposte sono tre: legge per l’elezione del sindaco, Mattarellum modificato, sistema spagnolo.

Il “sindaco d’Italia” prevederebbe un doppio turno, per cui la coalizione che vinca al secondo turno si aggiudica il 60% dei seggi, mentre il restante 40% va suddiviso proporzionalmente fra gli altri. Dunque, un maggioritario puro potenzialmente più disrappresentativo del Porcellum. Infatti i conti non si fanno sul risultato del secondo turno, quando è gioco forza che uno dei due abbia almeno il 50,1%, ma sul primo turno, per cui può benissimo darsi che una lista con meno del 29%, e magari arrivata seconda al primo turno, poi vinca al secondo aggiudicandosi il 60% dei seggi. Mi direte che le stesse considerazioni si possono fare per i sindaci, ma vorrei fare presente che le elezioni politiche sono un conto e quelle amministrative un altro ed i problemi di rappresentatività hanno diverso valore.

In secondo luogo, la legge per i consigli comunali presuppone un Sindaco che ha poteri di formazione della giunta e di ricambio, che il Presidente del Consiglio non ha nei confronti del ministri e, per di più, le dimissioni del sindaco comportano nuove elezioni. Trasportando il modello in sede nazionale questo significa un modello di repubblica presidenziale in contrasto con il sistema descritto dalla Costituzione. Dubito che una cosa del genere possa passare per legge ordinaria.

Il Mattarellum rettificato è la trovata più spiritosa: il 75% dei seggi in collegi uninominali con maggioritario a un turno, poi un 15% di premio di maggioranza a chi vince ed un 10% di diritto di tribuna agli altri. Cioè un sistema maggioritario con premio di maggioranza. Renzi mi ricorda il Totò che detta la lettera a Peppino: “Punto! Due punti! Ma sì! Fai vedere che abbondiamo!”

Tutto questo che senso ha? Se si teme che, con un elettorato diviso in tre, nessuno riesca a conquistare la maggioranza dei collegi uninominali, per cui è necessario dare un premio del 15%, vuol dire che è sbagliato adottare un sistema a collegi uninominali. Se, invece si pensa che già con il maggioritario secco all’inglese si formi una maggioranza a che serve il premio? Come mettere insieme la cintura e le bretelle. Va da sé che questo potrebbe produrre effetti ancora più disrappresentativi dell’attuale Porcellum.

Immaginiamo che un partito prenda il 25% dei voti (e gli altri si sparpaglino su molte altre liste) e si aggiudichi il 45% dei collegi, con il premio del 15% totalizzerebbe il 60% dei seggi con un quarto dei voti. E potrebbero esserci anche risultati ancora meno razionali: come si sa, con il sistema uninominale all’inglese, un partito può aggiudicarsi la maggioranza del 75% dei seggi pur prendendo meno voti di un altro, per cui un partito si aggiudica la maggioranza dei collegi uninominali ed un altro prende il premio del 15%: ingovernabilità assicurata. Peraltro, il sistema è molto meno equilibrato dell’originario Mattarellum che accentuava l’effetto proporzionale attraverso lo scorporo di una parte dei voti presi nei collegi uninominali, scorporo di cui qui non si parla più.

Insomma una legge fortemente disrappresentativa ma che, in compenso, non assicura nemmeno la governabilità: un capolavoro!

E vediamo al modello spagnolo che è un po’ la “novità”: il territorio è suddiviso in 118 piccoli collegi da 4-6 seggi l’uno. In realtà qui per capire come funziona la cosa ci sarebbe bisogno di conoscere le norme accessorie. Ad esempio ci sarà il recupero nel collegio unico nazionale dei voti che non hanno ottenuto rappresentanza nel collegi o no? Con clausola di sbarramento o no? Ci sarà obbligo di presentazione omogenea sul territorio con simbolo unico? Apparentamenti ammessi o no? Nel collegio il seggio richiede quoziente pieno o c’è recupero dei resti?

