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Le Donne Avventurose

Alle donne avventurose che sono tutte le donne.

A quelle voglio dedicare una serie di scritti intraprendendo il titanico compito di raccontare di alcune che sono artiste famose e mie eroine, esempio e riferimento nel mio sentire; e di altre, apparentemente comuni, ma eroine del vivere quotidiano, invisibili al mondo e, quindi, anti-eroine per eccellenza.

La luz que de tus pies sube a tu cabellera,
la turgencia que envuelve tu forma delicada,
no es de nácar marino, nunca de plata fría:
eres de pan, de pan amado por el fuego.

La harina levantó su granero contigo
y creció incrementada por la edad venturosa,
cuando los cereales duplicaron tu pecho
mi amor era el carbón trabajando en la tierra.

Oh, pan tu frente, pan tus piernas, pan tu boca,
pan que devoro y nace con luz cada mañana,
bienamada, bandera de las panaderías,

una lección de sangre te dio el fuego,
de la harina aprendiste a ser sagrada,
y del pan el idioma y el aroma
.

 

 

Alle donne avventurose che sono tutte le donne.

A quelle voglio dedicare una serie di scritti intraprendendo il titanico compito di raccontare di alcune che sono artiste famose e mie eroine, esempio e riferimento nel mio sentire; e di altre, apparentemente comuni, ma eroine del vivere quotidiano, invisibili al mondo e, quindi, anti-eroine per eccellenza.

E’ difficile nascere e trovare il proprio cammino prescindendo dal destino sociale già prestabilito per noi dal sistema o semplicemente dalla nostra famiglia.

E’ ancora più difficile trovare all’interno del sistema un cammino unico e rivoluzionario pieno di contenuti per noi stessi.

Oggi la sfida è dare un senso a cosa si fa, ed eroico è vivere in sintonia con il proprio modo di sentire.

Il vissuto di donne come Artemisia Gentileschi, Tina Modotti, Frida Kahlo, Leonora Carrington è andato contro tutti gli schemi e i clichés; esse hanno dimostrato che si possono superare gli ostacoli che la vita presenta: questo vissuto, nolente o volente è quello che assomiglia più al modo di sentire la vita.

Ma c’è un altro vissuto di donne che mi hanno nutrito di amore e di “normalità” facendomi capire che a volte, anche dentro il sistema e dentro il comune quotidiano, sempre più robotico e senza senso, nascono dei germogli esistenziali unici che salvano la società dalla sua autodistruzione.

In questa impresa parlerò dunque di tutte le donne avventurose, affiancando alle biografie o ad alcuni estratti degli scritti delle mie artiste eroine, le interviste o i racconti scritti direttamente dalla penna delle mie “antieroine”.

Artemisia Gentileschi

La storia di Artemisia Gentileschi è stata resa nota da molti romanzi ed un paio di pellicole in quanto il suo personaggio dalla vita tormentata e avventurosa è stato usato come vera e propria “icona femminista”.

Personalmente ho conosciuto Artemisia dai suoi quadri: al di là della loro esecuzione magistrale, in alcuni ho incontrato una tensione emotiva unita ad un forte realismo capace di creare una drammaticità per nulla estetica delle scene; in altri, specialmente nei suoi autoritratti, ho intravisto una dolcezza ed una luce che la avvolgono come se volesse rappresentare più che l’aspetto esteriore, la sua anima.

Volendo approfondire la conoscenza di tale pittrice, cominciai a leggere alcune biografie e mi resi subito conto che Artemisia era riuscita ad essere autobiografica anche dipingendo le scene bibliche poiché, attraverso la violenza della rappresentazione del tema scelto, l’artista riusciva a veicolare il suo stesso disagio e la sua stessa rabbia, conseguenze degli eventi traumatici della sua vita; in altre opere, ed in particolare nei suoi autoritratti o nelle allegorie (in cui rappresenta se stessa), era stata capace di mettere a fuoco la sua ricchezza interiore ed il suo imporsi nel mondo.

A seguito alla richiesta di una consulenza relativa ad una sceneggiatura per una pellicola (mai prodotta) su Artemisia, cominciai a documentarmi più approfonditamente: considero come uno dei migliori testi sull’artista “Artemisia” di Alessandra Lapierre, per la ricchezza dei riferimenti bibliografici e per la maniera intima e amichevole di raccontare.

Lascio al lettore il gusto di approfondire la storia di Artemisia, lasciando solo due suggestioni:

Artemisia a 17 anni ebbe il coraggio, sfidando le convenzioni e le iniquità del tempo di denunciare il suo stupratore Agostino riuscendo a farlo incarcerare. Accettò di intraprendere un processo “scandaloso”, nel quale fu sottoposta ad ogni tipo di umiliazione compresa la «tortura della Sibilla», poiché nel 1600 l’Inquisizione richiedeva tale tortura per avere evidenza che Artemisia dichiarasse il vero (una vera e propria inversione dell’onere della prova!).

