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Lavoro e dignità, precari delle Poste ricevuti a Palazzo Montecitorio. La gaffe della UIL

Il “metodo Poste” alimenta precariato e produce sfruttamento: una battaglia di civiltà, anche culturale, da portare avanti a prescindere dall’appartenenza politica o sindacale

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L’incontro con l’onorevole Soumahoro

Il diffuso malcontento degli ex lavoratori precari di Poste Italiane, che da anni giacciono dimenticati nel limbo di una graduatoria in attesa di essere stabilizzati, è confluito nel movimento autonomo Lottiamo Insieme ctd (contratti a tempo determinato) Poste. Oggetto di forti critiche è stato il discutibile meccanismo “trita-diritti” per le assunzioni a tempo indeterminato: la trasparenza di facciata della procedura di stabilizzazione – che, di comune accordo tra azienda e organizzazioni sindacali, non tiene conto del diritto di precedenza dei lavoratori che hanno già prestato attività lavorativa a termine rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato – fa da contraltare a dinamiche clientelari che rendono i lavoratori dipendenti più succubi della logica aziendale del profitto, con il placet del sindacato di turno. Si pensi alle numerose segnalazioni in cui si denunciano violazioni contrattuali, in primis per quanto concerne il mancato rispetto dell’orario di lavoro e straordinario non pagato.

Allo stato il “metodo Poste” alimenta precariato e produce sfruttamento compromettendo la qualità del servizio pubblico universale, i cui disservizi sono ormai sotto gli occhi di tutti. Gli uffici di recapito si reggono sulle gambe di migliaia di precari “usa e getta” per lo più provenienti dal meridione. Reclutati nella misura media annua dell’8% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato su base regionale, facenti capo a tutte le funzioni dell’azienda, ma di fatto si assiste all’aggiramento della normativa se consideriamo il rapporto in relazione alle sole risorse del recapito. “Lavora e zitto” è la formula adottata per i lavoratori occupati con contratto a termine: hai un lavoro, non hai il diritto di lamentarti. O forse sì?

Monta così la protesta degli ex postini per spezzare l’indifferenza della politica e delle istituzioni. Inutile stare fermi nell’attesa di un Godot: chiunque si ritrovi sospeso nell’incertezza del sistema Poste è invitato ad unirsi al Movimento che si batte per il blocco della graduatoria e la stabilizzazione, entro tempi certi, di tutti gli iscritti. Sono 63.251 i contratti a tempo determinato stipulati da Poste Italiane SpA solo nell’ultimo quinquennio (dati della Corte dei conti). Dovremmo ricordare all’azienda e agli azionisti istituzionali che dietro numeri e percentuali ci sono persone, ci sono vite e ci sono storie. Che cosa accade nelle nostre poste? A fronte di questi dati, da rivedere al rialzo alla luce della problematica diventata virale degli straordinari non pagati, appare lecito credere che il ricorso ai contratti a termine sia volto non solo a soddisfare esigenze temporanee ed eccezionali ma anche ordinarie.

Il governo, interrogato il 17 maggio dall’onorevole Aboubakar Soumahoro in merito alle sorti di circa 10 mila ex lavoratori precari di Poste Italiane in attesa di occupazione stabile, non ha fornito risposte soddisfacenti. Soumahoro, membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, con serietà ha rinnovato l’impegno a sostegno di quest’ultimi, ricevendo lo scorso venerdì presso la sede della Camera dei deputati una delegazione del crescente movimento Lottiamo Insieme.

Una battaglia di civiltà, anche culturale, da portare avanti a prescindere dall’appartenenza politica o sindacale. E invece, ancora una volta con grande rammarico ci duole constatare l’arretratezza e la chiusura ideologica di una rappresentanza sindacale sempre più inadeguata ad esprimere le esigenze di tutela dei lavoratori. Questa volta la protagonista in negativo è stata la referente del sindacato UIL Poste operante in provincia di Chieti, che alla vista delle fotografie scattate in occasione dell’incontro con il deputato, condivise in una chat WhatsApp con 119 partecipanti, dapprima chiosa con un lapidario: «Non ci fai una bella figura», rivolgendosi ad uno dei presenti della delegazione, e tristemente prosegue facendo riferimento a: «Cooperative di parenti che sfruttavano e non pagavano i lavoratori, peggio della storia dei ctd», sic! Probabilmente la sindacalista non è a conoscenza del fatto che con le indagini concluse dalla Procura di Latina, A. Soumahoro non c’entrava e non c’entra nulla. E conclude rimuovendo dal gruppo il lavoratore in questione perché: «Questa è la UIL ed è fatta di gente seria».

Un episodio grottesco che si commenta da solo, al pari dell’atteggiamento della sindacalista che mal si addice a chi sostiene di difendere un diritto altrui. Sarebbe vivamente auspicabile che i lavoratori prendessero le distanze da tali comportamenti.

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