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La scuola come strumento di fascistizzazione

Quando si parla di scuola del futuro, bisognerebbe tornare al passato e ricordare almeno ciò che scrissero ai primi del ‘45 su un foglio stampato alla macchia i docenti che, saliti in armi sui monti partigiani per abbattere il nazifascismo, si costituirono in Comitato di Liberazione Nazionale Scuola e affidarono al futuro le speranze della generazione da cui nacquero la repubblica, la Costituzione oggi stravolta e un’idea di scuola che Renzi attacca alla radice.

La carta è povera, sottile, trasparente come un velo, ma contiene i principi fondanti della scuola repubblicana: «L’istruzione è la vera liberatrice dell’uomo», spiegano i docenti; «chi teme il popolo, vuole il gregge, la folla da sfruttare; […] tarpa le ali al libero insegnamento, lo soggioga, lo vuole dominare e produce perciò una costituzione sociale, fondata solo sulla potenza del denaro». E’ una «condanna postuma» dei tempi che viviamo.

Durante il fascismo ricorda il giornale, il docente «fu asservito colla miseria; ridotto a una vita stentata, che mortifica e, alla fine, immiserisce anche i più arditi: la professione fu angustia, conformismo e rinuncia. E l’insegnamento fu come la classe dominante imponeva; la gioventù crebbe, informata a principi falsi a ideologie assurde e funeste […] e l’attuale catastrofe è l’ineluttabile risultato». A che fu ridotto l’insegnamento? – si chiedono i partigiani – e ancora una volta la risposta conduce al presente: «a strettezze mortificanti, alla lezione privata e, con essa, alla triste rete di transazioni, di mercimonio, che avvilì insegnanti ed insegnamento: come si desiderava».

E’ una profetica descrizione della condizione docente nella scuola di Renzi, ma sarebbe sterile, se gli insegnanti non disegnassero la scuola per cui rischiano la vita: «Nell’ordinamento sociale che sta sorgendo, l’insegnante dovrà rivestire l’autorità e la dignità più alta; sarà il maestro di vita e d’umanità. E la condizione sociale ed economica dovrà rendere possibile questa funzione, dovrà essere tale da permettere libero svolgimento, indipendenza, possibilità di coltivarsi, di procedere, di essere tramite di idee, di pensiero, di progresso per elevare noi stessi e i giovani a noi affidati verso mete sempre più alte di progresso, di libertà, di umanità».

E’ questa la scuola che Renzi distrugge. A difenderla si muovono, però, minoranze che ne fanno parte, bersaglio facile dei «riformatori»: forze conservatrici, timore del cambiamento, interessi corporativi. E intanto, sul web, le scaramucce tra bande di tifosi, gli eserciti di poveri in guerra tra loro e il vento del qualunquismo che, seminato per anni a piene mani, scatena tempeste in un mondo che sarà pure «globalizzato», ma soffoca nei rapporti autistici della pagine facebook.

Mentre la nascita di un fronte unico appare impossibile e non è facile cogliere l’intento di attacco generalizzato alle classi subalterne celato dietro la distruzione della scuola pubblica. Finché non inseriremo le decisioni dei proconsoli di Bruxelles nella cornice ideologica che li tiene uniti, non cancelleremo la sensazione di colpi menati alla cieca o di decisioni errate su problemi reali, che reali non sono: oggi il debito, domani gli sprechi, poi il «merito» e via così.

Eppure le tessere spaiate si unirebbero in un mosaico logico e conseguente, se solo provassimo a leggerle per ciò che di fatto sono ovunque, in fabbrica come a scuola: strumenti di fascistizzazione della società. E’ questo il filo rosso che unisce l’insieme dei provvedimenti pensati da chi governa l’Europa, dopo averne svuotato le Istituzioni di ogni carattere democratico. Anni fa, quando la popolazione era ancora abituata a riflettere, studiare e a far tesoro dell’esperienza, l’avremmo capito: il fascismo è il regime politico del capitale finanziario.

