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La scoperta del debito bollente

Un nuovo working paper di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, realizzato per il Fondo Monetario Internazionale, ribadisce quello che qui si scrive da tempo, nell’umile approccio “giornalistico” e così poco accademico ai problemi che ci caratterizza. E cioè che si preparano tempi non esaltanti per i creditori, a tutti i livelli.

Tale è il nostro “approccio giornalistico” che ve la facciamo molto semplice, anche perché la ripetiamo da anni: in giro c’è troppo debito e troppa poca crescita. Che poi sia il debito a frenare la crescita (come sostenevano Rogoff e Reinhart, prima di finire contro un malaugurato errore del loro foglio Excel), oppure che la bassa crescita alimenti il debito (paradigma di Paul Krugman), cambia assai poco. C’è troppo debito e poca crescita, con alto rischio di perderne la sostenibilità.

E quindi, che si fa? Ad un primo livello si tende a fare soprattutto quello che stanno facendo i governi italiani e quelli dell’Eurozona: si alza l’imposizione fiscale, ricorrendo anche a patrimoniali, e si fa una bella compensazione parziale tra debito e credito. Ma questa strada rischia di dimostrarsi non sostenibile, e quindi potrebbe servire altro. Ma cosa d’altro?

Le solite cose: ristrutturazione del debito, cioè default; oppure una fiammata inflazionistica, che riduce il valore reale del debito; o ancora forme di repressione finanziaria, che costringano cioè al finanziamento del debito a costi “artificialmente” negativi e comunque inferiori al tasso d’interesse reale d’equilibrio, ovviamente assistiti da forme più o meno palesi di controllo sui movimenti dei capitali, anche per via fiscale. Solo che, oggi, di inflazione non c’è traccia, ed anzi si rischia una deflazione da eccesso di capacità produttiva globale e svalutazioni competitive alla giapponese. E quanto alla repressione finanziaria, le banche dei paesi dell’Eurozona sono già sature di titoli di stato, acquistati comunque con uno spread positivo rispetto al costo del proprio debito presso la Bce.

Non sembrano esserci, allo stato, molte alternative a forme di ristrutturazione del debito, pubblico e privato. La politica monetaria lasca continuerà ancora a lungo, per tentare di rendere sostenibile il debito mentre il medesimo viene progressivamente “smaltito” via rimborsi. Ma continuerà a valere la solita regoletta: se il debito costa più di quanto si riesce a crescere, sono problemi. E’ poi corretto ricordarsi anche del debito privato, oltre che di quello pubblico. Forse si arriverà al momento in cui le banche prenderanno atto che, per molti mutui, bisognerà scegliere la soluzione meno costosa tra esecuzioni forzose e rivendita sul mercato (con tutti i problemi di tempistica che sono veri soprattutto qui in Italia), con rischio di abbattere ancora più le quotazioni, e taglio del debito attraverso sua ristrutturazione.

Nel mezzo ci sono gli stress test della Bce e la contrazione continua di credito al settore privato, ad essi legata oltre che al precedente eccesso di esposizione, esacerbato dalla crisi. E’ sempre questione di tempi e di modi, ma il momento di essere creativi in vario grado sul debito potrebbe essere più vicino. I creditori ed risparmiatori ne prendano atto, se già non lo hanno fatto. E magari leggersi gli “articoli correlati”, qui sotto. Non guasta mai, in un mondo di oracoli del giorno dopo.

 

Foto: Simon Cunnningham/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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