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La Turchia è uscita ufficialmente dalla Convenzione di Istanbul

Allo scoccare della mezzanotte, la Turchia ha fatto tornare indietro le lancette dell’orologio dei diritti umani di 10 anni.

Dieci anni dall’apertura alla firma, proprio a Istanbul, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica.

Un gesto annunciato tre mesi fa dal presidente Erdoğan, definito “vergognoso” da Amnesty International e condannato in tutto il mondo e particolarmente in Turchia (vedi foto), dove solo lo scorso anno sono state assassinate almeno 300 donne.

Un gesto che sarà ricordato nella storia come la prima volta in cui uno stato membro del Consiglio d’Europa si è ritirato da una convenzione internazionale sui diritti umani.

Il trattato contiene una struttura giuridica per proteggere le donne dalla violenza e promuove l’uguaglianza di genere attraverso atti legislativi, istruzione e sensibilizzazione. I quattro principi fondamentali (prevenzione, protezione, procedimenti penali e politiche integrate) forniscono un quadro di riferimento per contrastare la violenza di genere.

Attraverso la sua ratifica e la sua attuazione, la Convenzione di Istanbul ha favorito importanti progressi, tra cui l’istituzione in Finlandia di linee telefoniche attive 24 ore su 24 per le donne che subiscono violenza domestica e l’introduzione, a partire dal 2018, di leggi sullo stupro basate sul criterio del consenso in Islanda, Svezia, Grecia, Croazia, Malta, Danimarca e Slovenia.

Nel giugno 2021 il Liechtenstein è diventato il 34° stato membro del Consiglio d’Europa su 47 ad averla ratificata.

Azerbaigian e Russia sono gli unici due stati membri a non averla neanche firmata, mentre la scorsa settimana Ucraina e Regno Unito si sono impegnati a ratificarla.

Tuttavia, in molte parti d’Europa la Convenzione è sotto attacco e vari governi la usano per diffondere informazioni false e demonizzare l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne e delle persone Lgbti.

Le pretestuose motivazioni addotte dalle autorità turche per giustificare il ritiro, ossia che la Convenzione è una minaccia ai “valori della famiglia” e “normalizza l’omosessualità”, sono state fatte proprie da vari governi, tra cui quelli di Polonia e Ungheria.

Il ritiro della Turchia dalla Convenzione è uno sviluppo estremamente preoccupante anche perché avviene in un periodo di profonda erosione dei diritti nel paese.

Il 26 giugno la polizia anti-sommossa ha usato forza eccessiva contro i partecipanti al Pride di Istanbul, scesi in strada nonostante l’evento fosse stato vietato per il sesto anno consecutivo. Centinaia di manifestanti sono stati colpiti dai gas lacrimogeni e dai proiettili di plastica. Sono state arrestate almeno 47 persone, tra cui due minorenni e un giornalista dell’Agenzia France Presse che ha subito maltrattamenti e torture da parte della polizia mentre era bloccato a terra con un ginocchio sul collo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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