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La terra che ci ospita deve essere difesa

C’era un tempo, nell’infanzia dell’uomo, in cui il cielo era l’origine di tutte le cose, la dimora degli dei e di tutte le entità che influenzavano la vita delle creature sulla terra. Era una dimensione poetica e immateriale ma di grandissima forza. Al cielo si innalzavano preghiere e implorazioni, si dedicavano sacrifici e vi si guardava per avere risposte sul futuro.

Poi pian piano, come accade per un fanciullo che cresce, dall’infanzia l’umanità è passata all’adolescenza e poi ad una età più adulta e questo ha naturalmente portato un sempre maggiore distacco dalla dimensione del mito, per privilegiare la razionalità e quindi la materialità, con tutto quello che questo significa. E quindi abbiamo smesso di alzare gli occhi al cielo. Non solo, abbiamo smesso di sentirci parte di quell’insieme grandioso di fenomeni che chiamiamo Natura. Non sentendoci più parte di questo insieme, ce ne siamo tirati fuori, come qualcosa che non fa parte di noi e di cui noi non facciamo parte. Come se l’essere umano non facesse parte della natura anche lui, come ha osservato Claudio Magris in un suo articolo sul Corriere della Sera del 13 aprile 2011, nei giorni del terremoto in Giappone. E questo distacco ha avuto, e ha, conseguenze pesanti perché pensiamo di domare la natura e di asservirla ai nostri bisogni, senza tener conto di equilibri delicatissimi in cui anche noi facciamo la nostra parte. E dunque eccoci a distruggere foreste, a inquinare laghi e mari, a scaricare nell’atmosfera gas e polveri nocivi, senza mai pensare che il danno che facciamo all’ambiente alla fine lo facciamo a noi stessi, perché non c’è vita (o almeno vita come noi la intendiamo) senza le complesse relazioni che legano tutti gli organismi della biosfera e il mondo fisico intorno a noi. Basta alterare alcuni aspetti di questa rete, per avere ripercussioni anche ad altri livelli, fino ad arrivare all’uomo.

In questa sete di dominio e di sfruttamento si inserisce anche la visione degli economisti di una crescita senza fine, che è crescita soprattutto della produzione e dei mercati. Ma non esiste sistema biologico che può crescere all’infinito, perché prima o poi le risorse si esauriscono e prima o poi verrà la fine, o comunque il declino di una popolazione, per far posto magari ad altre popolazioni che riescono a sfruttare il variato insieme di risorse, magari anche combattendo per accaparrarsi le poche risorse disponibili.

Ecco, questo è quello che sta accadendo oggi, dalle guerre per il petrolio e per altre risorse importanti, ai disastri ambientali, alle migrazioni di popoli che fuggono da paesi in guerra per trovare altre risorse in altri luoghi. Tutto ciò, mutatis mutandis, non è molto diverso da ciò che accade in una foresta tra gli animali che lottano per il controllo del territorio. E allora, perché non guardare in faccia meglio il nostro essere organismi biologici, quindi naturali, dotati però di straordinarie capacità, e usare queste capacità per risolvere i grandi problemi che stiamo fronteggiando? Che non vuole assolutamente dire tornare indietro e rinunciare alle nostre comodità, ma vuol dire usare le cose, i mezzi, le macchine, la medicina e tutte le nostre conquiste passate e recenti, con occhio nuovo e maggiore consapevolezza.

Tornando così all’inizio, da dove siamo partiti, al cielo. Al cielo come metafora del nostro mondo e del nostro universo da guardare con occhi diversi, senza alcun significato religioso; scegliere come guardarlo è questione personale e molto intima e non sta a nessuno indicarlo, ma si può guardarlo sentendo che siamo immersi in qualcosa di infinitamente grande e complesso che non si può ridurre a PIL, a crescita economica e a manovre finanziarie. E considerando che in quanto inquilini della Terra, abbiamo delle precise responsabilità verso la casa che abitiamo, come avviene normalmente per le nostre case in muratura. Una maggiore conoscenza e quindi consapevolezza dei forti legami che vi sono tra mare, terra e cielo (per dirla in modo molto semplice!) possono portare verso una maggiore attenzione ad aspetti della nostra vita che sono normalmente trascurati e forse a rendersi conto della bellezza e insieme della fragilità di questo pianeta che ci ospita e che vivrebbe senza di noi uomini, mentre noi uomini non potremmo vivere senza quello che il pianeta ci offre.

Sta ad ognuno di noi fare un piccolo sforzo per incominciare a guardare il mondo intorno in modo diverso, incominciando ad alzare gli occhi al cielo, inteso come metafora, come mezzo per incominciare a rendersi conto della sua vastità, delle sue sfumature di colore, della sua luce che è fonte di vita per noi e da qui rendersi conto anche della bellezza e fragilità della natura e del vasto mondo che ci ospita, per incominciare a rispettarlo e proteggerlo.

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