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La recensione di D’Alema al libro di Veltroni: anatomia di una trollata

“Sei sicuro di volerlo fare sul serio?”, chiede l’edicolante mentre mi allunga una grossa busta gialla. Rispondo con un lieve cenno del capo: sono sicuro. Lui si gira da un’altra parte, muto. Appena arrivato a casa mi barrico in cesso, mi adagio dentro la vasca da bagno e strappo l’involucro. Il contenuto: La Lettura, inserto culturale domenicale del Corriere della Sera, e l’Unità del 2 settembre 2012, al cui interno si trova la recensione di Massimo D’Alema dell’ultima vomitata letteraria di Walter Veltroni1. Li soppeso e li sfoglio, con bramosia e inquietudine. Una lacrima impatta il fondo della vasca. Sì, ho deciso di uccidermi un’anonima domenica mattina di fine estate.

La Lettura non era male, all’inizio. C’erano persino articoli su argomenti rilevanti nel XXI secolo, quali le implicazioni socio-politiche di tecnologia e Internet, spesso e volentieri corredate da squisite infografiche. Poi, numero dopo numero, l’inserto si è trasformato in una specie di circolo di gentlemen decaduti vestiti in panciotto e monocolo che succhiano zollette di zucchero e discettano di testi occitani mentre torme di creditori affamati pignorano tutto l’arredo.

L’ultimo numero, ad esempio, inizia con quattro (4) pagine dell’evanescente Paolo Giordano2 che racconta l’inedita e sconosciuta storia del massacro di Sabra e Shatila. Segue pezzo tradotto di Evgeny Morozov apparso su Slate qualche giorno prima. Poi ci sono undici (11) pagine sul Festivaletteratura di Mantova, tra cui spicca l’imperdibile “modernità dell’Orlando Furioso” di Cesare Segre. Si prosegue con due pagine tradotte di un’intervista (titolo: “Coraggio, sorridete”; sottotitolo: “Siamo scarafaggi nell’universo, ma ce la faremo”) di HANS-ULRICH OBRIST a YOKO ONO. Pagine 34-35: fumetto incomprensibile sull’inesplorato argomento del Festivaletteratura di Mantova.

Quando arrivo a pagina 36, mi imbatto nei 920.721 caratteri sul “mito di Grace Kelly trent’anni dopo”. Osservo la mia mano: è in cancrena totale. L’inserto mi cade e si affloscia dentro la vasca, crepitando. Secondo i miei calcoli, infatti, ogni pagina de La Lettura fa invecchiare di almeno tre anni. Nell’arco di due ore sono diventato un ultracentenario pluri-infartuato con dieci bypass e le ossa di gelatina. Ma non è ancora finita. Voglio che a darmi il colpo di grazia sia Massimo D’Alema.

La decisione di pubblicare sul quotidiano del PD – che però si professa indipendente dalla linea del PD, o circa – la “recensione” di un libro di un (ex) importante esponente del PD fatta da un importante esponente del PD ha suscitato la feroce indignazione del Popolo Del Web Del PD. Su Facebook sono piovuti centinaia e centinaia di commenti sulla pagina de L’Unità, tra cui insulti (“fottetevi”, ecc.), considerazioni scatologiche (“Ahahahahahahah rotolo!!!!! L’unità ha pubblicato una grande cagata”) e terribili minacce elettorali (“Il gatto e la volpe della ‘sinistra italiana’ (chissà poi alla sinistra di che?!) con questi giochetti salottieri continuano ancora a prenderci per il culo…..pensano loro!!!! Vedranno invece alle prossime elezioni come riceveranno una mazzata!!!!!”).

A prima vista, la recensione di D’Alema sembra la sepoltura dell’ascia di guerra, una pacificazione tra due persone che hanno passato la vita a odiarsi3 e cercare di pugnalarsi alle spalle. In realtà, D’Alema non ha fatto altro che trollare Veltroni (e non solo) in maniera sopraffina – e ad ogni paragrafo si può chiaramente sentire lo sfrigolio degli elettrodi attaccati alle palle di Veltroni. Il pezzo comincia così:

Per quelli della mia generazione il romanzo di Walter Veltroni ‘L’isola e le rose’ ha il sapore della nostalgia e ci riporta in un tempo cruciale della nostra vita personale e della nostra storia collettiva. Tutta la vicenda si svolge tra la fine del 1967 e l’ottobre del 1968, un anno indimenticabile. Viene persino da pensare: «ma dov’ero io in quei mesi fatali, dall’agosto all’ottobre, in cui si decide il destino dell’isola?».

E dov’erano i protagonisti di questa vicenda? D’Alema, ci fa sapere il recensore D’Alema, era lì, romantico e indomito, ad azzannare il cuore della Storia:

Il mio ’68 militante, in quei mesi, mi spingeva a Praga, in piazza, con il groppo alla gola, contro i carri armati sovietici. E, più tardi, a Francoforte, a rappresentare con Giulietto Chiesa e Giorgio Manacorda la Fgci nell’università assediata dalle forze dell’ordine, dove si svolse il drammatico congresso che – dopo l’attentato a Rudi Dutschke – decise lo scioglimento della Sds, la – per noi leggendaria – lega degli studenti tedeschi di sinistra.

