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La vendita dell’euro-Colosseo

Oggi vi segnaliamo una intervista si sabato 5 giugno sul Secolo XIX di Genova al viceministro dell’Economia Enrico Morando, da cui si evince che le praterie della fantasia dei nostri politici sono sempre più verdi. Più o meno come le nostre tasche.

Sorvolando sulla domanda in cui l’intervistatore dimostra scarsa dimestichezza con la contabilità pubblica, chiedendo a Morando se proseguirà “la riduzione della pressione fiscale, in parte già iniziata con gli 80 euro” (quella è spesa pubblica, non riduzione della pressione fiscale), nell’intervista si torna immancabilmente alla golden rule, che nell’immaginario collettivo della nostra classe politica è sempre sul podio, assieme agli eurobond. La risposta di Morando è ancor più surreale:

L’obiettivo è escludere gli investimenti dal conteggio del deficit?
«Le soluzioni possono essere diverse, ma la sostanza è di tipo statunitense: stati nazionali in equilibrio di bilancio, federazione – in questo caso Ue – che fa politiche espansive anticliche, quando ce n’è bisogno»

La lieve e trascurabile differenza tra Eurozona e Stati Uniti, viceministro Morando, risiede nel fatto che “loro” hanno le imposte federali sul reddito, ed anche grazie a quelle fanno politiche anticicliche. Forse lei suggerisce l’introduzione di Irpef ed Ires europee, ovviamente sostitutive in tutto o in parte di quelle nazionali. Se così fosse, saremmo già arrivati agli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo il timore che tale suggerimento sia -come dire? - lievemente prematuro, però. E comunque proprio non si capisce cosa c’entri la golden rule (che per definizione sarebbe misura nazionale nelle applicazioni), con una struttura federale di spesa pubblica “che fa politica anticiclica”. Gran Minestrone la trionferà.

Vi è poi un’altro punto, del tutto incomprensibile, che vi segnaliamo per amor di completezza, relativo ad una fantomatica proposta francese di “condivisione” di patrimonio infrastrutturale nazionale. Mah:

Il sottosegretario Delrio ha riproposto la ricetta Prodi per abbattere il debito pubblico…
«Quella è un’idea. Poi la Francia ha avanzato una proposta interessante, una sorta di “newdeal” europeo, hanno dato anche la cifra di 240 miliardi… A questo organismo europeo di investimento per le infrastrutture si potrebbero trasferire quote di patrimonio pubblico, che diventerebbe patrimonio dell’organismo europeo, fermi restando, nel caso degli immobili, i vincoli urbanistici, culturali…Con la garanzia di questo patrimonio pubblico l’organismo avrebbe più forza e contemporaneamente pagherebbe questo patrimonio agli stati nazionali. Nessuna messa in comune del debito, che spaventa i tedeschi, ma rafforzamento delle politiche comunitarie. Così l’Italia potrebbe passare dal 135 per cento al 120 per cento del rapporto debito-Pil in meno anni del previsto»

Qui confessiamo di non aver capito nulla se non che (forse) Morando vorrebbe una Cassa Depositi e Prestiti comunitaria, per spingere debito fuori dal perimetro nazionale. E vabbè. E così riusciremmo a scendere dal 135 al 120% di debito-Pil. Sono risultati, signora, mia. Quello che non si riesce a creare in house lo si gira all’Europa, quindi. La quale (pensiamo) dovrebbe acquisire tale patrimonio nazionale emettendo debito proprio per pagare gli stati venditori. Sarebbe il primo nucleo di eurobond ma fatti passare per la finestra, avendo la porta sprangata; smentendo recisamente che si tratti di debito ed entrando in modalità “se non è zuppa, è pan bagnato”. E’ una vera fortuna che i tedeschi non siano astuti come Morando.

Sulle cosiddette “privatizzazioni”, quelle che non si riesce a fare e per le quali è stato messo a bilancio un triennio di dismissioni da 0,7% di Pil annuo, Morando prende ad esempio il trionfale collocamento di Fincantieri per lanciare una proposta dirompente e molto “democratica”, come può esserla quello di chi ti propone uno sconto sull’acquisto del Colosseo:

«Secondo, la mia opinione – che un po’ viene confermata dalla vicenda Fincantieri – è che dobbiamo organizzare le privatizzazioni in modo che si dia vita a vere “public company”, dobbiamo fare entrare il risparmio delle famiglie nel capitale delle aziende privatizzate. Bisogna uscire dal “capitalismo relazionale”, dei noccioli duri, attorno a cui si è organizzata la privatizzazione degli anni scorsi, quando per acquisire il controllo si pagava un prezzo altissimo e poi si scaricava il costo sulla società stessa, che poi non aveva più risorse per agire come insegna la vicenda Telecom»

Viva viva il leggendario “risparmio delle famiglie” e le mitologiche “public companies“! Finalmente abbiamo il proiettile d’argento definitivo, a parte la tassazione al 26% per gli sporchi speculatori di borsa, famiglie incluse. Ed a parte l’assoluta indeterminatezza del concetto di “public company”, che (forse Morando lo ha scordato) era anche il grido di battaglia delle privatizzazioni dell’era prodiana, incluso vincolo al possesso da parte di singoli investitori, nato con le migliori intenzioni e rapidamente degenerato nell’ennesima manifestazione italica di capitalismo da debito, cioè relazionale, che partorì una variante delle scatole cinesi, il “pacco italiano”.

Mancano ancora molti mesi, prima di capire se e quale tipo di “flessibilità” sarà concesso ai singoli paesi. Di questo passo e muniti di simile trance agonistica fantasiosa, noi italiani arriveremo agli Stati Uniti della Via Lattea e riusciremo a vendere il Colosseo agli alieni, dopo averlo già ipotecato in Europa.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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