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La democrazia partecipativa e l’editoriale di Scalfari

Pregiatissimo dottor Scalfari,

mi consenta di esprimerle la mia riconoscenza, per tutti gli approfondimenti e i chiarimenti contenuti nei suoi editoriali domenicali. Mi hanno insegnato molto; ma ora non capisco il suo approccio rude ad un problema che richiede una pacata riflessione, e verso organismi che meritano rispetto e non critiche feroci nascoste in interrogativi e domande di chiarimenti.

Mi riferisco al suo editoriale di domenica 12/3/2012 dove, tra l’altro, scrive:

”Leggo su alcuni giornali (“Il Manifesto, il “Fatto quotidiano“) che il movimento anti-tav e la Fiom aumenteranno la loro pressione e la loro forza fino a produrre una svolta. Non si capisce in che cosa consista questa svolta, descritta come decisiva. Sottoporre a referendum ogni opera pubblica? Mettere in crisi questo Governo e sostituirlo con un altro? Quale? Oppure abolire governo e Parlamento e creare una Repubblica referendaria? C’è un palazzo d’Inverno? Uno zar da abbattere? Un soviet da installare a Montecitorio?

Qualche informazione in proposito sarebbe gradita.”

E’ chiaro il carattere provocatorio della domanda, ma è chiaro anche il suo giudizio su Fiom, Manifesto e Fatto quotidiano, sono radicali nostalgici del regime sovietico. E’ una ben strana lettura della realtà quella sua, e comunque di buona parte della galassia cosiddetta riformista. E’ vero che il senso e il valore della lotta anche dura si è perso nei meandri di un riformismo liberale servo della Confindustria, ma mi spieghi una cosa, quale violenza, in venti anni di lotta, è stata perpetrata dai valligiani, tale da meritare l’accostamento dei suoi difensori ai rivoluzionari russi. La Fiom, Il Manifesto, il Fatto quotidiano hanno difeso quelli della Val di Susa che lottano a muso duro per la loro valle, dunque sono radicali violenti. Chi difende i diritti fondamentali dei lavoratori e della democrazia è radicale violento. E ancora mi spieghi, se è moderato o radicale un giudizio cosi pesante, senza un’analisi, un giudizio sulle tesi sostenute dai valligiani. Quando un giornalista esamina un problema che vede coinvolto un movimento di popolo che lotta da venti anni non può non interrogarsi sulle ragioni di tanta tenacia, e quindi sull’utilità, la necessità, e la priorità dell’opera rispetto ad altre,sulla possibilità di infiltrazione mafiose, sul ritorno dell’investimento, in misura maggiore, del risparmio ipotizzato dai No Tav nel loro progetto alternativo.

Questo non è l’autunno caldo degli operai, degli utenti, dei consumatori; questo è l’autunno caldo dei banchieri, degli imprenditori. Quanta radicalità nell’abbandono a se stessi dei pendolari che viaggiano su carri bestiame, e dei viaggiatori del sud che vedono spaccata l’Italia ferroviaria, e quanta moderazione in questi utenti che accettano in silenzio tali disagi.

E’ Marchionne il radicale quando, nella fabbrica, toglie ai lavoratori i diritti fondamentali. E' la Gelmini la radicale, quando taglia i posti di lavoro nelle scuole e lascia senza supporto scolastico i bambini down. E' Sacconi il radicale quando tenta di dividere i sindacati, ed esaspera la legge 30 con una flessibilità all’ingresso vergognosa, che ha riempito le tasche alle imprese poco oneste e tolto ai giovani il sogno di un progetto di vita.

Sono gli operai i moderati, quando chinano la testa e subiscono, senza colpo ferire con solo tre ore di sciopero, la distruzione per i giovani del diritto alla pensione e accettano contratti come quelli di Pomigliano che buttano all’aria cinquanta anni di lotte e di conquiste, e frantumano i diritti fondamentali dell’operaio in fabbrica. Sono i lavoratori che sono sulla difensiva, non sono loro a chiedere sacrifici agli imprenditori, ma gli imprenditori a chiedere sacrifici agli operai. E tutto ciò senza il supporto di una sinistra in crisi, che li ha lasciati soli.

