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La sindrome da perdita dello yacht, e la Petionville che esiste in ognuno di noi

La sindrome da perdita dello yacht, e la Petionville che esiste in ognuno di noi

"E’ un terribile incubo. Piange spesso. Il bimbo non è più tranquillo e sereno come prima".

La storia del piccolo Nathan Falco Briatore e la sua serenità perduta per mancanza di yacht, mi ha letteralmente sconvolto. Mi ha riportato alla mente un articolo che lessi sul Corriere alcuni mesi fa.

Si parlava di Petionville, la parte alta di Port-au-Prince, la capitale di quell’isola dei Caraibi che prende il nome di Haiti e che all’inizio dell’anno è stata devastata da un terribile terremoto.

Petionville, la parte più ricca di Haiti, quella delle ville e dei Suv, sembra sia rimasta intatta. Al 100%. Ed è così che mentre Haiti diventava una tendopoli dilaniata dalla catastrofe, sulla spiaggia di Petionville si continuava a versare champagne da 153 euro a bottiglia.

Non biasimo più di tanto la signora Gregoraci: nel suo sfogo (ad una rivista di gossip per altro, non in un Angelus da Piazza San Pietro) non faceva altro che descrivere lo stato d’animo del suo bambino, non c’è nulla di ipocrita nelle sue dichiarazioni.
 
E non capisco nemmeno cosa ci sia da criticare ad una che vivendo su un Yacht vivrebbe perennemente a Petionville, che comunque è e rimane la parte alta non solo di un’isola, ma anche della realtà e dei sogni di tanti di noi.

I lustrini e le pailettes che indossano le nostre donne il sabato sera, i nostri cellulari supertecnologici touch-screen, le nostre tv ultraleggere al plasma, i 10 litri di acqua che consumiamo ogni volta che scarichiamo il water: ecco, quella è la nostra Petionville.

In questo periodo si sente spesso che in Europa viviamo al di sopra dei nostri mezzi. Ora, a tutti coloro che stamane stanno vomitando in seguito alla notizia della sindrome da perdita dello yacht del piccolo Nathan Falco, vorrei solo ricordare che il briatorino junior oggi piange per la sorte della sua sciagurata Force Blue, ma domani il vostro bimbo potrebbe vivere un incubo solo perché gli potrebbe mancare lo "stretto necessario" come il succhiotto in Caucciù, il sonaglino della Chicco, il peluche della Trudi.
 
Ho la stupida sensazione che ora che crisi ed emergenza sono diventate parole solo utili alla propaganda (vedi la fretta della manovra economica di questi giorni), anche ogni piccolo incubo sia diventato lecito. E’ questa la vera ipocrisia, non la disperazione della Gregoraci.
 
Solo un anno fa la nostra Haiti è stata L’Aquila.
Se l’avete dimenticato siete su Petionville.

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