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La paralisi digitale della PA

Il nuovo sistema di affidamento dei contratti della PA, con e senza gara, prevede un sistema di piattaforme digitali certificate. Un'ottima idea calata dall'alto provoca l'inevitabile paralisi.

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

Ella ritiene che la digitalizzazione delle procedure sia utile per renderle più agili e semplici, oppure il suo scopo è semplicemente aver digitalizzato, a prescindere dall’utilità del risultato ottenuto?

È la domanda che da giorni si pongono amministrazioni pubbliche ed imprese che operano nel settore degli appalti.

OBIETTIVO FASCICOLO DIGITALE D’APPALTO

Esattamente dal primo gennaio 2024, in applicazione del nuovo codice dei contratti (d.lgs 36/2023), è scattato per le pubbliche amministrazioni l’obbligo di svolgere le procedure di affidamento (con gara o senza) solo con piattaforme digitali “certificate”.

Come dice, Titolare? Ottimo, così finalmente appunto gli appalti saranno rapidi e trasparenti? In effetti il fine ultimo della digitalizzazione è in tutto e per tutto condivisibile ed auspicabile: “accreditare” gli appaltatori in mercati elettronici, entro i quali le Pa, in modo trasparente e tracciabile, gestiscono tutte le fasi, dalla programmazione alla progettazione, dalla pubblicazione dei bandi o l’invio delle lettere di invito, alla ricezione delle offerte, alla loro valutazione, fino all’affidamento e alla stessa esecuzione del contratto, con tanto di pagamenti e collaudi.

Il tutto entro una sorta di fascicolo digitale dell’appalto, che si interconnetta automaticamente con le varie banche dati della Pa, così da rendere possibile, ad esempio, pubblicizzare le gare direttamente in line e senza più la “carta” della Gazzetta Ufficiale o senza dover aspettare i tempi morti per verificare i requisiti dell’appaltatore, grazie alla consultazione del Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico, nel quale confluiranno i dati su assenza di procedimenti penali, regolarità del pagamento delle imposte ed altri elementi fondamentali per l’attivazione del rapporto contrattuale.

Purtroppo, però, Titolare, tra il dire ed il fare occorre la valutazione preventiva di impatto, la capacità di saper ascoltare gli operatori anche dal basso, l’attitudine a svolgere test preliminari, la consapevolezza che la digitalizzazione non può essere una semplice metafora digitale degli stessi processi operativi su carta, ma richiede una profonda reingegnerizzazione delle procedure.

Così, è successo che dal primo gennaio il settore degli appalti è praticamente inchiodato. Di bandi pubblicati nelle piattaforme digitali ve n’è pochissimi. Ma si sono bloccate anche le procedure di acquisto più semplici e banali, quelle fino ad importi di 5.000 euro.

DIGITALIZZAZIONE IN PROVETTA

Cosa è successo? La digitalizzazione è stata ideata in provetta, senza test, senza consultazioni con gli operatori ed imponendo processi operativi che stanno finendo per bloccare l’attività.

Ci si sarebbe aspettato la realizzazione di una grande piattaforma pubblica, utile per garantire la completa unitarietà e coerenza del sistema, anche giovandosi dell’esperienza di lustri della Consip, che da molto tempo gestisce il mercato elettronico della PA, che è appunto una piattaforma digitale per la gestione delle procedure di appalto sotto soglia.

Invece, si è scelta la strada della fissazione di requisiti tecnici, per consentire a soggetti anche privati, oltre che pubblici, di creare un “mini mercato” delle piattaforme. Le Pa, quindi, possono o connettersi con quelle pubbliche (Consip o anche regioni), o acquistare i servizi resi dai privati, purché le piattaforme siano “certificate”, sulla base di regole tecniche e procedurali definite da Agid e Anac.

Risultato? Le piattaforme digitali certificate sono poche decine e gli enti in grado di entrare nel mondo digitale acquisendole meno ancora.

Ma, soprattutto, il “giro operativo” immaginato si è rivelato drammaticamente lontano dall’operatività.

Qui, Titolare, occorre andare di sigle. Il responsabile principale dell’attuale fase di semi coma del settore si chiama Cig: codice identificativo gara.

Ecco, per un codice, nella sostanza si sta bloccando da giorni il sistema degli appalti. Sì, perché allo scopo di tracciare le procedure, di qualsiasi importo, occorre acquisire il Cig (anche il Cup, codice unico progetto, se si tratta di opere pubbliche o investimenti provenienti da finanziamenti pubblici); altrimenti, niente gara; d’altra parte, senza Cig le imprese non possono nemmeno ottenere il pagamento delle fatture elettroniche attraverso la Pcc (piattaforma crediti commerciali).