Allora com’è possibile accostare la Fiom, il Manifesto e il Fatto Quotidiano al palazzo d’inverno ai soviet ; che c’entra la Fiom con questa storia violenta ed autoritaria ,che c’entra il Manifesto che c’entra il Fatto quotidiano?

Com’è triste sentire un uomo di sinistra parlare in questi termini.

Ma forse sono colpevoli di difendere l’articolo 18, il diritto dei sindacati di stare in fabbrica, di lottare contro una riforma delle pensioni che ha reso la pensione una chimera e ridotto il salario pensionistico al 35% del proprio reddito, di chiedere rispetto e attenzione per il progetto alternativo di quelli della val di Susa e di indicare priorità diverse rispetto al traforo.

E’ questa la loro violenza?

E’ l’eterna storia della sinistra che si ripete, decisa e feroce nella rissa interna e timida verso l’avversario.

Quanta accondiscendenza verso Monti uomo di destra, verso Marchionne, verso lo stesso governo Berlusconi che si esitava a definire regime.

Quanta decisione e quanta disinvoltura nell’accostare la galassia della sinistra che difende i suoi diritti ai regimi dell’Unione sovietica.

Insomma una deriva moderata che coinvolge tutto e tutti e consente a Fassino di condividere il contratto di Pomigliano, a Bersani e Veltroni di condividere la tesi della Confindustria sull’articolo 18 e sulla riduzione del suo ambito operativo ai soli casi di discriminazione.

E quando qualcuno o qualcosa, come la Fiom, il movimento dei valligiani, il Manifesto, il Fatto Quotidiano, escono fuori da questo vortice di moderatismo di destra, viene colpito dai suoi strali, pregiatissimo dottor Scalfari?

E quest’andazzo impedisce di cogliere i fermenti di novità, presenti nella lotta dei valligiani, nei movimenti degli indignados, nei movimenti per l’acqua pubblica, in quelli che operano nel teatro valle occupato.

La lotta dei valligiani non è fine a se stessa ma diretta all’accoglimento di un progetto alternativo che Monti si è rifiutato di esaminare. La proposta del referendum e la estensione dello strumento referendario a tutte le opere pubbliche si collocano in un filone di pensiero sulla democrazia partecipativa. Un filone che nasce sulle ceneri della politica subita in tv, dove la mente e il cuore vanno in soffitta. I giovani, ma anche i meno giovani, le donne ma anche gli uomini utilizzano sempre di più internet, facebook, e sempre più ragionano sui temi di interesse comune, e non su quelli dell’agenda mediatica costruita in televisione. La gente ha deciso di farla finita con il letargo, con quel torpore della mente e del cuore, che l’ha spinta a parlare di ciò che le tv parlava, a comportarsi come la tv voleva, a votare come la tv voleva, a confondere la tv con la bocca della verità. La gente ha deciso di giocare un ruolo attivo e sempre più partecipativo, rispetto alle decisioni che la riguardano. E questa brezza di libertà e di partecipazione dalle piazze arabe è giunta fino in Spagna, ed è diventata la lotta degli” indignados” contro la precarietà e poi in Italia, dove è diventata lotta per la legalità, per la giustizia sociale, per un ambiente pulito e sicuro.

E tutto ciò non rappresenta una svolta decisiva?

C’è un filo rosso che lega le piazze di Tunisi, Cairo, Damasco, Madrid, Atene e quelle italiane: la lotta per i diritti fondamentali. La lotta per la liberta, la lotta per il lavoro, la lotta per legalità .

E così, dopo la primavera araba, la primavera spagnola, arriva la primavera italiana, in forme meno evidenti, meno spettacolari, ma più incisive ed efficaci.

Una nuova stagione, portata avanti dal popolo della rete che ha fatto il bis. Ha aiutato Pisapia a De Magistris a vincere, ha fatto vincere i “sì” per l’acqua pubblica.

E tutto ciò ha evidenziato l’avvio di una rivoluzione copernicana che ha lasciato sul terreno le macerie della vecchia politica videocratica, ma ha portato alla luce i germogli della nuova politica sempre più intrecciata con il mondo di intenet.