Facciamo un esempio: non c’è collegio unico nazionale, quindi un partito deve prendere una percentuale molto alta nel collegio. Se ci sono 5 seggi da attribuire, quindi, il quoziente pieno è il 20% e, con l’utilizzo dei resti, una soglia di sicurezza è il 10%. In questo caso, molti partiti che sanno di non prendere una percentuale così elevata in un determinato collegio tenderà a concludere alleanze con altri. Magari con presentazione di candidati in una lista più grande, oppure con patti di desistenza, o con liste comuni con partiti di uguale consistenza. E non converrebbe tanto fare accordi nazionali, ma tenersi le mani libere per concludere l’accordo più vantaggioso possibile caso per caso. E il risultato potrebbe essere quello di una mappa elettorale arlecchino. Oppure l’esistenza del collegio unico nazionale potrebbe trovare un limite in una soglia di sbarramento - ad esempio il 4 o il 5% - per l’ammissione alla ripartizione nazionale, ma un effetto di ridimensionamento delle liste minori potrebbe essere ottenuto fissando nel collegio un quoziente + 2 (Imperiali) o +3, oppure un metodo del divisore con intervalli inferiori all’unità (diviso 1, poi 1,5, poi 2, poi 2,5 ecc). Resta poi da capire se con preferenze o meno, se con un listino bloccato nazionale o con il recupero dei migliori perdenti nei collegi.

E ciascuna di queste clausole determinerebbe effetti molto diversi sia dal punto di vista rappresentativo che da quello della stabilità di maggioranza.

Insomma, come si vede, parlare di “metodo spagnolo” in astratto non ha molto senso se non si dispone di una articolazione concreta su cui riflettere. Per ora è solo un ballon d’essai che dice molto poco.

Nel complesso, l’impressione che si riceve è che a Renzi non interessi molto il sistema elettorale in sé, quanto piuttosto avere rapidamente un sistema elettorale qualsiasi, purché maggioritario, per andare a votare entro maggio, perché dopo sa che le cose diventerebbero più difficili per lui con un governo Letta che diventi la ripetizione conforme del governo Monti.

È comprensibile, ma non è così che si sceglie il sistema elettorale per un paese.

 

 

Foto: Mattarellum (Giornalettismo)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.94) 7 gennaio 2014 19:23

    I troll PDini imperversano! Guai a toccargli Renzi, adesso!

  • Di (---.---.---.129) 7 gennaio 2014 20:01

    Clangore >

    Il 2 gennaio Renzi propone alle varie forze politiche la scelta tra 3 modelli di legge elettorale. Al posto dei soliti “infiniti negoziati”, offre delle “soluzioni pronte” su cui è disposto a raccogliere “suggerimenti, stimoli e critiche”.
    Non servono gli esperti, precisa, né molti giri di parole visto che “volendo, in qualche ora si chiude tutto”. Dopo 48 ore afferma di aver fatto “in 3 giorni più che in 3 anni”.

    Vediamo allora i fatti.
    Durante le primarie Renzi ha sempre caldeggiato una legge elettorale tipo quella in uso per i Sindaci. Alfano è l’unico che si dichiara interessato a tale formula.
    Berlusconi e Grillo, viceversa, pongono come condizione la caduta del governo Letta ed il ritorno alle urne entro maggio.
    Scegliere l’interlocutore (v. alleato) sarà un passo “non più reversibile”.
    Non solo.
    Sul tavolo andranno affrontati, risolti e condivisi diversi aspetti applicativi. Tipo la ridefinizione delle circoscrizioni elettorali o la riqualificazione del ruolo di Premier.
    Avendo ben presente che, nell’ipotesi di elezioni anticipate, la nuova legge dovrà risultare operativa entro marzo. Ricordando vieppiù che non c’è legge elettorale che, di per sé, possa assicurare la governabilità.

    Facile è suonare le trombe per richiamare attenzione. Per contro, imboccare l’uscita dalla crisi non è performance da teatrino di Pantomima e Rimpiattino

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