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La mafia a Castellammare del golfo - anticipazione

Venerdì prossimo in edicola sul settiamanale Left avvenimenti ampio reportage/inchiesta su mafia e legalità a Castellammare del Golfo a firma di Pietro Orsatti. Una ricostruzione impietosa e dettagliata di quello che è stato definito per decenni “il porto di Cosa nostra”. A partire dal patto fra mafia siciliana e cugini americani (capeggiati da Lucky Luciano). Ecco ampi stralci del servizio, iniziando dalla riunione del 1957 al Grand hotel et des palmes a Palermo.

Lucky Luciano

(nella foto Lucky Luciano)


“Il summit, storicamente documentato in vari processi e sentenze, avvia quel processo di trasformazione della mafia tradizionale in quella dei corleonesi. E dimostra i legami mai troncati fra clan siciliani e cugini d’oltre Atlantico. Da quel momento Castellammare del Golfo è la base delle attività criminali legate al traffico dell’eroina. Viene scelto come quartier generale dei clan il Motel beach della vicina spiaggia di Alcamo Marina, di proprietà del boss Vincenzo Rimi. Nel 1985, la scoperta della grande raffineria di eroina di contrada Virgini, nelle vicine campagne di Alcamo, conferma la solidità e stabilità dell’attività criminale. La gestione del traffico internazionale è affidata a siculo-americani oriundi proprio della zona. La configurazione di questo tratto di costa, compresa tra Punta Raisi e Punta San Vito Lo Capo, favorisce il contrabbando e ogni altra attività clandestina: per questo l’area è nota da sempre agli inquirenti come centro di attività illecite. E Castellammare del Golfo è il centro, è il porto dei feroci clan vincenti dei corleonesi, immune da ogni indagine o ingerenza dello Stato nella quotidianità mafiosa fino a diventare addirittura luogo di vacanza di latitanti con a seguito l’intera famiglia. Tutto alla luce del sole. A due passi da qui hanno preso i Lo Piccolo. Corleone e Montagna dei Cavalli, luogo dove ha trascorso in libertà gli ultimi mesi Bernardo Provenzano, è a mezz’ora di macchina. Questo territorio è uno dei luoghi di dorata latitanza del boss viveur Matteo Messina Denaro. Perché qui i boss fanno i latitanti in casa propria, nel proprio paese, mantenendo inalterata la propria rete di affari e protezioni”.


(…) Ma la mafia continua ancor oggi la sua attività Imprenditoriale/criminale. E Il servizio di Left - avvenimenti prosegue:


“Oggi, in questa fase di riorganizzazione, gli inquirenti segnalano un ritorno dei contatti diretti fra mafia della Sicilia occidentale ed esponenti dei clan americani tornati in libertà dopo le condanne dei processi di Pizza connection e Iron tower. Non più eroina al centro dei traffici, ma cocaina prodotta in Sudamerica. I boss americani acquistano quintali e quintali di coca, che poi viene spedita in Italia a bordo di navi dirette nei porti siciliani e non solo: segnalazioni e sequestri si sono succeduti anche a Genova, Livorno, Civitavecchia, Salerno e Gioia Tauro. Le indagini degli ultimi tempi, infatti, indicano che a Palermo Salvatore Lo Piccolo e la famiglia del boss Nino Rotolo gestivano la distribuzione della cocaina tra alcuni grandi fornitori italiani, dividendo poi i proventi del traffico con i cugini americani. L’arresto dei Lo Piccolo ha solo rallentato la riorganizzazione del traffico, che oggi in molti indicano come “fiorente”. E si inserisce anche una novità organizzativa non da poco conto: la manovalanza dei clan non si ricerca solo fra i picciotti iniziati a Cosa nostra, ma entrano in gioco anche “stranieri” (immigrati a basso costo) e persone esterne all’organizzazione. Anche per il narcotraffico, a quanto sembra, iniziano a valere le regole della globalizzazione e delle “esternalizzazioni”. “


(…) Situazione e clima che si ripercuote anche sulla politica locale. Il consiglio comunale di di Castellammare del Golfo sciolto per mafia e commissariato per tre anni e oggi dopo le ultime elezioni tanti dubbi.


“Le “voci” parlavano della presunta ineleggibilità di alcuni (quattro) candidati poi puntualmente eletti: persone elette in un consiglio comunale con il quale avevano alcuni contenziosi legati a sanatorie e concessioni edilizie. Dalle voci non si è passati ad altro: la commissione elettorale ha sancito l’eleggibilità e quindi stop. Al limite si può parlare di “inopportunità” politica, ma null’altro. Ma per quanto riguarda il neo eletto sindaco Marzio Bresciani la questione è un po’ più complicata. E più difficilmente superabile. Parliamo di un sindaco eletto con più del 60 per cento dei consensi, che doveva rappresentare la rinascita democratica e il ritorno della legalità dopo gli anni del commissariamento. E qui non si tratta più solo di “voci”.
Marzio Bresciani è un noto imprenditore della zona e consigliere delegato della Sicilgesso, forse la più importante industria dell’area. Il 13 febbraio del 2003 è stata depositata presso il tribunale di Trapani una sentenza che, anche se non lo condanna, lo riguarda molto da vicino. Emerge dall’atto, infatti, che la Sicilgesso avesse pagato per anni a due clan il pizzo (20 milioni di lire l’anno a ciascuno), vista anche la sua posizione geografica, ovvero al confine fra il territorio di Alcamo e di Calatafimi. A confermarlo le testimonianze dei pentiti Vincenzo Ferro, Giuseppe Ferro e Vincenzo Sinacori. Convocati in tribunale, Marzio Bresciano e il presidente della Sicilgesso Antonino Cascio «hanno negato di aver mai ricevuto richieste né di aver mai pagato». E si legge ancora nella sentenza del tribunale di Trapani: «Ancora una volta, a fronte dell’assenza di contributo conoscitivo da parte delle persone offese, importanza fondamentale riveste la mappa delle estorsioni trovata nelle mani di Melodia Ignazio nella quale si legge testualmente “sicilgesso per Alcamo e Calatafimi a metà»”.

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