Lavoro | Inquinamento e malattie occupazionali: quanti anni persi in salute
Epidemiologi riuniti a Roma: inquinanti fra le prime cause di anni persi in salute fra le malattie occupazionali, carbone in testa. Ci salveranno i green jobs? Secondo gli esperti è ancora presto per dirlo.
L’antracosi, una malattia cronica che colpisce i polmoni tipica di chi lavora nelle miniere di carbone, è oggi tutt’altro che un ricordo sfocato: il black lung, la sindrome da “polmone nero”, rappresenta ancora oggigiorno una delle prime cause di perdita di anni in salute. Appartiene alla famiglia delle pneumoconiosi, una classe di malattie polmonari croniche provocate dall’inalazione ripetuta nel tempo di polveri o fumi di sostanze nel proprio contesto professionale. È quanto è emerso in occasione della 28ma Conferenza dell’International Society for Environmental Epidemiology (ISEE), che si è tenuta dall’1 al 4 settembre a Roma.
Non parliamo soltanto di lavoratori delle miniere, non più così comuni: all’antracosi sono particolarmente esposti gli operai edili, gli addetti alla produzione di grafite o alla lavorazione dell’antracite. Sebbene non sia mai stata documentata una correlazione fra l’antracosi e l’insorgenza di tumori al polmone, l’impatto di questa patologia sulla salute pubblica e individuale in termini di anni di vita in salute persi non è indifferente. Uno studio del Global Burden of Disease (GBD) stima oltre 600 000 DALYs (Disability-adjusted life year), ovvero anni di vita persi a causa della malattia, per disabilità o per morte prematura, proprio dovuti alle pneumoconiosi nel 2013, e una riduzione della speranza di vita in buona salute (HALE) di 9,2 anni.
Solo in Cina poi, il governo ha stimato circa 4700 morti sul lavoro ogni anno nel settore dell’estrazione del carbone (World Investment Report delle Nazioni Unite).
Carbone, ma non solo. Numerosi studi hanno rilevato la correlazione fra l’insorgenza della patologia e l’esposizione prolungata – di circa 15-20 anni – agli inquinanti ambientali presenti in maniera massiccia nei grandi centri urbani, oltre all’esposizione al fumo di tabacco. L’ennesima conferma della gravità del fenomeno viene dalla Cina dove l’inquinamento atmosferico è la quinta causa di morte e ha fatto contare nel 2013 ben 916 000 morti premature. Di questi, 366 000 morti sono da attribuire solo alle emissioni di carbone.
Parlando di malattie occupazionali non si può non citare il caso dell’amianto, che colpisce in maniera sempre più sferzante anno dopo anno anche il nostro Paese, nonostante il suo utilizzo sia stato bandito in Italia nel 1992. La caratteristica devastante dell’amianto è che i suoi effetti colpiscono non solo chi è entrato direttamente in contatto con questo materiale sul luogo di lavoro, ma anche persone che ne sono entrate in contatto in modo indiretto, o perché familiari delle persone interessate o per ragioni contingenti che li hanno esposti in maniera prolungata alle polveri. Dal 1993 al 2011 inoltre, il 10,5% dei casi di mesotelioma non ha riguardato lavoratori esposti all’amianto. I dati riportati dall’Istituto Superiore di Sanità sulla base del National Mortality Database sono agghiaccianti: nel periodo 2010-2012 a livello nazionale si sono contati ben 2,8 casi di mesotelioma per 100 000 uomini e meno della metà (1,1 casi per 100 000) per le donne.
“Saranno i green jobs a salvare la situazione?” si chiedono gli esperti. Ancora non si sa, dal momento che il rapporto costi-benefici sia in termini di numero di malattie professionali e morti evitabili, sia per quanto riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili dal punto di vista ambientale non è ancora ben documentato in letteratura. Certo è – sottolineano gli esperti durante il consesso romano – che questi effetti negativi sulla salute nei processi di estrazione di combustibili fossili potrebbero essere in gran parte eliminati grazie a una transizione nel consumo di energia dal carbone alle fonti di combustibili non fossili. Una trasformazione urgente dato il numero crescente di lavoratori coinvolti nei prossimi decenni.
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Crediti immagine: Peabody Energy, Inc., Wikimedia Commons
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