I presupposti per la nascita di questa mutazione sono essenzialmente riconducibili alla perdita, per la tv, del ruolo di unica ed esclusiva fonte informativa e di fabbrica delle coscienze e dei comportamenti; ma anche alla dimensione e funzione sempre più ampia conquistata da internet, uno strumento che consente di spaziare nella scelta delle notizie, nella verifica delle stesse, dove non operano solo l’immagine e il suono che soffocano la coscienza critica, ma anche la lettura che stimola la riflessione e il ragionamento; infine alla frattura tra società e politica che ha trovato un raccordo nel popolo della Rete.

Un popolo che - affrancato dall’ascolto passivo di una agenda mediatica predisposta da altri e da altri imposta - ha costruito e costruisce il proprio palinsesto informativo utilizzando su web le notizie dei giornali, dei libri, della radio, della tv, e quelle fornite da altri utilizzatori di internet, e inventato nuove forme di mobilitazione.

E cosi ha dato alla gente quell’informazione negata dalla televisione, ha invitato la gente a votare, e quindi supplito all’inerzia della politica, troppo impegnata a perpetuare se stessa .

E tutto ciò segna l’irruzione sulla scenario italiano della voglia di partecipazione politica, ma anche la nascita di un nuovo soggetto politico con cui i partiti dovranno fare i conti, se non vogliono perdere per sempre il contatto con la realtà.

Dunque un nuovo soggetto politico che individua i risultati concreti da raggiungere nella conoscenza dialettica dei fatti politici, nella sollecitazione alla valutazione e all’analisi delle proposte formulate in un disegno di legge o in un quesito referendario, nel coinvolgimento di più soggetti alla loro realizzazione, nella impostazione di iniziative politiche in una logica progettuale che utilizza come strumento operativo internet. E così per la richiesta di dimissioni per Brunetta è stato costituito un apposito sito .

L’attività dei quelle formiche che su internet - twitter e facebook - si informano ed informano sono sensibilizzati e sensibilizzano, ragionano dialogano, fanno satira e informazione, individuano un nuovo tipo di politica che potremo definire orizzontale e mette in crisi la politica verticistica.

Entra in crisi la politica del laeder che ordina e a cui tutti ubbidiscono.

Bossi e Berlusconi hanno inviato a disertare le urne, ma la gente non li ha ascoltati.

Entra in crisi la politica verticistica dei partiti che indicavano al popolo le linee politiche da seguire. Oggi è il popolo che indica ai partiti le linee politiche da seguire. Ai partiti il compito di trasformare queste linee in proposte e programmi di governo.

E tutto ciò incide sui criteri formazione della classe politica, ieri etero diretta, oggi autodiretta, ma anche sui criteri di selezione della stessa, ieri affidata al rapporto fiduciario tra il capo e il suo protetto, oggi sempre più legata alla capacita del soggetto di affermarsi .

 Al mondo web interessa conoscere le risposte alla precarietà, alla ricerca, alla innovazione, al carico fiscale, alla sanità, alla scuola più che gli accordi tra gruppi politici, le condizioni o i baratti che li rendono possibili. E’ la fine della politica del Palazzo.

Si sposta infine il baricentro della politica: dalla politica delle alleanze alla politica dei contenuti.

E non è questa una svolta decisiva?

La nascita di un nuovo soggetto politico che opera in via orizzontale, sulla base dei contenuti concreti e per progetto,costituiscono i germi della democrazia partecipativa. Una linea politica nuova, che ha i suoi precedenti in una iniziativa politica, a suo tempo proposta e gestita dal PCI, che ha portato alla costituzione di organismi gestione diretta e di controllo collettivo. Il riferimento è ai consigli di fabbrica della scuola, ai comitati di quartiere e organismi di controllo, quale all'associazione dei diritti dei malati.

Indispensabile per il controllo collettivo è la trasparenza.

Mettere on line il reddito dei ministri ha consentito una valutazione popolare dei profili di onestà e di coerenza dei singoli esponenti dell’esecutivo. La stessa cosa potrebbe essere estesa a tutti i parlamentari e ai soggetti che ricoprono cariche pubbliche. In occasione delle nomine in Rai potrebbero essere previsto per i candidati l’obbligo di mettere on line il loro curriculum. In questo modo la gente avrebbe conoscenza del valore dei nominati e i giochini politici potrebbero essere resi più difficili. E sempre in tema Rai perche non affidare al voto degli utenti il genere preferito in tv e quindi le priorità del palinsesto?

Sono queste le direttrici di un percorso su cui vale la pena riflettere.

Vero dottor Scalfari?

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