Pietro Grifone scrisse in proposito un saggio illuminate, mentre era al confino politico e sin dai primi anni della Repubblica, Calamandrei individuò nella scuola pubblica il bersaglio privilegiato di un attacco del Capitale rivolto non al diritto allo studio, ma all’impianto complessivo della Costituzione: colpire la scuola, per colpire l’intelligenza critica delle masse, anima di una battaglia per la democrazia. Prima ancora che l’Europa pensasse di unirsi, del resto, nel Manifesto di Ventotene, Rossi, Colorni e Spinelli lo videro chiaro: i rischi per l’«Europa dei popoli» non venivano solo dai nazionalismi, ma dagli uomini del grande capitale, pronti a presentarsi come europeisti convinti ma decisi, in realtà, a governare a proprio favore e con ogni mezzo il processo di unificazione.

E’ quanto accade sotto i nostri occhi impotenti, dopo che il filo della memoria storica è stato spezzato e la vicenda del Novecento stravolta, per imporre un anticomunismo acritico e viscerale, con gli strumenti di quel revisionismo maligno che, con precoce e lucida «intelligenza» dei suoi fini reali, Gaetano Arfè definì «sovversivismo storiografico». In questo clima, chi prova a resistere giunge allo scontro in condizioni di forte isolamento. Isolata è la lotta per la scuola, isolati e divisi sono nel Paese i sindacati conflittuali, divisi e isolati si sta rispetto agli altri Paesi. Sola è la Grecia, soli i lavoratori, soli i precari, soli, solissimi i giovani.
La fascistizzazione di Istituzioni e società avanza, invece, spedita, capitalizzando una sconfitta della sinistra che, prima di essere politica, è culturale.

Ci sono mille ragioni per diffidare dei 5 Stelle, ma occorre prendere atto: sono loro, i cosiddetti «grillini», a parlare di Europa nazista. Esagerano? Sia allora la sinistra a spiegare in modo convincente il processo di imbarbarimento di una Europa in cui un mostro che genericamente chiamiamo «postdemocrazia», impone una dottrina economica che è l’equivalente europeo dell’integralismo assassino.

Non sarà nazismo, ma di ferocia nazista sanno le stragi nel Mediterraneo, l’altissima mortalità infantile che rende la Grecia colonia, la riduzione in servitù di lavoratori e precari, la precarizzazione scientificamente pianificata del futuro si intere generazioni. A tutto questo è estraneo l’attacco alla scuola? Non è così. Ce l’hanno spiegato sin dal ‘45 i docenti in armi, mentre combattevano una barbarie partita non a caso dall’asservimento della scuola.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.134) 16 marzo 2015 19:21

    Pseudo Novatori >


    Da un lato non sono pochi i soggetti che, ancorati a un certo modello di vita, recalcitrano ad ogni prospettiva di cambiamento.

    Dall’altro non mancano i soggetti che, tenaci fautori del progresso, abbracciano come nuova e migliorativa ogni tipo di riforma.


    Di quest’ultima categoria esempio tangibile è oggi offerto da quei sedicenti “opinionisti” entusiasti estimatori della “Buona Scuola” patrocinata da Renzi.

    A loro dire, si tratta di un’auspicata proposta di “ammodernamento” del sistema educativo finalmente in grado di formare le competenze di una “nuova” cultura all’altezza del XXI° secolo.


    Ovvero del modello didattico della scuola del futuro, orientato a sviluppare negli studenti alcune puntuali capacità.

    Come quella di ragionare con la propria testa, di avere spirito critico e di impegnarsi a fondo. Non solo. La capacità di risolvere i problemi, di innovare e migliorare, di comunicare ed interagire in un’ottica di squadra (team).


    Di fronte a certe affermazioni c’è da chiedersi quali sarebbero le effettive novità di metodo e contenuto.

    Nell’intenzioni del mussoliniano Ministro Gentile anche la sua riforma della scuola (1922-23) era pensata e dedicata "ai migliori".

    E fin da allora ogni “nuovo” modello proposto è partito dall’assunto di servire a Scoprire le capacità primarie

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