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La genialità di 40 anni di sperimentazione: Alberto Burri torna a Milano alla Triennale

La retrospettiva allestita alla Triennale esaudisce nel migliore dei modi la volontà di Alberto Burri che era quella di adeguare le opere allo spazio espositivo in cui si dovevano inserire. Gli spazi della Triennale risultano adatti ad ospitare anche le opere di più grandi dimensioni, come le Architetture con cactus, permettendone una perfetta osservazione.

Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi hanno studiato questa vasta esposizione seguendo un criterio cronologico, ripercorrendo tutte le fasi dell’esperienza artistica di Burri: dalle prime sperimentazioni degli anni Cinquanta, con i sacchi, i gobbi, i catrami, i legni e le combustioni, alle produzioni mature degli anni Novanta.

Quello che più colpisce dell’arte di Burri è la continua capacità di rinnovarsi, rinventarsi, sperimentare, trasformare, recuperare: nelle sue opere i materiali più disparati prendono vita e diventano parte integrante di un’elaborazione concettuale, di un’emozione, di una sensazione. Vengono utilizzate dapprima materie naturali e, successivamente, a partire dalla metà degli anni Sessanta, anche quelle artificiali: è lo stesso artista a sottolineare come “le materie sintetiche che non hanno mai avuto una forma, le macchine le producono come quantità pura, senza qualità: è solo grazie alla concettualità e alla riflessione che l’amorfo recupera e acquista il proprio senso e la sua nuova vita”. È in questa prospettiva che bisogna guardare alle plastiche e ai ferri e ai diversi cellotex che l’esposizione propone.

La pittura di Burri sfrutta al massimo tutte le dimensioni dello spazio e, conquistando la tridimensionalità, sporge dal supporto piatto e diventa scultura. I cretti racchiudono la genialità dell’artista e la sua grande manualità: si tratta di rotture e libirintiche scanalature della materia, che danno il senso della plasticità, del contatto fisico con l’opera. Indimenticabili sono anche gli studi per le scenografie teatrali di Spirituals (1969), al Teatro alla Scala, di November steps (1972), al Teatro dell’Opera di Roma, e quelli inediti per il pubblico milanese di Tristano e Isotta (1975). Anche in questa fase di sperimentazione restano fondanti i principi di semplicità e razionalità che devono rispettare e mantenere inalterate le caratteristiche dello spazio.

La razionalità e la precisione del medico, quale era Burri, si coniugano in maniera armonica con la genialità e l’umana sensibilità dell’artista: prevalgono i colori puri, i bianchi e i neri, spesso impreziositi e illumiati dall’oro in foglia, e le forme semplici e geometiche.



A quasi 25 anni di distanza, Milano torna a rendere omaggio a questo grande artista, ricucendo, seppure solo dopo la sua morte, un rapporto di riconoscenza e ammirazione che si era interrotto quando l’Amministrazione Comunale aveva deciso nel 1989 di smantellare il Teatro Continuo costruito da Burri in occasione della XV Triennale all’interno del Parco Sempione.

Vedere questa mostra, che rimarrà allestita alla Triennale di Milano fino all’8 febbraio, significa provare in prima persona l’emozione e il sussulto di partecipare ai sentimenti e all’opera di trasformazione e lavorazione che ha dato vita all’imperdibile pittura materica di Alberto Burri.

 
Fino all’8 febbraio alla Triennale di Milano

Francesca Misiano

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