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La gattopardesca crisi prossima ventura

Un mostro si staglia all’orizzonte dell’economia mondiale: una nuova crisi.

Perché? Perché Obama, come Bush e Clinton prima di lui, ha deciso di puntare sui responsabili della crisi: i “13 banchieri” che hanno intossicato il sistema finanziario globale. Non ha ridotto il loro potere e la loro libertà di fare danni in giro per il mondo. Anzi, li ha rafforzati.

E’ questa la tesi di “13 bankers“, il libro di Simon Johnson e James Kwak di cui si discute molto negli Usa. Secondo i due autori, le banche responsabili della recessione possono esercitare un ricatto perché sono troppo grosse e controllano una fetta troppo importante dell’economia, piazzano i propri esponenti al Congresso e finanche alla Casa Bianca, fanno credere che la ricchezza collettiva dipenda da loro.

Citando Il Gattopardo, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: così la finanza cavalca un’amministrazione dopo l’altra e non smonta mai di sella.

Oggi le sei maggiori banche statunitensi rappresentano il 63% del Pil federale. Prima della crisi ne controllavano una fetta compresa tra il 57% e il 58%. Se si risale a 15 anni fa, gli stessi istituti costituivano il 17% dell’economia. Sono cresciute e crescono ancora, l’America dipende sempre più da loro.

E’ un circolo vizioso: crescono grazie ai sussidi e alle tasse di tutti e poi possono permettersi qualsiasi errore perché tanto sono troppo grosse per essere lasciate fallire.
E cresceranno fino alla prossima crisi.

Secondo Johnson e Kwak, “la struttura degli incentivi creata da alta leva finanziaria (spostando il rischio dagli azionisti e dai datori di lavoro ai creditori e, in ultima istanza, ai contribuenti) ed enormi bonus unilaterali (grandi negli anni buoni e comunque buoni negli anni cattivi) non è cambiata. Il basilare, massiccio sistema di sussidio resta inalterato: quando i tempi sono buoni, le banche si tengono il meglio sotto forma di compensi per executive e trader; quando i tempi sono cattivi e si profilano potenziali crisi, il governo paga il conto.”

La soluzione? Letteralmente, fare a pezzi le banche. Devono essere rese così piccole da “poter fallire“. E’ la tesi che pervade l’intero libro.
Bisogna riformare il sistema finanziario in modo che le banche non possano più ricattare la politica e il resto dell’economia.
E per Johnson “piccolo” è veramente “bello”.

Ecco cosa ha dichiarato in un’intervista al network radiofonico satellitare NPR:

“Sostengo che essendo più piccoli, le banche di comunità e i crediti coperativi offrono condizioni migliori: per esempio, un trattamento più equo sulle carte di credito e termini migliori per i conti correnti. E tanta gente non ci ha mai pensato.
Le grandi banche, le mega banche della nostra economia – Citigroup, Bank of America e così via – hanno veramente fatto del male a tutti noi attraverso il loro pessimo comportamento e la continua attività di lobby che impedisce una concreta riforma finanziaria. E dunque, trasferire i vostri soldi è un bene per gli individui e anche dal punto di vista del sistema finanziario.”

Di nuovo, il futuro dell’economia platenaria sembrerebbe dipendere da un solo Paese: gli Usa.
Prendendo per buona la visione di Johnson-Kwack, è come se i “13 banchieri” determinassero il destino economico del mondo.

Nessuna meraviglia quindi che gli Emergenti, Cina in primis, vogliano:

Sarà forse la resistenza di altre aree del mondo a ridurre il peso che Wall-Street continua ad avere dalle parti di Washington.

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