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La guerra ha anche il volto di donna: non solo in Ucraina

La rete non dimentica, è abile nella conservazione di tracce più o meno complete e durature di un sapere, della sua condivisione, annullando barriere fisiche e temporali. E così accade, un bel giorno, che dai sotterranei oscuri di un tempo andato, riaffiora alla vista un ritratto, che il giro del mondo ha già fatto, otto anni fa.

La rete non dimentica, è abile nella conservazione di tracce più o meno complete e durature di un sapere, della sua condivisione, annullando barriere fisiche e temporali. E così accade, un bel giorno, che dai sotterranei oscuri di un tempo andato, riaffiora alla vista un ritratto, che il giro del mondo ha già fatto, otto anni fa... 

Lei è Irina. È stata sequestrata in casa sua dagli uomini armati della Dnr, la Donetskaja narodnaja respublika, che da mesi governa la regione separatista del Donbass. È stata per quattro giorni nelle mani di una banda di osseti, legata a un termosifone nel quartier generale del famigerato battaglione Vostok. Picchiata, torturata, umiliata - 

rilancia l'Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa dalle pagine del New York Times - 

messa al palo, vicino a una trafficata rotatoria, avvolta in una bandiera ucraina, un cartello al collo: “Questa donna uccide i vostri figli”. È bastato. Nonostante fosse mattina presto e per le strade di Donetsk si avventurassero in pochi, una piccola folla si è radunata attorno a lei: una donna ferma la macchina, tira fuori dal bagagliaio dei pomodori e glieli spreme in faccia; una vecchia che passa di lì la prende a bastonate, un’altra a schiaffi, un’altra ancora a calci; sono quasi tutte donne, gli uomini si limitano a guardare oppure a fare foto. 

Quando il volto della violenza, dell’odio, della guerra assume quello di donna il sapore del sangue che è a versare cambia: chi incrocia la sua via, insieme allo sguardo, si sente mutare in pietra di fronte alla natura di un accanimento, un'abiezione, una crudeltà inimmaginabili, come se ad ergersi con il petto e la fronte fosse ora una furia anguicrinita. Per attraversare ciò non serve scomodare le ombre della strega di Buchenwald, della sadica di Stutthof o della cavalla di Majdanek. Sono spose, madri, lavoratrici. E non occorre nemmeno allestire un campo di battaglia per destarle: è sufficiente l’amor quieto del focolare domestico e un frugoletto lento a leggere il brano assegnato. 

Sconvolgono. 

Spaventano. 

Turbano. 

Non vi è percezione in loro di una tenerezza che a distrarre è dal dolore, ad alleviare è i rimorsi, ad aiutare è - se fosse - anche a morire; una stessa che invece, errando, qui ti aspetti. Pensiamo le sia propria, dovuta, in lei che da la vita - la dona, la custodisce a lungo dentro se stessa, la culla e l’accudisce, è a celebrare la Aleksievic, già premio Nobel - e in quanto donna nelle vesti regge apparentemente il cuore di una salvezza, omaggio e terra di vanto dell’ormai defunto papa Wojtyla nella sua stimata Mulieris Dignitatem, datata 15.8.1988. Chi è avvezzo a porsi qualche domanda, allora indugia: sono nate così? Lo sono diventate per contagio… sociale, ideologico, culturale? La nuda essenza è difficile da accettare: sono così, semplicemente. 

Il male esiste. 

E ha anche il volto di donna. 

Il male non ha bisogno dell’artiglieria pesante. Basta un cuore nudo e l’artiglio di un disprezzo insieme ai suoi sodali, la rabbia e il disgusto - ben noti nell’ambiente come la triade dell’ostilità. Compatta affida le sorti ad atteggiamenti di superiorità e giudicanti, all’arroganza, all’indifferenza. Esclude e annichilisce direttamente: la sola arte di avvicinare l’altro è nell’attacco, nell’azione offensiva, fisica o verbale, arrangiata allo scopo di piegare, sopraffare, annientare colei o -lui che a vestire è sempre i panni del nemico. Nelle viscere è a serbare un potenziale di devastazione che non ha nulla da invidiare allo scenario di un campo di guerra, di un terreno imbevuto di sangue, di una landa disseminata di croci. In un mondo tale non c’è spazio per l’accoglienza, la comprensione, la vicinanza e l’amore, anche quello di una madre, non è altro che la maschera grigia, fredda e insignificante dell’amore di Narciso. 

Il disprezzo partorisce e sposa il conflitto aperto, più o meno dichiarato, nella sua forma estrema e cruenta. La guerra, ora evocata, non ha età, confini o appartenenze. Ed è indubbio che abbia anche il volto di donna: spose, madri, lavoratrici, non solo in Ucraina. 

 

Sabina Greco 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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