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La trattativa tra Italia e Realtà

Pare ormai acquisito che, per fronteggiare i sussidi verdi americani, l’Inflation Reduction Act (IRA) che stanzia 369 miliardi a favore di imprese che operano su suolo e con contenuto statunitense, la Ue risponderà impacchettando i residui del Recovery Fund e poco altro, ma soprattutto che lascerà mano libera agli aiuti di stato almeno a tutto il 2025.

Giorgia Meloni Olaf Scholz
NIENTE SURE, PIÙ AIUTI DI STATO

Malgrado gli sforzi del commissario italiano Paolo Gentiloni e dello stesso presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, non arriveranno nuovi eurobond, neppure per ridare vita al cosiddetto SURE, l’euro prestito usato per pagare la cassa integrazione in pandemia. Che, come i più intuitivi tra voi avranno notato, non era esattamente un prestito in conto capitale ma per spesa corrente. Ma sono dettagli.

La Commissione Ue è poi incline a innalzare la soglia di notifica a Bruxelles per aiuti di stato e ad accettare una sorta di matching funding difensivo contro l’IRA. Detto in altri termini, se un’azienda tedesca riceve dallo Zio Sam la promessa di dieci miliardi di dollari di sussidi per aprire un impianto negli States, la Germania può procedere a offrire lo stesso importo. Agile e veloce. A patto di avere i soldi, s’intende.

La premier italiana, Giorgia Meloni, è stata in missione a Berlino per incontrare il cancelliere Olaf Scholz, il Sor Tentenna della guerra d’Ucraina. Un dialogo tra sordi o giù di lì, sui nuovi eurobond. Ma tanto valeva provarci. E tuttavia, bastava una modica quantità di logica per comprendere la debolezza della posizione italiana. Anzi, l’assenza di nostre leve negoziali.

Ne ho parlato estesamente nel Phastidio Podcast di questa settimana ma oggi vedo un commento di Federico Fubini sul Corriere che è molto utile per una spiegazione rapida e intuitiva. In particolare questo passaggio:

L’Italia offre sostegno all’idea tedesca di rimuovere molti dei vincoli sugli aiuti di Stato all’industria, a condizione che Berlino appoggi a Bruxelles la “flessibilità” richiesta dal governo Meloni sui fondi europei. Essa riguarderebbe sia i tempi di spesa e rendicontazione dei circa duecento miliardi di euro del Pnrr – che si vorrebbe estendere dal 2026 previsto oggi al 2027-2029 – sia l’opzione di rivedere a fondo alcuni progetti.

Ecco, vedete che non era difficile, dopo tutto? Ci siamo abbuffati di debito, spazzolando via tutto quello che il Recovery Fund offriva, e già quello ci ha messo con le spalle al muro davanti alla tempesta inflazionistica. Tutto perché questo sciagurato paese resta convinto che il debito abbia valore salvifico e che esista sempre un magico moltiplicatore che ci consente di sollevarci da terra tirandoci per le stringhe.

Sono mesi, già dalla campagna elettorale delle politiche, che dico che l’esito italiano è scontato: l’eliminazione di alcuni programmi di investimento del PNRR. Ma il problema non è solo il denaro ma anche il tempo. Vale a dire la nostra congenita incapacità a spendere soldi, testimoniata dalla lunga tradizione di disuso dei fondi europei della programmazione pluriennale.

PRIMA SPENDETE I FONDI CHE GIÀ AVETE

Ma ora, ecco l’ipotesi di accordo con i tedeschi: voi spendete pure in aiuti di stato, visto che potete, ma consentite a noi di avere più anni per finire i nostri meravigliosi progetti verdi-digitali. Affare fatto? Affare per chi? Che poi, ripeto, bastava una presina di logica, come affiora anche nel pezzo di Fubini. Come osservano i discendenti di Hegel,

[…] se l’Italia chiede “flessibilità” è perché sta incontrando problemi di programmazione ed esecuzione sulle risorse già stanziate, dunque sembra prematuro un nuovo fondo comune europeo prima che lo stesso Paese che ne beneficia di più dimostri la praticabilità del Pnrr.

Ecco, vedete che non era difficile? Se non riesci a spendere nei tempi neppure quello che ti è stato dato sinora, esattamente per quale motivo vorresti altro debito? Provate a rispondere a questa disarmante domanda, se siete capaci. Ricordate che parliamo del paese che da circa un quindicennio chiede vari “scorpori” dal deficit di bilancio nel patto di stabilità e crescita.

