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La scuola oggi: insegnanti impotenti davanti ai Reality Show

È palpabile, materiale, si taglia a fette. Se per qualche ragione sostanziale (lo avete sposato) o accidentale (lo vedete al bar) vi capita di incontrarne uno, osservatelo e ascoltatelo bene: ha un messaggio doloroso da darvi. È un insegnante, anni 55 o su di lì, un solo desiderio furioso: svanire. Squagliarsela, venirne fuori, pensionarsi.

Credo che mai, in passato, il disamore per la professione abbia raggiunto i picchi attuali. Se ripenso ai colleghi anziani dell’epoca in cui ho iniziato io, non riesco a trovare facce tanto incattivite, amareggiate, nauseate. Prima o poi qualcuno dovrà pur provare a raccontarla la vera storia della scuola italiana, del suo sfascio definitivo, e di chi ce la condusse; e dovrà pure essere un tizio con buone aspettative di vita, dato che ne avrà da studiare.

Il ventaglio di concause grandi e piccole è distribuito sopra un diagramma tanto esteso nel tempo da far paura; e fattori interni ed esterni si sono talmente incrociati che ormai l’imbroglio è pressoché inestricabile. Il longevo storico spazierà dalle fatuità nuoviste di certa pedagogia “à la page” di età Berlingueriana (vaniloquiante di “fluidificazione dei contenuti” e “destrutturazione della didattica disciplinare”) ai perversi effetti del crollo demografico metà anni ‘90 (quando premura per l’alunno e per la cattedra si “consustanziarono”); per toccare, poi, i tristi fasti della “scuola-progettificio” (in declino per esaurimento cassa) e gli insigni risultati della più riuscita opera di diseducazione di massa mai realizzata da sistema televisivo (pubblico e privato uniti nella lotta).

Sul punto, un solo esempio: certe luccicanti, plastificate, scipitissime gare di ballo e canto in tv, i cosiddetti “Talent Reality Show” (fa molto “fino” dirlo in inglese); perle rare come “Amici” (Mediaset) e “Ballando con le stelle” (Rai), dove è cosa del tutto normale che il concorrente non accetti il giudizio dell’esperto e addirittura giunga a contestarlo; e dove (quando si dice il perfezionismo) i giudici stessi litigano platealmente fra di loro, difendendo ora questo ora quello. Con il bell’effetto di diffondere la comodissima idea che ci si possa anche valutare da soli; e che chi giudica o non sa o non vuole farlo bene. La De Filippi e la Carlucci? Statene certi, hanno pesato più loro, sulla scuola italiana, di tutte le “commissioni” Berlinguer, Moratti e Gelmini messe insieme.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.52) 23 aprile 2013 12:01

    Condivido:il degrado della possibilità espressiva nel concetto odierno della istruzione è ai livelli di galleggiamento e navigazione a vista, la diseducazione dell’immagine preconfezionata e prescelta da "giudici" ,non da educatori, per di più profumatamente pagati e contesi tra diverse emittenti vince e convince il potenziale alunno a credersi un discepolo di una fede consumistica,planetaria . L’effimero domina ,in molti campi, ma in questo prato ,dove il vivaio dei giovani andrebbe particolarmente curato, non è ammissibile l’uso dell’ego e del posso dire e fare ciò che mi pare ,tanto quel che conta sono solo io,oggi e subito.
    Sicuramente la possibilità che esista "IL GENIO" è pari statisticamente per ogni generazione,epoca,società,ma per la probabilità di vederlo sbocciare e realizzare non è certo determinante o idoneo l’uso di metodologie competitive di tipo televisivo quali quelle usufruibili 24 ore su 24 di ogni giorno dell’anno.

  • Di (---.---.---.108) 26 aprile 2013 22:09

    Finalmente qualcuno che dice le cose come stanno. E’ ora di finirla con la retorica dei "valori educativi", della missione degli insegnanti, e altre belle parole. Ciò che rimane della scuola è un’istituzione ormai decrepita e stantia, che continua ad esistere formalmente perché così dev’essere, mentre di fatto gli alunni vengono "educati", o diseducati, dalla televisione, oltre che dal gruppo di amici (il quale del resto scimmiotta, a sua volta, le dinamiche e gli stereotipi e i linguaggi della televisione stessa). Contrastare la subdola, subliminale e devastante forza persuasiva della televisione è impossibile. L’immagine arriva sempre prima della parola. (Forse potrebbe contrastarla solo l’arte, che pur sempre dell’immagine si avvale; ma quella televisiva è comunque più animata, scintillante e dinamica, e dunque più penetrante, di quella, profonda, ma silenziosa ed assorta, dell’arte).

    Finalmente qualcuno che coglie l’impatto dei reality show: i quali, uniti ai social network, hanno imposto modalità di comunicazione, di interazione, di comportamento, di pensiero (o di non-pensiero) fondate sul chiasso, il grido, l’esibizione, l’insulto, la polemica gratuita, o sul semplice non-senso, sul vuoto delle parole che fa eco al vuoto della vita. E questo azzeramento della comunicazione, questa sostituzione del chiacchiericcio indistinto, o della risata idiota, dell’ebete boato, al discorso e al colloquio, rendono vana ogni educazione possibile. 

  • Di GeriSteve (---.---.---.91) 28 aprile 2013 19:06

    Ho insegnato nelle scuole diversi decenni fa; allora era molto bello insegnare: dava gran soddisfazione.

    Non sono adatto a scrivere di scuola o di TV: ne so ben poco, mentre questo interessante articolo è scritto da persona ben informata. Sulla comparsa del "fascismo culturale" Pasolini è stato chiarissimo e profetico; altri potrebbero descrivere bene la conseguente "mutazione antropologica".

    Io mi interrogo sulle cause di questa mutazione.
    Certo, i persuasori occulti della TV sono professionisti che hanno lavorato bene, la scuola è stata abbandonata a se stessa per sessant’anni e poi demolita dai vari Berlinguer-Gelmini.
    Ma sono state cause indipendenti con effetti convergenti oppure cause ben coordinate per ottenere proprio la mutazione antropologica degli italiani in consumatori e sudditi?

    Difficile sostenerlo, ma impossibile non domandarselo.

    GeriSteve

  • Di (---.---.---.202) 4 maggio 2013 21:12

    Berlinguer non diceva solo fesserie, invero. Oggettivamente, le tradizionali forme di verifica non hanno molto senso. Restano in piedi per vuoto formalismo. E "destrutturare la didattica" è inevitabile, se vogliamo tentare (impresa comunque ardua) di gettare un ponte verso giovani ormai irreversibilmente abituati ad una comunicazione frammentaria e rapidissima.

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