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La strategia dello struzzo

Ieri tutti a indignarsi con Giuseppe Ciarrapico, che ha definito i parlamentari di Futuro e Libertà dei «rinnegati», prima di concludere: «Fini ha fatto sapere che presto fonderà un nuovo partito. Spero che abbia già ordinato le kippah», perché «chi ha tradito una volta, tradisce sempre». Vincenzo Vita, Pd, lascia l’aula. Per Aldo Di Biagio, Fli, Ciarrapico «mescola fanatismo e razzismo». Fiamma Nierenstein, del Pdl proprio come Ciarrapico, è stata durissima: «Chiunque faccia queste affermazioni infami deve pagare, deve essere espulso, deve essere cacciato. Chi è antisemita si assuma le sue responsabilità e vada a fare il parlamentare in un’altra nazione». Insomma, indignazione alle stelle, di cui peraltro domani si sarà persa traccia. Perché questa classe politica, domani, dovrà indignarsi per qualcos’altro. Per non parlare mai di nulla, e lamentarsi che qualcosa, chissà cosa poi, impedisce di parlare delle “cose serie”, dei “problemi reali del Paese”.

E poi basta pentirsi, e passa tutto. Come per Bossi: qualunque cosa dica è una “sparata” su cui non ci si deve soffermare. E quando invece ci si sofferma, e si fanno le mozioni di sfiducia, basta una parolina («scusa») e siamo di nuovo tutti amici come prima. Che importa se da un lato si gioca il ruolo dell’agnellino (di fronte alle istituzioni) e dall’altra quella del predatore (sul territorio, ai comizi, sul giornale di partito, che in questi giorni sui «porci» romani ha fatto titoli di questo tipo

anche per dieci pagine in un giorno solo): la mozione di sfiducia si ritira, si può passare alla prossima esortazione a pulirsi il culo col Tricolore, riempire scuole pubbliche di simboli di partito, congratularsi se i propri concittadini non sono ancora stati “italianizzati”. Oppure si possono fare prime pagine come quella della Padania di oggi

in cui l’espulsione del diverso diventa una sorta di rappresentazione totalitaria della vacanza, la “bacchetta magica” coincide – inutile negarlo – con il “pugno di ferro”, e un suffisso impersonale, quel “li”, annienta le individualità e illude di dissolvere i problemi innalzando recinti, chiudendosi a casa propria, rigettando nel più conservatore dei modi il cambiamento. Come uno struzzo che infila la testa sotto la (propria) terra per non vedere ciò che spaventa. Proprio come chi ha paura.

Chissà se domattina i nostri professionisti dell’indignazione a ore troveranno il tempo e i consueti orpelli grammaticali per infuriarsi anche su questo modo inumano di rappresentare il problema dell’immigrazione o se, per qualche inatteso miracolo, proveranno a trovare una soluzione vera, umana al problema. Avanzo un’ipotesi: faranno finta di niente. Proprio come lo struzzo.

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