Le spese per “investimenti”; quelle per l’istruzione o meglio per non farsi cadere in testa gli edifici scolastici; prossimamente per la sanità, per stampare in 3D medici e infermieri, oltre che tomografi e altri strumenti di diagnostica e intervento. C’è persino chi ha chiesto di scorporare dal deficit le spese per la Difesa, per raggiungere il fatidico 2% del Pil, non è chiaro se includendo gli stipendi delle forze armate o meno. Perché, si sa, il welfare italiano è ubiquo e proteiforme.

C’è sempre uno scorporo, nel futuro di questo paese. C’è sempre un investimento da effettuare anche se a volte, visto da vicino, quell’investimento somiglia sinistramente a spesa corrente. E senza scordare la regoletta di senso comune: ogni investimento porta effettivamente con sé spesa corrente, quella di esercizio. E bisogna potersi permettere soprattutto quella, a investimenti compiuti.

Vedremo come andrà questo “negoziato” ma non si può non avanzare una constatazione preventiva: la gemella assertiva di Giorgia Meloni, quella che berciava alle stazioni di servizio contro le accise o faceva interventi in aula che erano la sontuosa imitazione di Linda Blair ne L’esorcista, di fronte a un “compromesso” del genere avrebbe iniziato a sbraitare a 110 decibel, urlando alla svendita dell’interesse nazionale. Per contro, la sua pacata sorellina d’Italia che guida pro tempore ‘aaa nazzzione, pare aver dolorosamente compreso che, quando sei incravattato ben stretto, la tua sovranità e il tuo sovranismo sono di cartapesta, come i carri di Carnevale a Viareggio e non solo.

FRA TAR E AMMUINA

Nel frattempo, ci resta il grande scatto patriottico di reni per velocizzare la “messa a terra” del PNRR. Torneranno le grandi trovate come quella di “tagliare le unghie ai Tar”, che in teoria sarebbero nati per tutelare i cittadini dalla protervia della pubblica amministrazione. Poi, si sa, l’italianità prende la mano a tutti, e si finisce a Marcianise col tentativo di Leroy Merlin di aprire uno store: tentativo che in cinque anni non ha prodotto non dico un mattone, una gettata di cemento o un nastro tagliato da sindaco, parroco e farmacista, ma solo carta bollata. Signori, dovete lottare contro le delocalizzazioni, non contro le localizzazioni: provate a leggere meglio.

Vogliamo l’energia ma anche i Tar per impedire i depositi di GPL e le infrastrutture di rigassificazione. I tedeschi, dopo il tragico risveglio alla realtà e la scoperta di essere stati il cavallo di Troia di Putin in Europa, sono partiti di slancio con i rigassificatori. “Eh ma non vale, stiamo andando verso la rivoluzione verde e siamo ancora qui con i fossili?”, obiettano alcuni inguaribili futurologi italiani con le caratteristiche argomentazioni che hanno messo questo paese all’angolo del ridicolo.

Ma noi voliamo alto, più in alto. Ad esempio, pare che la premier stia progettando di spostare la super-cabina di regia del PNRR dal MEF a Palazzo Chigi. Non so perché ma questa notizia mi suscita due associazioni: una è la demenziale canzoncina di tanti anni addietro di Francesco Salvi “C’è da spostare una macchina“. L’altra è l’immortale direttiva di command and control che dovrebbe essere scolpita sullo stemma della Repubblica: facite ammuina.

E mentre prosegue, almeno fino alle regionali di Lombardia e Lazio di domenica prossima, la pertinace resistenza italiana contro la ratifica della riforma del MES (“perché ratificare vuol dire chiedere”, dicono alcuni svalvolati), proseguono in parallelo in Europa i lavori per riformare il Patto di stabilità e crescita. E i nostri eroi non si accorgono che sarà proprio quello il cavallo di Troia dentro il quale riprodurre il modello PNRR in associazione al MES. Quanta pazienza serve, con i ragazzi difficili d’Europa e il loro sovranismo da riformatorio.

  • Aggiornamento del 9 febbraio 2023: alla Germania (e a chi può), i sussidi fiscali. All’Italia, una proroga di un paio d’anni sul PNRR e il tentativo di infilare nel negoziato immaginario anche una riforma del Patto di stabilità che ci consenta di il mitico scorporo del deficit per investimenti, veri e presunti. Siamo ormai dei levantini tristi.

Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

 

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