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Lavoro: meno inattivi, più dinamismo? Non così in fretta

Con la pubblicazione dei dati sul mercato italiano del lavoro nel terzo trimestre, Istat ha anche aggiornato il fondamentale database di statistiche economiche del paese, da cui è possibile “trivellare” qualche informazione aggiuntiva, e giungere a conclusioni che spesso vanno in direzione opposta alla vulgata ufficiale. Ad esempio, analizzando congiuntamente le serie storiche trimestrali su disoccupati ed inattivi.

Il dato che balza all’occhio, nel terzo trimestre, è il vero e proprio crollo degli inattivi, che il governo si appunta al petto come medaglia al valore di un paese in via di “riattivazione”, dopo anni di sclerotizzazione. La variazione annuale, tra il terzo trimestre di quest’anno e quello del 2015, produce in effetti un numero molto interessante: ci sono ben 528 mila inattivi in meno.

Ma l’inattività va scomposta nelle componenti costitutive, e Istat ci aiuta. Gli inattivi per scoraggiamento sono in calo di ben 198 mila unità. Un dato a supporto della tesi della riattivazione del mercato del lavoro. In tempi di espansione economica, il numero di scoraggiati tende effettivamente a ridursi. Un’altra categoria di inattivi è data dai pensionati e da coloro a cui non interessa lavorare, anche per motivi di età. Questa categoria di inattivi cala, nell’ultimo anno, di 142 mila unità. Altro numero importante.

Possiamo da ciò inferire che molti pensionati sono tornati sul mercato del lavoro? No. Dovremmo piuttosto inferire che questa “vasca” del mercato del lavoro ha il rubinetto che porta meno acqua, a seguito del trend di innalzamento dell’età pensionabile. Una curiosità: oltre 100 mila inattivi in meno sono ascrivibili alla categoria di quanti “attendono l’esito di passate azioni di ricerca di lavoro”. La sintesi, osservando le componenti dell’inattività, è che al calo degli scoraggiati si somma anche la riduzione del pool di pensionati inattivi. L’ipotesi che tale stock si stia restringendo non per ritorno sul mercato del lavoro da parte dei pensionati bensì per dinamiche demografiche e normative, cioè di accesso all’età pensionabile, resta sul tavolo.

Per valutare il dinamismo del mercato del lavoro serve tuttavia analizzare anche i flussi della “vasca” dei disoccupati. In un anno, dal terzo trimestre 2015 al terzo trimestre 2016, essi sono aumentati di 131 mila unità. L’inferenza immediata è che, quando c’è ripresa economica, le persone escono dall’inattività ed entrano nelle forze di lavoro, mettendosi alla ricerca. Per valutare se tale ipotesi regge, ci vengono in aiuto i dati di flusso del database Istat, in particolare il conteggio dei disoccupati ex inattivi. E cosa scopriamo? Che questa categoria, nel terzo trimestre 2015, era composta da 557 mila persone, e che tale numero restava perfettamente invariato nel terzo trimestre 2016: ancora 557 mila persone. Notevole, vero?

Prendete nota: il numero di persone rientrate sul mercato del lavoro, cioè che cercano occupazione e prima erano inattive, non si è gonfiato nell’ultimo anno. Non solo: se osserviamo un altro dato di flusso, quello di quanti sono disoccupati a seguito di perdita di occupazione, vediamo in un anno un aumento di 44 mila unità, passando da 1,387 milioni a 1,431 milioni. Questo non è un dato positivo, ne converrete. Altro dato non positivo è quello dei disoccupati da più di 12 mesi: ce ne sono 51 mila in più, in un anno, su un totale di 131 mila.

Quindi, riassumendo: l’aumento del numero di disoccupati dell’ultimo anno non deriva da inattivi che si iscrivono al collocamento o comunque tornano a cercare lavoro bensì soprattutto da quanti il lavoro lo hanno perso. Circa il 40% della nuova disoccupazione dell’ultimo anno è poi di lunga durata, oltre 12 mesi. Un’altra narrativa che non regge al confronto coi numeri della realtà, si direbbe.

 

Foto: Francesco Carrani/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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