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La strage fascista di Bologna

La strage di Bologna è stato l'attentato più grave avvenuto in Italia dal dopoguerra: 85 morti e più di duecento feriti per lo scoppio di una bomba (composta da una miscela chiamata compound B, di tipo militare) il 2 agosto 1980 dentro la sala d'attesa di seconda classe alla stazione.

Immagine presa da qui
 

Diversamente da altre stragi avvenute in Italia, su questa si è arrivati ai responsabili, i neofascisti Giovanna Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini, esponenti dei NAR, condannati per strage e dunque oggi uscito dal carcere.

Ma, come per altre stragi, anche per quella di Bologna si devono segnalare i tanti episodi di depistaggio, a cominciare dalle prime ipotesi che parlavano dell'esplosione di una caldaia, come per Piazza Fontana.

Tutti i depistaggi sono contraddistinti da uno stesso copione: spostare l'attenzione verso una fantomatica pista internazionale sempre smentita dai magistrati.

Depistaggi organizzati da alti ufficiali del Sismi, che all'epoca era il nostro servizio segreto estero, legati al gran maestro della Loggia P2 Gelli (e ricordiamo che Belmonte, Musumeci e Santovito erano tutti iscritti alla P2).

Ma le condanne dei responsabili non bastano: altre domande meritano una risposta, per le vittime della strage, per la credibilità delle istituzioni.

Chi sono stati i mandanti? Chi i finanziatori? Perché quella strage (quando la situazione politica era già in fase di stabilizzazione, quando già si preparava il riflusso)?

L'anno scorso un nuovo pezzo di verità è venuto fuori: si tratta di un documento, rimasto nel cassetto per anni, dove si parla di un finanziamento di Gelli verso i NAR responsabili della bomba.

L'ex moglie del terrorista Paolo Bellini ha riconosciuto il volto del marito in un pezzo di un video girato pochi minuti dopo l'esplosione.

Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale, è legato anche ad un altro pezzo oscuro della nostra storia, le bombe della mafia fatte esplodere in specifici luoghi d'arte (Firenze, Roma, Milano) per lanciare messaggi allo stato italiano durante la trattativa stato-mafia.

E' lo stesso Bellini che, in carcere assieme a Nino Gioè, uno dei soldati di mafia responsabili della strage di Capaci, suggerisce di colpire le opere d'arte, per piegare lo stato.

E' come se ci fosse un filo nero che lega le bombe scoppiate in Italia negli anni della strategia della tensione (Milano, Brescia, Peteano), la bomba di Bologna con le bombe della mafia nel periodo 1992-93.

Massoneria, pezzi dello stato (non solo i servizi, deviati o meno ma anche dirigenti del Viminale come Federico Umberto D'Amato), neofascisti.

Per comprendere bene questa zona nera vanno citati tre episodi: dieci anni dopo la strage, a seguito dell'assoluzione in appello dei neofascisti, il presidente Cossiga e l'MSI chiesero che dalla lapide alla stazione fosse tolta la parola “fascista”.

Il procuratore Ugo Sisti, che guidò le prime fasi dell'indagine, fu trovato durante una perquisizione a casa di Aldo Bellini, padre di Paolo Bellini, estremista di destra pure lui.

La telefonata, una delle tante, per uno dei primi tentativi di depistaggio, partì dal centro Sismi di Firenze.

Ma va ricordata un'altra cosa: sin dai momenti successivi alla strage, quando si comprese subito l'enormità di quanto successo, tutti i bolognesi si misero a disposizione per aiutare i parenti delle vittime, per rimuovere le macerie, per trasportare i feriti.

Per queste persone, la parte migliore del paese, le istituzioni dovrebbero fare lo sforzo di arrivare fino in fondo.

Chi ha voluto questa strage?

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