Ora, Titolare, si può bloccare un sistema che muove centinaia di miliardi del Pil per un codice? Evidentemente, sì.

Fino al 31.12.2023 il Cig era facilmente acquisibile da specifici ambienti informatici messi a disposizione dall’Anac. Per gli affidamenti diretti fino alla soglia precedentemente consentita di 40.000 euro, si utilizzava un metodo molto veloce, lo Smart Cig, acquisibile in pochissimi passaggi.

La procedura poi proseguiva utilizzando gli strumenti, digitali o analogici, di ciascuna stazione appaltante.

Vi era una sostanziale autonomia tra sistema di tracciamento e sistemi di gestione delle procedure. Ciò consentiva di svolgere gli affidamenti diretti e soprattutto di acquisire beni e servizi di importi fino a 5.000 euro con notevole semplicità, anche considerando che tali ultimi mini acquisti non dovevano nemmeno passare obbligatoriamente per i mercati elettronici.

Invece, il nuovo sistema digitale ha dato per scontato che la generazione del Cig avvenga con la stessa piattaforma certificata di gestione della gara. Il Cig, quindi, è l’innesco del processo. E lo si è previsto perfino per gli affidamenti diretti. Strano: il codice ha aumentato a dismisura le soglie, portandole da 40.000 euro a 140.000 per forniture e servizi e 150.000 euro per lavori, considerando che non si tratta di “procedure” vere e proprie (e infatti il codice non prevede termini massimi); però, l’Anac ha impostato le piattaforme in modo che gli affidamenti diretti siano svolti al loro interno, a partire dal Cig.

Ma, senza piattaforma, non si può acquisire il Cig. Inoltre, le schede per attivare le procedure ed acquisire il Cig per i primi 10 giorni di gennaio risultavano impraticabili: erano impostate come se si dovesse attivare una gara vera e propria.

Il 10 gennaio, visto l’elettroencefalogramma piatto degli appalti, allora, l’Anac ha introdotto un metodo simile al vecchio Smart Cig: ha permesso agli enti di acquisire il Cig per i microacquisti fino a 5.000 euro fuori dalle piattaforme digitali, ma solo fino al 30 settembre 2024.

SISTEMA PARALIZZATO

La circostanza, poi, che la piattaforma messa a disposizione a questo (e non solo) scopo dall’Anac, la PcP (piattaforma contratti pubblici) sia da giorni regolarmente in “error 404” ha fatto saltare definitivamente i nervi, già tesissimi per le rigidità delle piattaforme. Per accedervi ed utilizzarle non solo occorre lo Spid, ma occorre uno specifico accredito: il responsabile unico del progetto (Rup), oltre a doversi interessare della programmazione, della progettazione, del reperimento della spesa, della gara, insomma delle incombenze fondamentali, è chiamato ad imputare continuamente i dati, a “prendere il Cig”, a digitare più e più volte le stesse informazioni; ed è difficilissimo accreditare al sistema altri funzionari per affiancarlo in queste operazioni di imputazione dati.

I comuni hanno digrignato i denti e chiesto all’Anac di intervenire in modo radicale, con un documento dell’Anci (associazione nazionale comuni italiani).

Su Il Sole 24 Ore del 24 gennaio 2024, Mauro Salerno, nell’Articolo “Caos gare digitali, raffica di emendamenti al Milleproroghe per escludere i microappalti” evidenzia che anche in Parlamento hanno perso le staffe.

Purtroppo, la fretta e la supponenza di chi ha pensato la digitalizzazione, può portare a reazioni opposte: molti degli emendamenti al milleproroghe, infatti, puntano a rinvii drastici della digitalizzazione.

L’esasperazione non è una buona consigliera. La digitalizzazione va difesa. Ma va migliorata. L’Anac, principale responsabile della digitalizzazione, fini qui ha fatto orecchie da mercante, minimizzando malfunzionamenti, non nascondendo di ritenere che il tutto sia da addebitare a presunti boicottaggi dei comuni e insistendo “a difesa” di quanto sin qui prodotto.

I fatti, tuttavia, dimostrano che una revisione profonda è necessaria, per far sì che il sistema funzioni.

Ma, a tale scopo occorre comprendere che certe operatività non si possono stabilire nelle torri d’avorio e che occorre ascoltare anche e soprattutto il “praticone” di campagna. E rendersi conto che per un codice non si può bloccare per giorni e giorni il Pil di un Paese.

Foto di xiaoxinghai da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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