Artemisia riuscì a superare il trauma e a ribaltare il suo destino imponendosi nel mondo come pittrice di tale fama da poter accedere all’Accademia del disegno di Firenze (che non aveva mai accettato una donna tra suoi membri!), una delle associazioni più prestigiose del mondo dell’arte. Entrando a far parte dell’Accademia, Artemisia si rese libera da ogni tipo di tutela in un’epoca nella quale il “sesso debole” era “giuridicamente minorenne vita natural durante”, e cioè sottoposto all’autorità tutelare del padre o del fratello o del marito.

A 28 anni Artemisia dipendeva solo da se stessa ed era registrata legalmente come la “padrona di casa” e “pittrice”.

Che dire! La vita è nelle nostre mani.

Emma

Ai tempi della scuola, Emma era mia compagna di classe e mia migliore amica. Era una ragazza dall’intelligenza viva e curiosa, non condizionata dalle “logiche di gruppo” tipiche dell’età adolescenziale: nonostante appartenesse al giro dei fighetti mi frequentava, me allampanata e occhialuta, e per di più “secchiona”. Mi frequentava eccome!

Emma sapeva riconoscere la mia sensibilità introversa, sorrideva dei miei atteggiamenti naïf e le piaceva non solo studiare insieme a me, ma anche andare al cinema e alle feste. Io le volevo molto bene, nonostante all’epoca non mi rendessi conto che lei era il mio unico ponte sociale verso i compagni di classe più quotati e il mio lasciapassare per la tranquillità dei miei genitori.

In una fase di ribellione della mia adolescenza, mi ritrovai ospitata per un tempo a casa della famiglia di Emma.

In piena rottura con i sistemi educativi familiari, decisi di scappare di casa e, una volta fatta la mia piccola valigia e raccolto il mio patrimonio economico, mi ritrovai a prendere l’autobus per rifugiarmi proprio a casa di Emma, perché io, da sola, al di là della scuola e della frequentazione con la mia migliore amica, non avevo mai avuto permesso di andare da altra parte. La mia permanenza fu breve, in quanto, ovviamente, i genitori di Emma avvertirono i miei, però quei quattro/cinque giorni furono incredibili: mi fecero rifiorire.

Ho impiegato più di vent’anni a capire il perché, e la risposta è arrivata, come un’illuminazione, durante un pranzo a casa di Emma, che nel frattempo si era sposata.

Questa volta la situazione non era di fuga, però stavo sempre con la valigia, di ritorno da uno dei miei viaggi avventurosi in cui mi piaceva sperimentarmi al limite delle mie possibilità.

Lei e suo marito mi vennero a prendere all’aeroporto. La mia assenza era stata davvero lunga e, comprendendo che dopo quell’avventura era bello ricostituire la famiglia di cui io facevo parte ad honorem, mi invitarono a pranzo.

Mentre apparecchiavo la tavola, mi vennero in mente, come in un flashback, tutte le volte che ritualmente la aiutavo in quella che ora era la sua casa, tutte le volte che mi ero seduta a quella tavola, che lei sapeva rendere calda e accogliente, non solo perché la imbandiva a dovere, ma anche perché, nonostante il poco tempo a disposizione, riusciva ad inventare piatti semplici ma “sfiziosi”. Mi rendevo conto di quanto quell’atmosfera di convivialità che si veniva a creare mi avesse sempre messo a mio agio, in qualsiasi stato d’animo mi trovassi, e quanto mi sentissi avvolta da una sensazione di calore semplice e naturale.

Prima di questo giorno, ho inconsciamente rifiutato di comprendere il senso profondo che Emma instillava in ciascuna delle piccole cose del vivere quotidiano.

Ricordo il primo pranzo a casa sua, appena sposata, con tanto di servizio di bicchieri di cristallo: io che in quell’epoca ero nella fase della “impiegataartistaradicalchic”, ebbi la faccia tosta di mangiare e dialogare gioiosamente, sentendomi bene, facendo sì complimenti alla padrona di casa,ma concludendo a voce alta che in fondo la mia migliore amica, ora che era sposata, si stava solo adeguando alla classica cena-cerimonia borghese!

Il marito penso mi abbia perdonato solo dopo anni… io ed Emma ci ridiamo ancora.

Emma è una donna comune ma non ordinaria, una professoressa con tutte le difficoltà per non essere “di ruolo”, è madre, moglie e sempre una “gran femmina”, non ha mai rinunciato alla tradizione culinaria della madre amando il cibo e la convivialità.

Sono la sua migliore amica, quasi una sorella e, ho compreso solo dopo anni e dopo tutto un vissuto fatto, del susseguirsi di gioie e dolori per entrambe, che quella che in quel momento mi appariva una cerimonia borghese, era invece un quotidiano genuino e pieno di amore che lei ha ripetuto ogni giorno finora. 

Emma nutre la sua famiglia e tutti coloro che si avvicinano a lei con la sua allegria, la sua spensieratezza, con il piacere e la volontà di fare, molto spesso riuscendo anche a trasformare i doveri più noiosi per chiunque, in qualcosa di vivo e partecipe.

Beh, se Emma leggerà mai questo articolo, penso che stavolta potrei aver vinto a vita un cestino pieno di leccornie da portarmi a casa per la cena!

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