E Veltroni, invece? Non c’era. O meglio, non poteva esserci, “avendo avuto nel ’68 non più di tredici anni”. Però, con “molto garbo e affettuosa partecipazione”, Walter ha saputo “raccontare la vita di una generazione alla quale egli si è iscritto certamente giovanissimo”, sebbene fosse un po’ troppo ammaliato dall’America che “irrompeva nella nostra civiltà con la sua musica, con il cinema e la televisione” e dai “miti della politica un po’ confusi, da John Kennedy a Che Guevara, ma tutti nel segno del cambiamento”. Bastone, carota, bastone – e la puzza di elettrodi bagnati e peli bruciati.

La trollata di D’Alema diventa sublime negli ultimi due paragrafi, nei quali il focus della recensione viene spostato dal 1968 alla questione generazionale, argomento decisamente à la page in questo periodo.

Nel romanzo di Veltroni, tornando indietro alla maniera del flashback cinematografico, entrano in scena tre generazioni: i nostri padri, che hanno vissuto la dittatura, la guerra e la ricostruzione, noi e i nostri figli. E nel dialogo tra padri e figli ci sono forse i passaggi più profondi ed anche più problematici del racconto. La generazione della guerra e, poi, del miracolo italiano, portava con sé una carica di speranza e di fiducia e la trasmise ai figli, incoraggiandoli a costruire «le loro Piramidi». Più aspro e difficile si delinea il rapporto tra chi ha vissuto le illusioni del ’68 e i giovani di oggi, che sembrano aggirarsi tra le macerie di una crisi che ha colpito sicurezze e conquiste sociali e che non sembra offrire speranze per il futuro. «Ci avete tolto tutto: dall’illusione della ricchezza facile alla fiducia di una società migliore, più giusta», è il grido dei ragazzi di oggi contro una generazione – la nostra – che spesso appare prigioniera del proprio narcisismo e incapace di riaprire una prospettiva per i più giovani.

Insomma, oltre ad essere un prigioniero “del proprio narcisismo”, D’Alema confessa di essere assolutamente incapace di dare un futuro ai giovani. E, beffardo come non mai, lo scrive di domenica, sull’Unità, mentre fa finta di recensire il libro del nemico che al 99,9% non ha letto.

Ma come mai D’Alema – che è stato premier e da più di vent’anni occupa una posizione di preminenza all’interno del partito – non ha mai pensato di occuparsi di “questa realtà drammatica” che offre “più di una ragione alla protesta di chi vede svilite le proprie aspettative di vita e si sente escluso”? Be’, non può farlo. Lui non ha tempo di immischiarsi in queste cose: “Mentre scrivo, le agenzie annunciano un livello di disoccupazione tra i ragazzi mai raggiunto negli ultimi vent’anni4”. Insomma, deve scrivere – ed è troppo impegnato a far fuori gli oppositori interni del Partito. Lo ha sempre fatto, del resto, e con sovietica devozione. La lista dei cadaveri eccellenti è lunga: Achille Ochetto, Romano Prodi, Piero Fassino, Dario Franceschini, Walter Veltroni. Eccetera, eccetera.

La vasca da bagno si restringe, la luce è flebile, il battito in via d’estinzione. Sto esalando gli ultimi respiri quando leggo la conclusione, che è solo apparentemente positiva. Sotto la superficie, infatti, si cela l’apoteosi della trollata, una spietata presa per il culo della retorica veltroniana, il compimento del sacrificio umano lungo una pagina di giornale.

Dal buio della crisi non si esce senza tornare a immaginare il cambiamento e senza tornare alla forza di un sogno. «Siamo caduti e risaliti. Ma siamo vivi. È l’augurio che faccio a voi. Abbiate l’ambizione di fare qualcosa di grande»: questo è il messaggio di speranza che Walter propone a conclusione del dialogo. Ed il romanzo si chiude quando, insieme, padri e figli scorgono, lontana, l’isola: «Sì, la vedo, è bellissima».

Peccato che l’Isola delle Rose – ma anche (cit.) l’Isola del Sogno Veltroniano – sia stata smantellata molto tempo fa, e che ora al suo posto sia rimasto solo il silenzio circondato dal nulla.

 

(Illustrazioni: Patrick Leger.)

  1. La trama ve la risparmio, ma dovrebbe essere una versione liberal-romanzata della storia dell’Isola delle Rose
  2. I motivi per cui è stato scelto sono semplici: 1) tra poco esce il secondo romanzo; 2) è uno scrittore “nato in quei mesi oscuri”. E questo basta a farne un esperto, naturalmente. 
  3. Qualche anno fa, per dire, D’Alema aveva detto: “Veltroni leader del PD? Non finchè io vivo”. 
  4. Corsivo mio. 
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