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La spiacevole matematica della transizione ambientale

Dal collasso delle quotazioni delle aziende Clean Energy al ridimensionamento dei programmi delle auto elettriche: le previsioni di costi e volumi si sono rivelate troppo ottimistiche.

Ormai oltre due anni fa, avevo segnalato che la transizione energetica, come tutte le transizioni, non sarebbe stata un pranzo di gala ma più verosimilmente una traversata nel deserto, fatta di stop and go, di ripensamenti, recriminazioni, pensieri ai presunti bei tempi andati del precedente paradigma energetico, fiato alle trombe dei populisti, rivolte fiscali e rifiuto a pagare il prezzo di quel cambiamento che, a parole, siamo tutti entusiasti di affrontare. Le cose stanno andando in quei termini lungo molteplici dimensioni, dai bilanci familiari a quelli pubblici, passando per i mercati finanziari.

Spesso si tende a confondere le dimensioni, e a leggere i ridimensionamenti nella velocità del percorso come segni di imminente collasso del nuovo paradigma. La verità è che siamo a metà del guado, e si deve necessariamente proseguire.

LA FRENATA DELLE ELETTRICHE

Prendiamo l’aspetto dei mercati finanziari. Le notizie recenti indicano da un lato l’aumento della quota di veicoli elettrici sul totale delle immatricolazioni e dall’altro annunci dei costruttori di riduzioni dei programmi di investimento, per scontare la frenata nel tasso di adozione dei nuovi veicoli. Ogni annuncio di questo tipo si abbatte su quotazioni azionarie che incorporano tassi di crescita molto elevati, e di conseguenza vengono ridimensionate.

Nel frattempo, il rallentamento del tasso di adozione rinvia nel tempo il momento della profittabilità delle produzioni di veicoli elettrici, e costringe le case a chiedere ai governi sussidi per reggere i volumi di produzione. Perché si tende a scordare che, se il costo di esercizio di un veicolo elettrico è inferiore a quello di uno con motore termico, quello che pesa è il suo costo di acquisizione, cioè l’investimento iniziale. Discorso identico per le pompe di calore che dovrebbero sostituire le caldaie a gas. Per informazioni, citofonare al governo tedesco.

Questo non significa che l’industria dell’auto elettrica stia per morire: semplicemente, che le quotazioni si adeguano alla riduzione, spesso significativa, delle proiezioni di crescita. Con le conseguenze note sugli indici azionari. È un fenomeno “aritmetico”. I multipli delle azioni interessate devono sgonfiarsi, e questo è un processo doloroso per gli investitori, da sempre. È già accaduto ad ogni comparsa di tecnologie e settori “disruptive“: continuerà ad accadere e ci sarà sempre chi si comprerà questi investimenti a multipli stellari, pensando di avere tra le mani la pietra filosofale, che poi gli si legherà al collo. Ma la tecnologia proseguirà, a passo meno rapido, il suo percorso. Perché i mercati e la realtà spesso entrano in rotta di collisione. Nel frattempo, molte imprese cadranno sul campo, e il processo di selezione naturale costringerà gli stati a mettere ben più soldi di quanto previsto.

Questo è ciò che ha colpito indici azionari tematici che promettevano mirabilie, come quello noto come Global Clean Energy, che negli ultimi sei mesi ha subito una vera e propria disfatta. L’energia rinnovabile è stata colpita duramente dal rialzo dei tassi d’interesse, che riduce il valore attuale del flusso previsto di utili, a sua volta messo in crisi dall’aumento dei costi delle materie prime necessarie per la produzione delle infrastrutture.

Global Clean Energy
Fonte
GLOBAL CLEAN ENERGY, IL MIRAGGIO SI DISSOLVE

Un numero crescente di costruttori finisce in dissesto, dopo aver tagliato i programmi di sviluppo di eolico, solare e anche nucleare. Chi resiste, deve negoziare con i governi tariffe di fornitura di energia ben più elevate di quelle previste sino a poco prima, e che si abbatteranno sui consumatori, rendendoli infelici e meno entusiasti di fronte alla “rivoluzione ambientale”. Anzi, facendoli sentire in trappola, con tutto quello che ne consegue in termini di istanze di rappresentanza politica.

I grandi sussidi promossi dall’Amministrazione Biden, oltre a spingere sull’inflazione non solo settoriale, avvengono senza copertura finanziaria, di fatto. Le istituzioni internazionali raccomandano di finanziare i sussidi necessari a portare l’industria verde alla scala di produzione economicamente ottimale mediante soprattutto carbon tax, ma questo precetto si scontra con le resistenze a imporre tributi. L’Europa ha seguito quel precetto, e ne sta pagando le conseguenze in termini di stress sociale.

Oggi, il maggior cambiamento climatico in atto è quello finanziario: dalla fase del denaro gratis, che rende profittevole pressoché ogni attività e consente ai governi di sussidiare con scarse preoccupazioni per le coperture, siamo passati a tassi d’interesse elevati e destinati a restare tali, ribaltando la prospettiva e abbattendo il profilo temporale di profittabilità del settore privato e i margini di manovra dell’attore pubblico.

Si tende poi a scordare che l’industria fossile, lungi dal poter essere seppellita serenamente e consegnata all’oblio, serve allo sviluppo delle rinnovabili, lungo molte dimensioni. Non ultima, quella estrattiva delle materie prime necessarie alla trasformazione ambientale. Si è quindi passati dal tentativo di messa all’indice dell’industria estrattiva alla più o meno pacifica coesistenza con essa. Ma il budget di capitale dell’industria fossile nel frattempo lievita, sia per la normale attività estrattiva che per il parallelo processo di decarbonizzazione posto in atto. I prezzi dell’energia servono elevati, quindi. Ma gli aumenti dei livelli di attività dell’industria fossile si traducono in aumento delle emissioni, ritardando l’appuntamento col fatidico net zero.

In sintesi, i piani finanziari sono da riscrivere, la profittabilità è ritardata, i budget di capitale lievitano. La matematica finanziaria diventa spiacevole. Il denaro pubblico necessario a tenere in piedi la transizione lievita a sua volta. E la transizione diventa quello che è sempre stata: una traversata nel deserto. E ora, che la COP28 e i suoi buoni propositi comincino.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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